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 Economia

15 Settembre, 2002
Dario Di Vico ospite delle Associazioni del Commercio e dell’Artigianato
La crisi ha riportato in evidenza la valenza delle Pmi nel nostro sistema produttivo e di servizi.

Dario Di Vico, giornalista del Corriere della Sera , ospite delle Associazioni del Commercio e dell’Artigianato.
La crisi ha riportato in evidenza la valenza delle Pmi nel nostro sistema produttivo e di servizi.
Dario Di Vico, giornalista del Corriere della Sera, ospite delle Associazioni del Commercio e dell’Artigianato (CNA, Ascom, Confartigianato, Confesercenti, Libera Associazione Artigiani, Autonoma Artigiani Cremaschi) presso l'auditorium della Camera di Commercio ha presentato “Piccoli, la pancia del Paese”.“Un titolo che è quasi un manifesto” ha introdotto il presidente dell’Ascom Claudio Pugnoli, il quale ha sottolineato che l’incontro è stato anche l’occasione per la presentazione ufficiale delle Associazioni di Categoria che fanno parte del tavolo di Capranica a livello locale che si sono aggregate per affrontare i temi e le problematiche legate al mondo della piccola impresa. “Ci sono quattro milioni di piccoli e aziende, otto milioni di partite Iva: un patrimonio vitale per il paese” si annota il giornalista. “In provincia di Cremona – gli fanno eco le categorie economiche – 20.500 imprese operano nella macroarea del Terziario. Sono il 72% delle attività iscritte nei registri camerali. Danno lavoro a 50.000 persone e producono oltre metà del Prodotto Interno Lordo del Territorio”. Una energia vitale per il sistema che rischia di essere compromessa dalla mancanza di politiche adeguate. Perché, spiega Di Vico, gli operatori delle Piccole e Medie imprese, “da quando aprono bottega, fino a sera, hanno la sensazione di lavorare «contro», c’è qualcosa che non và. La crisi ha moltiplicato gli outsider, resa più corta la coperta e ha lasciato senza voce non solo precari e disoccupati, ma anche artigiani, piccoli commercianti, partite Iva e professionisti. E il silenzio deve preoccupare più di una protesta clamorosa. Nel silenzio i valori finiscono nel tritacarne, quelli tradizionali non reggono l’urto della secolarizzazione e quelli moderni sono considerati velleitari, buoni per le elite”.
Eppure proprio la crisi ha riportato in evidenza la valenza delle Pmi nel nostro sistema produttivo e di servizi. Hanno attutito i colpi della recessione a differenza di altri grandi Paesi. “La crisi vista dall’Italia – spiega Di Vico - è un episodio decisivo della nostra lunga uscita dal Novecento. Accelera processi che erano già in atto e mina la centralità della grande impresa nello sviluppo italiano. Basti pensare, ancora, a quella sorta di costituzione materiale rappresentata dal triangolo grande impresa-grande sindacato- politica. Potremmo dire che è un format che dimostra di non funzionare più, di non riuscire più ad operare sintesi”.
Il libro stimola il lettore ad uscire da un piano strettamente socio-politico e ad analizzare l’economia reale perché “è evidente che l’occupazione cresce più nella piccola dimensione che nella grande. Ed è altrettanto probabile che l’Italia industriale che uscirà dalla crisi avrà il suo nocciolo duro nelle Pmi”. Da qui una grande responsabilità che grava sul mondo dei Piccoli e la necessità di fare un passo avanti in termini di aggregazioni, reti di impresa, cultura manageriale. Perché, suggerisce l’autore, i limiti si superano così non con sterili polemiche sul nanismo.
Nel libro si testimonia di quanto i “piccoli” abbiano fatto per tenere aperte le loro imprese. Spesso sacrificando tutto. “Ho scritto - spiega -che gli imprenditori suicidi nel Nordest vanno considerati caduti sul lavoro, che va riconosciuto il loro sacrificio e va ricordato come sia l’espressione di valori di solidarietà e coesione sociale. Certe élite tendono invece a rappresentare i suicidi come vittime del loro stress, del loro attaccamento al lavoro. Non è il mal di Nordest che li ha uccisi ma una crisi senza precedenti, la rottura di meccanismi di protezione nella famiglia e nella comunità e, paradossalmente, un “eccesso di etica”, non voler licenziare i propri dipendenti. Per questo le forze della produzione e del lavoro devono rendere onore alla loro memoria e al loro sacrificio. E bisogna evitare che questa tendenza si rafforzi, occorre che le associazioni facciano sentire di più la loro presenza e non lascino solo l’imprenditore di fronte allo sconforto o magari all’usura”.
Per far fronte all’emergenza le associazioni del Patto di Capranica stanno cercando convergenze sempre più strette. “Penso - conclude Di Vico - che l’evoluzione del patto di Capranica in qualcosa di più strutturato possa essere una delle novità più importanti del 2010. La società di mezzo ha bisogno di una sua rappresentanza forte, di un meccanismo che esalti le analogie tra piccole imprese, commercianti e mondo delle partite Iva. Questo processo può cambiare il rapporto con la politica e può segnare davvero l’uscita dal Novecento”.

fonte: CNA Cremona

 


       



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