15 Settembre, 2002
Telecom, Enrico Morando: «Stranieri o italiani, sempre di regole c’è bisogno»
Unità: Oreste Pivetta intervista il Presidente della Commissione Bilancio del Senato
Con Enrico Morando, presidente diessino della commissione bilancio del Senato, torniamo alle origini di Telecom, al presunto “vizio di origine”.
Senatore Morando, davvero si sbagliò a non dettare la separazione tra rete e gestore?
«Sulla questione specifica della separazione, mi limito a constatare che nel mondo non ci sono società in cui sia avvenuta questa separazione. È vero che fin dalle origini di Telecom privatizzata è emerso un problema, quello non tanto della divisione quanto dell’apertura della rete ad altre gestori. Ma per questo avrebbe dovuto agire con efficacia un’Autorità, che abbiamo però costituito tardi e che per giunta non ha fatto bene il suo lavoro... Purtroppo attraverso quella privatizzazione non si è fatta una vera liberalizzazione. Lì nasce il problema Telecom, che si è via via aggravato nel corso degli anni. Quella sarebbe stata l’occasione per dare vita anche in Italia a un’autentica public company. Invece si è arrivati alla privatizzazione accettando la logica tradizionale del “nocciolo duro”, che era poi quel “nocciolino” dello 0,6 per cento, con il quale controllare tutto con un patto di sindacato».
Nella logica cioè di chi detenendo poco più che niente riesce con le giuste alleanze a governare...
«Un’occasione perduta per Telecom, ma anche per la modernizzazione nel capitalismo italiano. Se queste sono le premesse, non ci dobbiamo meravigliare se americani e messicani tentano di scalare Telecom, seguendo una via che in nessun paese al mondo sarebbe loro consentita, cioè acquisendo la quota di chi tiene le redini del patto di sindacato. Altrove avrebbero dovuto sostenere il peso di un’opa totalitaria...».
Insisto sulle origini di Telecom. Separando rete e gestione, non si sarebbe dato impulso giocoforza alla liberalizzazione?
«Sì, ma dobbiamo parlare di separazione societaria. Di società, non di proprietà. La gestione della rete, dopo la divisione societaria, sarebbe dovuta avvenire sotto il durissimo controllo di una Autorità, che avrebbe dovuto garantire l’accesso a gestori che non fossero anche proprietari. Garantire l’uso a parità di condizioni... Un esempio: c’è una rete gas, che è di proprietà dell’Eni (e sarebbe meglio non lo fosse), che è società diversa dall’Eni e rappresenta una infrastruttura aperta... Per Telecom, in quella mancata separazione societaria sta una tara. S’aggiunga appunto la scelta di una privatizzazione secondo, come si diceva, la logica del patto di sindacato, e si capiranno le difficoltà d’oggi. Il problema non sono gli americani o i messicani, che comprano strapagando alcuni azionisti (non tutti), premiati oltre l’andamento delle Borse. Gli americani e i messicani ripetono la mossa di Tronchetti Provera, quando strapagò la quota di Colaninno, senza esporsi all’opa totalitaria. Al contrario invece proprio di Colaninno, che l’opa Telecom la fece e la vinse».
All’epoca della privatizzazione, il governo era di centrosinistra...
«L’operazione Telecom fu gestita in prima fila dalle forze del centrosinistra, che commisero alcuni errori e l’autocritica mi sembra naturale. La priorità che ci si dava era il risanamento finanziario dello stato, risanamento che ci fece vedere come più urgente una attività di privatizzazione, privilegiando gli interessi dello stato proprietario prima di quello dello stato regolatore... Dunque la privatizzazione, poi la liberalizzazione, accumulando un ritardo sul terreno della liberalizzazione che è diventato difficile recuperare... Anche perchè chi ha comperato un monopolio, difende con le unghie e con i denti il suo monopolio...».
Che fare, a questo punto? Vietare l’Italia allo straniero?
«Cambiare le regole, cominciando dal rafforzamento immediato (come prevede il disegno di legge Bersani) del settore delle Authority.... Perchè, di fronte a un nuovo passaggio di proprietà, chiunque sia il proprietario, ci sia un’Autorità in grado di garantire l’apertura e l’uso della rete. Apertura e uso che non dipendono dalla nazionalità del proprietario o dal suo status, italiano o straniero, pubblico o privato, ma da buone leggi dalla capacità dell’Autorità di farsi rispettare».
Come giudica la controffensiva italiana?
«In fondo qualcosa di positivo... Lo sbarco degli stranieri ha provocato la salita in borsa delle azioni Telecom e quindi l’innalzamento del prezzo di Telecom. Chi prenderà il controllo di Telecom sborsando più soldi di quanti avrebbe indicato il normale corso azionario, dovrà gestire l’azienda con criteri di maggior efficienza... È chiaro che sulla rete dovremo avere particolari garanzie, che non si ottengono però favorendo una rivincita italiana, ma facendo quello che avremmo dovuto fare prima. Ripeto, a costo d’essere noioso: stiamo dentro qualcosa di anomalo, vediamo di introdurre qualche correzione al sistema...».
Ci si deve affidare alla banche? Sembrano ormai padrone della nostra economia.
«Sempre a proposito dell’anomalia del capitalismo italiano. Ci sono un bel po’ di banche che vivono in una curiosa situazione: alcune, essendo coinvolte nel patto di sindacato di Telecom, sono collocate dal lato del venditore, ma allo stesso tempo vengono sollecitate a prendere una iniziativa e a collocarsi dal lato del compratore. Sono obbligato a chiedermi se la banca tal dei tali privilegerà i suoi interessi di compratore o quelli di venditore... Questo ci dice lo stato di confusione in cui ci troviamo. Basterebbe per rimediare scrivere regole serie e farle rispettare. Ne siamo capaci. Abbiamo a disposizione una delle migliori leggi sull’Opa...».
Cui diede il proprio contributo il professor Guido Rossi.
«Guido Rossi... Una grandissima parte di questa mia lettura critica sullo stato del capitalismo l’ho condotta alla luce delle analisi di Guido Rossi... Condividendole, non mi so scandalizzare per il trattamento che il professore ha subìto da Tronchetti... Accettare quel mandato non mi è sembrato molto coerente con quanto Rossi indicava da anni».
 
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