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15 Settembre, 2002
A proposito di dibattito nel PD cremonese ( di Deo Fogliazza)
PER LASCIARCI DAVVERO ALLE SPALLE IL 2009 (ED ANCHE IL 2008)

A proposito di dibattito nel PD cremonese
PER LASCIARCI DAVVERO ALLE SPALLE IL 2009 (ED ANCHE IL 2008)
Il dibattito che si è aperto nel PD cremonese a seguito dell'analisi proposta da Titta Magnoli è interessante. E inedito. Forse interessante proprio perché inedito. Per troppo tempo, infatti, siamo stati abituati a decisioni assunte in carenza di un confronto vero e sincero. Per troppo tempo è risultato prevalente il modello del "signorsi". Per il vero non solo a Cremona.
Anche questo ci ha condotto alla sconfitta del 2009.
Gian Carlo Corada - in ragione del suo essere stato il candidato Sindaco - si è generosamente caricato sulle spalle la responsabilità dell'insuccesso. Qualche responsabilità - lui e chi allora lo ha sostenuto - ovviamente l'hanno pure avuta. Non credo però siano tutte loro, e nemmeno le più pesanti.
Convinto che nascondere la polvere sotto il tappeto non porti a nulla di positivo e non appassionandomi la ricerca delle responsabilità personali, più vicina al gossip che alle valutazioni politiche, rivendico la necessità di un approfondimento di analisi, nella individuazione degli errori politici commessi, almeno quelli più evidenti e significativi. Scevro da acrimonie o spirito negativo.
Il 2009 non è alle nostre spalle. E nemmeno il 2008.
Lo saranno davvero solo se sapremo superare uno dei nostri limiti di fondo: quello di essere stati, per troppo tempo, un Partito basato essenzialmente sui "preventivi". Un Partito che non contemplava, tra i propri strumenti di analisi e tra i propri metodi di lavoro, la categoria del "consuntivo".
Eppure una delle caratteristiche dell'homo sapiens sapiens dovrebbe proprio essere la capacità di analizzare gli errori commessi, per non ripeterli in futuro.
Nel 2009, a Cremona, il centrosinistra non ha perso per il venir meno della sua "vocazione riformista". Ha perso, invece, per l'impronta del riformismo prevalsa nel PD: spesso verticistica, senz'anima e troppo distante dal popolo. Un tipo di riformismo che ormai era divenuto soltanto un lontanissimo parente delle scelte - allora sì, davvero coraggiose ed azzeccate - compiute all'inizio degli anni '90.
Ha perso, in buona sostanza, un riformismo senza partecipazione.
Ed ha perso, seppur per una manciata di voti, anche il tasso di riformismo espresso dalla Giunta - quello concreto, costituito dalle misure e dalle decisioni assunte giorno per giorno dall'Amministrazione comunale - lasciata inopinatamente sola, nel momento cruciale della battaglia.
Fu infatti all'indomani della presentazione del Sondaggio IPSOS fatta il 22 dicembre 2007 - che ci consegnava un Sindaco sostenuto dalla fiducia del 74% (!!) dei cremonesi - che prese avvio la fase decisiva della preparazione del confronto elettorale.
Ebbene - invece di dedicare tutta se stessa al sostegno delle "misure riformiste" assunte dall'Amministrazione, con la concretizzazione di scelte difficili, ancorché controverse ed in alcuni casi anche poco tempestive - una parte non secondaria del gruppo dirigente del PD cremonese - in modo solipsistico, poco generoso ed in assenza di dibattito e di decisioni assunte nel rispetto delle regole di democrazia interna - iniziava, inspiegabilmente proprio nel gennaio 2008, a dedicarsi, in via prioritaria, ad un'improbabile e per certi versi bizzarra ricerca di candidature alternative. E poi - dopo i contrasti acuti e pubblici che purtroppo, parecchio tempo dopo, ne seguirono - di fronte alla ovvia sfida democratica delle Primarie (che saggezza e lungimiranza avrebbero voluto fosse messa in conto fin dall'inizio) se ne sfilò prudentemente, facendo buon viso a cattivo gioco.
Ma intanto, volenti o nolenti, l'anatra era stata azzoppata, essenzialmente dal fuoco amico.
L'unica possibilità sarebbe stata che Corada avesse portato fino in fondo il confronto, avesse preteso di trarne subito le dovute conseguenze ed avesse davvero preso su di sé e fino in fondo l'onere e la responsabilità della battaglia elettorale. Solo in questo caso e con questa chiarezza, forse, avremmo potuto sperare di riprendere il volo con qualche chances di vittoria. Prevalse invece, anche in questa occasione, la mediazione al ribasso - proprio come era già successo all'indomani della straordinaria vittoria al primo turno nel 2004, nella formazione della Giunta comunale (anche per decisione dello stesso Corada, che - divenuto, per come si era evoluta la vicenda, vero e proprio "salvatore della Patria" - anche allora avrebbe potuto e dovuto pretendere mano libera rispetto al manuale Cencelli).
Una mediazione, quella degli inizi del 2009, motivata certo dalla volontà di evitare ulteriori rotture, che però lasciò invariata la mano di chi, politicamente, gestiva il "pallino". Furono così assunte scelte di linea, di alleanze, di schieramenti e di candidature che, lungi dal risultare "mediate", si rivelarono invece "mediocri" - quando non del tutto sbagliate - dunque perdenti.
D'altra parte laddove a prevalere sono i "signorsì", laddove predomina il malvezzo di circondarsi di figure nelle quali l'accondiscendenza conta più del talento, prevale anche la carenza di originalità e la pigrizia nell'analisi.

Da qui il parallelismo (forzato e banale, ma che .. veniva molto bene) che metteva sullo stesso piano - per dirla in grande sintesi - la negativa esperienza dell'Unione nel governo Prodi a Roma, con quella dell'alleanza che sorreggeva la Giunta del Comune di Cremona. Da qui la tentazione, dovuta essenzialmente a pigrizia intellettuale, di fare anche a remona (sic et simpliciter) ciò che era stato fatto a Roma: tagliare a sinistra, con tutti. Con Rifondazione, con i Comunisti italiani, con i Verdi....
Eppoi, se la linea prevalente è quella del "riformismo dall'alto", ne consegue che la scommessa va tutta giocata su un'ipotesi che all'apparenza può risultare più tranquillizzante. Da qui l'idea di aprire un'intesa con l'UDC, maturata essenzialmente a livello di vertice, che però non poteva nemmeno essere spesa in maniera esplicita e che, alla prova dei fatti, si è dimostrata essere non più di un miraggio.
Chiudi a sinistra ed apri sulla tua destra. Così si è fatto, ed anche per questo si è perso.
Anche perché la parte decisiva del gruppo dirigente - ripiegata su una politica incravattata, fatta per lo più al telefonino, sui giornali o in cene ed incontri riservati - andava sempre più "costruendo" un Partito fatto a propria immagine e somiglianza, impalpabile sul territorio, tutto concentrato su se stesso, poco accogliente, verticistico e parecchio lontano dai problemi reali della nostra gente.
Il 2009 (ed il 2008) saranno davvero alle nostre spalle se e quando - al di là della responsabilità delle singole persone - sapremo avere coscienza di questi limiti e sapremo non ripetere quegli errori.
Nel Partito: costruendo un'organizzazione aperta, libera, trasparente, che rifugga dai doppi incarichi e dai conflitti di interesse. Che esca alla svelta dalla "zona grigia" di una collaborazione spuria con la maggioranza di destra, nel nome di non si sa quale continuità istituzionale. Che sappia privilegiare donne e uomini provvisti di idee, opinioni e capacità, che le sanno proporre e difendere e che per esse sanno mettersi in gioco. Un Partito che, così facendo, si renda "estraneo" a chi fa politica essenzialmente per costruirsi una facile carriera all'ombra del capo di turno. Un Partito che abbia una vita democratica basata su regole certe e sulla trasparenza del confronto e delle decisioni. Che faccia funzionare a dovere i propri organismi e che releghi nella "soffitta dei ricordi" l'uso di cene o incontri riservati che - anche se legittimi - non dovrebbero mai divenire momento esclusivo nel quale, esautorando di fatto gli organismi preposti, assumere decisioni che coinvolgono l'intero Partito. Un Partito diretto da persone che sanno assumersi la responsabilità dei propri comportamenti e che sappia recuperare anche quello spirito di solidarietà di fondo, tra militanti legati da un destino comune, che si è andato purtroppo sempre più tristemente stemperando e smarrendo.
Nella linea politica: rifuggendo da un riformismo autocentrato e verticistico, tendenzialmente tecnocratico e "di palazzo". E sapendo far vivere e radicare - al contrario - un riformismo partecipato e condiviso, che si basa sull'informazione diffusa, sulla circolazione delle idee, sulla discussione aperta, sulla consapevolezza ed il coinvolgimento della cittadinanza.
La cifra del nostro riformismo deve dunque diventare sempre più la partecipazione. Una partecipazione che, attraverso discussioni vere, sappia condurre a sintesi altrettanto vere ed a decisioni condivise. Una partecipazione non estemporanea e saltuaria ma organizzata, razionale, consapevole. Anche per questo nella selezione delle candidature - di qualsiasi ordine e grado - va formalizzato e regolamentato il ricorso allo strumento delle Primarie, così come richiesto anche dalla campagna "Voglio decidere e scegliere" lanciata in questi giorni dal quotidiano L'Unità.
Va costruito un "PD dei cittadini" che, quando parla di lavoro, sa quel che dice e non ne parla a vanvera, perché sa rendere protagonisti, al suo interno, i lavoratori e le tematiche che li riguardano. Che, quando parla di disoccupati, sa di cosa parla e non si limita a farne demagogia, perché anche i disoccupati e la loro esperienza di vita diventano protagonisti al suo interno. E così quando parla di diversità ed accoglienza, quando parla di giovani e di donne, quando parla di impresa o di partite IVA.
Lavoratori, disoccupati, cittadini di etnia e di colore diversi, nuovi imprenditori - ad esempio - che invece, guarda caso, risulta rarissimo incontrare nelle nostre riunioni ed ancor più nei nostri organismi.
Va costruito un Partito che sa dire dei si e dei no. E li sa dire in maniera chiara, rifuggendo da un linguaggio tardo-doroteo e da un politichese sempre più vuoto e stucchevole. Un Partito che sa scegliere, lo fa e lo sa comunicare. Un Partito che sa difendere i diritti e nello stesso tempo sa guardare anche ai doveri.
Che - solo per fare un esempio - sta con il dipendente pubblico e ne difende con forza l'impegno di servizio per la collettività. Ma che sa anche contrastare gli imboscati, quando e dove ci sono. Magari partendo, nel chiederne conto, proprio da chi è lautamente remunerato per dirigere anche quel tipo di collaboratori.
Che - solo per fare un altro esempio - ha ben presente il ruolo insostituibile e "portante" dell'impresa, che si schiera con l'imprenditore e lo sostiene nelle sue esigenze di razionalità dei servizi e di correttezza del credito. Ma che sa anche fortemente contrastare l'impresa scorretta, quella che lavora al nero, quella che paga poco e male i dipendenti, o che - fidando sulla lentezza della giustizia civile - non paga i fornitori o imbroglia i bilanci. O che cerca di sfuggire al proprio dovere fiscale.
Un Partito che sa costruire un nuovo patto tra produttori, che rilancia attorno ad un'ipotesi nuova e moderna di compartecipazione dei lavoratori al profitto d'impresa e che sa proporre un patto che coinvolga lavoratori, impresa, consumatori e cittadini contro le troppo diffuse rendite parassitarie che pesano come un macigno sul presente e sul futuro del Paese.
Un Partito che - come dice il segretario Bersani - da subito, comincia a dar vita al "Cantiere dell'Ulivo", con momenti di confronto, di collaborazione e di lavoro comune con le forze politiche che più direttamente sono riconducibili a quella straordinaria esperienza (Italia dei Valori, Sinistra Ecologia e Libertà, Verdi, pezzi del movimento radicale, la variegata diaspora socialista ecc) ma anche con segmenti di associazionismo e di cittadinanza attiva ben vivi e presenti sul territorio. Su temi che non riguardino solo le questioni amministrative, ma coinvolgano anche tematiche politiche più generali.
Un Partito pronto a mettere in gioco la soggettività politica del "Nuovo Ulivo" nella competizione per il governo della città e del Paese.
Cosciente altresì di come - nei momenti di alto rischio democratico che potrebbero derivare dalla crisi crepuscolare del berlusconismo - non solo sia possibile ma divenga necessario inserire il "Nuovo Ulivo" anche in una alleanza più ampia, l'"Alleanza per la democrazia", composta da tutte le forze disponibili, a salvaguardia del bene supremo della Costituzione e della libertà.
Un Partito, insomma, che sappia rivolgersi - con speranza e generosità, con modestia e grande capacità di ascolto - alle migliaia e migliaia di cremonesi (ed ai milioni di italiani) che, fino a ieri o all'altro ieri votavano per il centrosinistra e che oggi, invece - disillusi, confusi o esplicitamente incazzati - hanno fatto la scelta dell'astensione o della scheda bianca.
Per un Partito così credo saremmo in tanti - iscritti o elettori del PD - disposti a rimetterci in gioco, per sconfiggere i disegni della destra, nell'interesse di Cremona e dell'Italia più in generale.

Deo Fogliazza,
del Circolo "Cittanova-Aporti"
Socio fondatore dell'associazione "Cantiere dell'Ulivo-Un PD dei cittadini"

settembre 2010

 


       



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