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 Cronaca

15 Settembre, 2002
Gian Carlo Storti scrive a Enrico Pirondini, che risponde, sulla moschea
Segno di civiltà dare ai musulmani una ‘moschea’-Vedo di rispondere ai passaggi salienti della sua interessante lettera

Segno di civiltà dare ai musulmani una ‘moschea’
Egr. Sig. Direttore, ho letto il suo editoriale di domenica 10 ottobre «La Moschea è un falso problema». Mi consenta alcune velocissime considerazioni. Cito due articoli della Costituzione in vigore e precisamente l’Art. 8. — che recita: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge» — e l’Art. 19, che ribadisce: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume». Il problema quindi non è né il numero di fedeli nè la reciprocità. Semplicemente è un problema di civiltà. I nostri italiani, emigrati in vari stati del mondo, si sono lì costruiti i loro templi, i loro luoghi di culto. Nel nostro Paese vi sono altre religioni professate e presenti. Cremona fu del resto testimone di una comunità, fra il medioevo ed il rinascimento, di ebrei. La comunità cremonese di allora, per una serie di ragioni che sarebbe lungo ricordare, intervenì presso la corte spagnola di Filippo II per affrettarne la cacciata. La nostra civiltà — o meglio il nostro benessere — attrae, oggi, decine di lavoratori che operano in attività umili che i nostri giovani, a torto o a ragione, non desiderano più fare. Ora, grazie a delle leggi dello Stato, sono arrivate le loro famiglie. Certo con le donne che portano il velo, che si coprono la faccia. Una minoranza di loro desidera pregare e ritrovarsi in moschea, perché non dare loro questa possibilità? Certo sappiamo che una parte della comunità che frequentava la precedente moschea è stata coinvolta in atti di terrorismo. Lo Stato si è mosso, ha arrestato i presunti colpevoli, messi in galera, celebrerà i processi per i reati per i quali si sono macchiati e non per le loro idee religiose. Alla fine del suo editoriale propone che la città offra loro un «tendone» e chiede a questa comunità la firma di un patto di reciprocità che non potranno mai firmare perché a comandare nel loro Paese ci sono altri potenti che usano la religione magari come «oppio dei popoli». Suvvia, sa benissimo che la comunità islamica della nostra città non chiede sconti, desidera trovare un luogo ove esercitare la loro fede ed è disposta a «pagare il soldo dovuto». Gian Carlo Storti (storti@welfareitalia.it)
La replica di E.Pirondini.
Vedo di rispondere ai passaggi salienti della sua interessante lettera. Peraltro su un tema oggi centrale nella vita della nostra comunità (e del Paese). q Libertà di culto. E' vero quel che lei dice. Ma l’art.8 della nostra Costituzione continua con altre due cose: che le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno sì diritto di organizzarsi secondo i propri statuti ma non debbono contrastare l'ordinamento giuridico italiano. E poi: «I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze». Le intese con i musulmani in Italia - tra loro oltretutto molto divisi - dove sono? Noi le auspichiamo, per fare chiarezza. Certo, nel segno della civiltà. w Il tendone. Tenuto conto che il Ramadan parte venerdì prossimo (e dura un mesetto), per ragioni di tempistica ho proposto la soluzione della infrastruttura a pagamento (il noleggio). Aggiungendovi l’obbligo di una dichiarazione-riconoscimento del diritto di reciprocità (cioè consentire anche a noi di costruire chiese in quei paesi arabi in cui ancora è vietato). Dichiarazione che, a mio avviso, possono fare. Non c’entra niente il fatto che «a comandare nel loro paese ci sono altri potenti». E’ la richiesta di un segnale, concreto e pubblico, di rispetto e dialogo. Riconosco tuttavia che è un passo avanti la posizione assunta dalla comunità islamica cremonese che si dichiara moderata. e Il diritto islamico. Non dimentico però — dunque sto in guardia — quel che sostiene il diritto islamico secondo il quale il mondo è teoricamente suddiviso in due parti: il «territorio islamico» e il «territorio della guerra». Il primo comprende i paesi islamici, il secondo indica tutti i restanti; i quali sono quindi potenziali teatri di guerra fino al momento in cui anch’essi non entreranno a far parte del dominio dell’Islam. E siccome, come ho già scritto, non voglio morire musulmano, mi permetterà di stare all’erta.

 


       



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