15 Settembre, 2002
Grecia, Francia, Italia: la gioventù bruciata
Ilvo Diamanti in *Bussole* da www.repubblica.it
In Grecia è esplosa una rivolta giovanile. Partita da Atene, si è
propagata in molti altri punti del paese. Da Salonicco a Patrasso, da
Corfù a Creta. Ma la protesta ha scavalcato i confini, coinvolgendo,
fra i bersagli, le ambasciate greche di alcune capitali europee. E'
una vera mobilitazione, scandita da episodi violenti. E di scontri
continui, con le forze dell'ordine. Molti di essi sono studenti. E
infatti l'epicentro del terremoto sociale è diventato il Politecnico
di Atene, insieme al quartiere di Exarchia (intellettuale e, insieme,
alternativo). Luoghi mitici, perché proprio da lì, proprio dagli
studenti partì la rivolta che, con un costo di vite altissimo,
travolse il regime dei colonnelli, 35 anni fa.
D'altra parte, non è un "movimento studentesco". Perché agli studenti
si sono uniti molti altri: lavoratori, precari, disoccupati.
Comunque: giovani. Inoltre, a guidare le manifestazioni sono gruppi
di sinistra radicale, affiancati da gruppi anarchici. Ma non ciò che
sta avvenendo non può essere riassunto in un'azione della sinistra
antagonista. Anche perché la sinistra antagonista non dispone di una
base tanto ampia. La ribellione di massa che sta incendiando le città
greche è un po' di tutto ciò. Mobilitazione studentesca universitaria
(e non), antagonista, di sinistra, giovanile.
L'episodio scatenante è drammatico. La morte di un giovane 15enne,
sabato scorso, ad Atene, nel quartiere di Exarchia, ucciso da un
poliziotto, in seguito allo scontro fra un gruppo di studenti e una
pattuglia della polizia. Di fronte a quel che è avvenuto e che sta
avvenendo, però, l'episodio, per quanto sanguinoso e violento, appare
quasi epifenomenico. Un incidente occasionale. La miccia che provoca
un'esplosione a catena. Ed è facile, anche se discutibile, per
questo, accostarlo ad altre rivolte che hanno investito le metropoli
europee negli ultimi anni.
Per prima, l'esplosione di rabbia che ha sconvolto le banlieue
francesi - parigine, anzitutto - nell'autunno del 2006. Anche in quel
caso il motivo scatenante è lo stesso: l'uccisione di un ragazzo in
una colluttazione con la polizia. Da cui la spirale di violenza che
ha travolto, per settimane, le periferie di Parigi, per propagarsi
presto ad altre metropoli francesi. La stessa dinamica si ripropone
un anno fa, a Villiers-le-Bel, nella banlieue Nord di Parigi. Stessa
meccanica: la morte di due ragazzi in moto, investiti (in questo caso
in modo del tutto accidentale) da un'auto della polizia. Cui segue
una vampata di violenze che degenerano subito. In modo drammatico,
visto che in pochi giorni si contano oltre cento feriti, perlopiù tra
forze dell'ordine. Certo: si tratta di eventi assolutamente diversi,
per contesto urbano e sociale. In Grecia: studenti che si mobilitano
in centro storico, con obiettivi apertamente politici. I palazzi del
governo e del potere, la maggioranza di destra. In Francia: francesi
di seconda generazione; giovani socialmente periferici che abitano le
periferie più povere e inospitali. I bersagli: i simboli della
cittadinanza negata. Auto, centri sociali, biblioteche. In entrambi i
contesti, però, si tratta di "giovani". E la violenza investe
alcuni "oggetti" specifici. Oltre alle auto: negozi e hotel di lusso.
Simboli di un sistema che si regge e si rappresenta attraverso i
consumi. In entrambi i casi, ancora, lo scontro avviene direttamente
con le forze dell'ordine e con la polizia, in modo aperto. Non solo è
solo la polizia a opporsi alle azioni giovanili. Sono gli stessi
giovani a cercare lo scontro con la polizia.
La rivolta di Atene, per alcuni versi, richiama, inoltre, le
mobilitazioni che attraversano l'Italia da alcune settimane. Le
differenze, in questo caso, sono però ancor più evidenti. Perché in
Italia la protesta giovanile non nasce da un episodio violento e non
ha assunto toni violenti (se non in alcuni casi molto specifici).
Perché ha fini e bersagli squisitamente politici. I provvedimenti del
governo in materia di scuola e università. Tuttavia, fra le
mobilitazioni vi sono i punti di contatto altrettanto palesi. In
Italia come in Grecia i protagonisti sono gli studenti, i teatri le
università. In Grecia come in Italia la popolazione studentesca era
da tempo in ebollizione, per gli stessi motivi. L'opposizione aperta
contro la riduzione delle risorse e degli investimenti sulla scuola -
e in particolar modo sull'organizzazione della ricerca e
dell'università - pubblica.
Se colleghiamo questi tratti, tanto diversi in apparenza, si delinea
un profilo comune e largamente noto. Perché le rivolte investono i
giovani, sia gli studenti che i marginali, delle classi agiate e dei
gruppi esclusi. I bersagli sono, in ogni caso, le istituzioni di
governo, il sistema educativo e le forze dell'ordine, il sistema
politico e in particolar modo i partiti e gli uomini di governo. Il
denominatore comune di queste esplosioni sociali sono i giovani,
occultati e vigilati da una società vecchia e in declino, da un
sistema politico im-previdente, inefficiente e spesso corrotto.
Schiacciati in un presente senza futuro. Cui sono sottratti i diritti
di cittadinanza. Costretti a una flessibilità senza obiettivi. Il che
significa: precarietà.
La violenza, in questo caso, diventa un modo di dichiarare e gridare
la propria esistenza. Loro, invisibili. Inutile ignorarli, fare come
se non ci fossero. Ci sono. Studenti, precari, di buona famiglia
oppure marginali e immigrati, politicizzati o apertamente impolitici
e antipolitici. Esistono. E se si finge di non vedere si accendono,
bruciano. Fuochi nella notte che incendiano le città.
9 dicembre 2008)
 
Fonte repubblica.it
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