15 Settembre, 2002
Elezioni: era solo questione di metodo
Il magistrato Pierpaolo Beluzzi interviene sulla stampa locale in merito al risultato delle recenti elezioni comunali di Cremona
Elezioni, era solo questione di metodo
Un uomo armeggia sotto un lampione,
cercando, invano, la chiave che gli è
caduta mentre provava ad aprire la
porta di casa. Passa un amico e dice:
“Cosa fai sotto quel lampione, non vedi
che la tua casa è dieci metri più in là?”
“Lo so, lo so", replica il primo.“Ma qui
c’è più luce”
Chiedo scusa al prof Enzo Rullani,
se richiamo – a memoria - la
straordinaria metafora di apertura
al suo articolo L’ECONOMIA
ITALIANA COME ECONOMIA
DELLE RETI – sottotitolo Qui c’è
più luce - Cento e uno modi di non vedere,
non capire, non fare.
Potevo – più scherzosamente - richiamare
quella del mitico Tafazzi, ma quest’ultima,
forse, non “centrava” tutti gli
aspetti della questione.
E’ una “scenetta” che mi facilita il processo
– definitivo - di metabolizzazione degli eventi di
questi mesi, iniziati con la richiesta dei vertici locali a candidarmi
per il Partito Democratico alla carica di sindaco
del Comune di Cremona, finiti con l’elezione (meritata) a
Sindaco di Oreste Perri, e trattenere – da imperterrito ottimista
quale sono – tutti gli elementi utili e costruttivi che
l’hanno accompagnata.
Non era mia intenzione ritornare pubblicamente in questo
contesto, ma alcuni passaggi di recenti interviste che
accostano il mio nome ad effetti di makeup per il sindaco
uscente mi costringono ad uscire dal riserbo.
E, per anticipare qualsiasi polemica, premetto che non è
una questione di singoli uomini: non lo è mai stata, né,
spero,lo sarà mai.
E’ stata - ed è - una questione di approccio metodologico.
L’operazione estiva 2008 – diretta ad individuare una candidatura
alternativa era il risultato di un approfondito lavoro
di analisi degli obiettivi ritenuti necessari per realizzare
la Cremona “del domani” - versione EXPO per semplificare
- e di un’attenta elaborazione del profilo del possibile
candidato.
Emergevano da un lato con evidenza quelle che erano le
esigenze per Cremona EXPO:
A) innovare la macchina amministrativa comunale, aumentando
la qualità dei servizi interni ed esterni, aprendo
le fonti di informazione e conoscenza agli utenti, valorizzando
con canoni meritocratici la professionalità del personale,
e operando forme di partecipazione attiva del cittadino
e delle parti associative/economiche alla creazione
del patrimonio conoscitivo e di valutazione degli amministratori
e alla condivisione degli obiettivi, nell’ottica della
massimizzazione delle conoscenze
B) operare scelte importanti per il territorio di natura ambientale,
di strategie di sviluppo, di marketing territoriale,
assicurando quel doveroso e forte distacco delle scelte amministrative
dai “particolarismi”, nell’esclusivo interesse
del bene comune
C) recuperare competitività del prodotto “Cremona” (o
addirittura generare uno stile Cremona) che non avesse
come marchio il solito Stradivari portato a prendere aria
per il mondo, ma si caratterizzasse – per l’efficienza, la
produttività e trasparenza della macchina amministrativa,
per la “sicurezza” percepita sul territorio, per l’interoperabilità
ed efficienza dei centri decisionali, per le infrastrutture
nodali, quale attrattiva agli investimenti produttivi
D) mettere in opera coordinate “affirmative actions”- quelle “azioni positive” per liberare – per quanto possibile - energie soprattutto femminili, realizzare le condizioni per
la nascita di centri di eccellenza per formazione e cultura
universitaria e post universitaria, sbocchi applicativi per il
lavoro giovanile e.. tanto altro – ma è già sufficiente per
rendere l’idea.
Non erano soluzioni preconfezionate,
pensate da pochi da fare accettare
a molti. Era l’individuazione
di un metodo di lavoro, finalizzato
a raggiungere la massima condivisione
degli obiettivi, la partecipazione
pluralistica alle scelte importanti
per la città.
Le soluzioni sarebbero state trovate
insieme e partendo dalla base.
Ci si è quindi guardati in casa, e
poi, con metodo, guardati attorno….
e si era fatta una scelta – meglio
– una semplice proposta. Si era
lampione si è spento, e a qualcun
altro è stato affidato il compito di
cercare la chiave, e l’onore/onere -
per il bene della città - di fare quei
dieci metri in più... forse per aprire
la stessa porta di casa, o, molto probabilmente,
un’ altra.
Sono d’accordo, rispondendo ai
primi commenti, che la questione –
di uomini – Beluzzi/Corada sia superata.
Lo era già a settembre.
Qualcuno – particolarmente attaccato
alla luce del vecchio, spento
lampione, la vorrebbe riproporre
quale errata operazione di restyling
del sindaco uscente; non merita
commenti bipartisan, lasciamo perdere,
tanto di questi tempi…
Ma sarebbe un errore archiviare
frettolosamente – solo per non ferirsi
di più - quell’approccio metodologico,
quell’azione di “governance”,
quegli obiettivi che l’hanno ispirata.
Sarebbe come cercare di riaccendere
il vecchio lampione, magari cambiando
la sola lampada, e continuare
a cercare al di sotto della sua
nuova, rassicurante luce.. sarebbe
solo un modo per ritrovare vecchie
(e nuove) falene che continuano a
dirsi “ma qui c’è più luce”, e che alla
fine – male che vada (ma potrebbe
mai andare meglio?) fanno “spallucce”
e si consolano con la scusa
del “Vento del Nord”.
Ma questa volta Tafazzi, sin dall’apertura,
occuperebbe completamente
la scena.
 
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