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15 Settembre, 2002
Il treno dell'innovazione non è ancora perso (Alfonso Fuggetta da www.lavoce.info)
Non è possibile illuderci che i nostri problemi siano transitori e legati solo all’alto costo del lavoro o del petrolio.

Al di là delle diverse interpretazioni che si possono dare del momento oggettivamente non facile della nostra economia, è indubbio che si pone un problema articolato e complesso di posizionamento del nostro paese nello scenario competitivo mondiale. Non è possibile illuderci che i nostri problemi siano transitori e legati solo all’alto costo del lavoro o del petrolio. È difficile immaginare che il prezzo del greggio possa scendere in modo significativo, anzi c’è da augurarsi che non salga ancora troppo. Allo stesso modo, se vuole mantenere il tenore di vita tipico di una società occidentale, è evidente che il nostro paese non potrà mai competere a livello internazionale contando su un costo del lavoro più basso. La realtà è che il mondo è cambiato. Non è possibile continuare a produrre cose vecchie; dobbiamo fare cose nuove. È sul terreno della crescita e dello sviluppo che si verificherà la capacità del nuovo Governo di imprimere una svolta reale al paese. A partire dalla eliminazione di alcuni stereotipi che ci portiamo dietro da anni.

Innovare ogni giorno

Il primo stereotipo è quello secondo il quale in molti settori abbiamo perso tutti i treni. I treni nascono in continuazione. Consideriamo il mondo dell’Ict. Cinque anni fa non esistevano né Google, né iTunes/iPod. Dieci anni fa nessuno avrebbe pensato di rifare Windows e oggi abbiamo Linux. L’Ict (e soprattutto il software) diventa sempre più l’elemento pervasivo che rivoluziona anche i prodotti convenzionalmente considerati non-Ict: elettrodomestici, mezzi di trasporto (i trattori che arano con il Gps), le macchine utensili, persino le lampade e gli elementi di arredamento. In generale, il mondo dell’Ict, dei media e delle telecomunicazioni (si pensi a Skype) è in subbuglio e, di conseguenza, aperto a novità e sorprese.

In sintesi, non è più sufficiente innovare i processi: dobbiamo innovare i prodotti. E se la cultura e formazione manageriale, che tanto successo hanno avuto in questi anni, è certamente utile per modernizzare il modo di operare e funzionare delle aziende (i processi, appunto), il rinnovamento dei prodotti richiede anche e soprattutto il recupero e la valorizzazione delle competenze tecnologiche e di settore. Le tecnologie più avanzate non sono commodity, come molti hanno a lungo suggerito. (1)

Sono complesse e sofisticate, e richiedono competenze adeguate. Inoltre, per rilanciare e sostenere il processo di innovazione, è necessario che si rafforzi la voglia di rischiare e investire del mondo imprenditoriale, anche attraverso un riequilibrio tra la tassazione delle rendite finanziarie e quelle di impresa.

Il ruolo dello Stato

Un secondo stereotipo riguarda il ruolo del pubblico. Non è vero che lo Stato deve solo regolare. Tutti i paesi intervengono, sia a Est che a Ovest. Il problema non è "se", è "come". Non servono certo le partecipazioni statali di una volta, né interventi assistenzialistici. Servono azioni che producano effetti positivi di sviluppo del mercato, evitando gli errori del passato.

Per esempio, se si stimola solo la domanda di beni e servizi dei cittadini, come si è fatto negli anni scorsi, in assenza di un’adeguata offerta, cresceranno le importazioni. Oggi è necessario passare a politiche che puntino a sviluppare l’offerta delle imprese. Alcune forme di sostegno sono invece esempi di interventi pubblici inadeguati. In particolare, se le aziende ricevono incentivi in quanto Pmi, che interesse hanno a crescere? Se il problema italiano è il nanismo delle imprese, incentivi efficaci sarebbero quelli che facilitano le operazioni di merge&acquisition e premiano capitalizzazione e crescita dimensionale.

Spesso poi, si propone di aumentare la spesa pubblica attraverso grandi progetti di sistema. Esiste il rischio che si riducano a sterili aiuti di Stato. In realtà, se ben gestita, la domanda pubblica può essere effettivamente un motore di crescita per le imprese. Ma a condizione che ci sia un vero piano strategico. Quando le Ferrovie dello Stato hanno commissionato il "Pendolino" hanno in realtà pensato innanzi tutto a rispondere a un loro bisogno, ordinando un mezzo innovativo a una azienda leader nel settore. In questo modo, oltre a risolvere un loro problema, le Ferrovie hanno permesso alla Fiat di sviluppare un prodotto che è divenuto un successo mondiale. È una cosa ben diversa dal generico finanziamento di grandi progetti.

Infine, il delicato tema delle risorse economiche. Gli investimenti in ricerca e sviluppo in Italia sono bassi. Per quanto riguarda il pubblico, all’esiguità dei finanziamenti si aggiungono altre limitazioni. Recenti bandi di finanziamento alla ricerca e all’innovazione prevedono somme certamente significative. Tuttavia, nella maggior parte dei casi sono per il 90 per cento prestiti agevolati e solo per il 10 per cento contributi a fondo perduto. Per esempio, il bando "tecnologie digitali" dei ministeri dell’Innovazione tecnologica e delle Attività produttive del luglio 2005, ex legge 46/82, stanzia 270 milioni per l’innovazione digitale. Di questi fondi, l’81 per cento è erogata sotto forma di prestito a tasso agevolato dello 0,5 per cento, il 9 per cento come prestito bancario e solo il 10 per cento come contributo spese a fondo perduto. Un prestito agevolato va comunque restituito. Quella parte del finanziamento non va a incidere sul conto economico dell’azienda (e quindi a compensare i costi della ricerca), se non per il vantaggio derivante dal differenziale dei tassi di interesse. In sintesi, il reale trasferimento verso le imprese è di poco superiore al 10 per cento delle cifre menzionate. Si dirà che è giusto che ci sia solo un cofinanziamento e che anche le imprese investano. Ma negli altri paesi, di solito si ha un investimento delle imprese e un cofinanziamento a fondo perduto dello Stato (o dell’Unione Europea) pari almeno al 50 per cento. Certamente, l’adozione di fondi rotativi è comprensibile dal punto di vista del bilancio statale, sul quale incidono, simmetricamente a quanto accade per le imprese, solo i costi relativi ai differenziali dei tassi. Ma questi meccanismi hanno un impatto limitato sui reali processi di ricerca e innovazione.

È dunque più che mai necessario, da un lato, sostenere la necessità ineludibile di cambiare e di innovare e, dall’altro, mettere in campo azioni che siano realmente capaci di incidere sul tessuto delle imprese. Per fare ciò, servono risorse e, ancor più importante, chiarezza di idee e coraggio di rompere con gli stereotipi del passato.

*****

(1) Si veda per esempio N. Carr, "IT doesn’t matter", HBR, maggio 2003.

 


       CommentoFonte La Voce Info



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