la prolungata e diffusa mobilitazione permanente
del popolo della pace nel nostro paese
ha finalmente raggiunto un primo risultato
Iraq:
ritirate le truppe,
ora lavoriamo per la pace
adesso occorre rilanciare una nuova fase di impegno
contro la strategia globale della guerra e del terrore
al fianco delle popolazioni civili e insieme a tutti i popoli
per il dialogo, la cooperazione, la solidarietà internazionale
Il governo Prodi ha mantenuto l'impegno: col rientro degli ultimi militari
dall'Iraq, una brutta pagina della nostra politica estera finalmente si chiude.
Un risultato importante, ottenuto anche grazie alla straordinaria mobilitazione
del popolo della pace, e sarebbe un errore sottovalutarne la portata.
Così come sarebbe sbagliato dimenticare che l'Iraq, tutt'altro che
pacificato, sprofonda ogni giorno di più nell'orrore. Dopo quasi quattro anni,
la guerra di invasione di Bush non è mai finita. Il castello di menzogne che
l'aveva giustificata è crollato, il regime di Saddam pure, ma le bombe non hanno
dato agli iracheni la libertà: hanno portato morte e distruzione, l'umiliazione
dell'occupazione straniera, hanno innescato terribili conflitti interni. Milioni
di iracheni scappano da un paese in balia della violenza, in cui i diritti umani
sono calpestati e il valore della vita è pari a zero.
La strategia della guerra globale ci sta trascinando nel baratro: il Medio
Oriente è una polveriera, la questione palestinese sembra senza via d'uscita, i
conflitti regionali si fanno più minacciosi, tutto il mondo è più insicuro.
Mentre il diritto internazionale si piega alla ragione del più forte, guerra e
terrorismo prosperano nell'oppressione e nello sfruttamento e preparano il
terreno allo scontro di civiltà.
Prima che sia troppo tardi, devono tornare in campo la politica e la
diplomazia, anche in Iraq. Solo la fine dell'occupazione e una seria iniziativa
diplomatica possono fermare la guerra civile, sottrarre spazio al terrorismo,
tutelare la popolazione civile, avviare il dialogo e la pacificazione fra le
varie componenti della società irachena.
In tanti cercheranno di impedirlo, perché sono molti gli interessi di chi
specula sulla pelle degli iracheni. A farsi carico della vita degli uomini e
delle donne di quel paese, del loro diritto a costruirsi un futuro, deve essere
tutta la comunità internazionale.
A cominciare dall'Italia, che ora ha scelto di cambiare strada e lavorare
attivamente per la pace. Come membro dell'Unione europea e fra poco del
Consiglio di sicurezza dell'Onu, il nostro governo deve offrire la sua
mediazione fra le parti in conflitto, per costruire una soluzione politica e la
pace in Iraq.