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15 Settembre, 2002
Tre milioni di poveri
La spesa sociale è in linea con la media europea, è addirittura inferiore a quella di Francia e Germania. Le persone che in Italia vivono in una condizione di povertà assoluta sono tre milioni.

Tre milioni di poveri
di Marco Togna
da Rassegna Sindacale

La spesa sociale è in linea con la media europea, è addirittura inferiore a quella di Francia e Germania. Le persone che in Italia vivono in una condizione di povertà assoluta sono tre milioni. Occorre estendere a tutti il sistema contributivo per il calcolo della pensione. Sono alcuni dei risultati, e dei consigli, annunciati oggi dall’Inpdap (l'Istituto di previdenza dei dipendenti pubblici) con la presentazione del Rapporto 2002 sullo stato sociale.
Cominciamo dalle questioni relative alla pensione. Per l’Inpdap l’estensione del sistema contributivo potrà determinare l'innalzamento dell'età effettiva di pensionamento.
L'istituto parte dalla constatazione che l'estensione del sistema contributivo a tutti i lavoratori nella forma pro rata ha perso una parte rilevante della sua efficacia in termini di riduzione di spesa perché, col passare degli anni, i lavoratori rientranti nel sistema retributivo hanno maturato, fino al 2002, altri sette anni in questo sistema. ''La riduzione dell'importo individuale delle pensioni derivante dalla minore durata del sistema contributivo pro rata eventualmente applicabile dal 2003 - osserva l'Inpdap - si è, quindi, sensibilmente ridotta risultando ancora elevata solo per le persone con minore anzianità contributiva (25 anni nel 2002) e con un pensionamento prima dei sessant'anni.
Al crescere dell'anzianità contributiva nel 2002 e, soprattutto, all'aumentare dell'età di pensionamento la riduzione della pensione con il passaggio al pro rata si riduce sensibilmente fino ad annullarsi. La penalizzazione resterebbe elevata tra i lavoratori autonomi per effetto della loro minore contribuzione e del legame diretto nel sistema contributivo tra prestazione e contribuzione''.

Per l'indagine, quindi, l'aumento dell'età di pensionamento dovrebbe essere prodotto dalla progressiva applicazione del sistema contributivo. Nel sistema contributivo, si ricorda, ''l'importo della pensione è legato, tra gli altri elementi, anche all'età anagrafica del pensionamento. La riduzione dei tassi di sostituzione (rapporto tra ultima retribuzione percepita dal lavoratore e l'ammontare dell'assegno) operata nel sistema contributivo - sostiene ancora l'Inpdap - opererà come incentivo a posticipare il momento del pensionamento, data la penalizzazione nell'importo della pensione prevista per le età più basse. L'eventuale estensione del contributivo potrebbe anticipare questo fenomeno''.

Per l'istituto, limitarsi, invece, ad aumentare l'età legale conservando il sistema retributivo (quello contributivo si applica a chi all'epoca della riforma Dini del '95 aveva meno di 18 anni di contributi) potrebbe avere effetti sociali negativi ed essere inefficace per un aumento del tasso di occupazione.
'L'Italia è indubbiamente caratterizzata da un basso tasso di attività nelle classi di età sopra i 50 anni, ma in queste, a differenza di altri paesi europei, ha anche un basso tasso di disoccupazione'', spiega ancora il dossier secondo il quale l'innalzamento dell'età pensionabile ha un effetto positivo sul tasso di occupazione solo se, corrispondentemente, si riduce il processo di espulsione dal settore produttivo dei lavoratori anziani, altrimenti parte almeno dell'effetto di un incremento dell'età pensionabile si tramuterebbe in un aumento del tasso di disoccupazione degli ultracinquantenni.

Riguardo la spesa sociale, l’Inpdap avverte subito che "l'anomalia italiana non appare tale". Le risorse complessivamente devolute a scopi sociali rappresentano infatti nel 1999 (ultimi dati disponibili) una quota pari al 24,4 per cento del pil, contro il 26,4 della media europea.
La spesa per vecchiaia, superstiti, invalidità e disoccupazione, depurando il dato italiano dal tfr, risulta il 16,3 per cento del pil, contro il 16,2% della media europea, inferiore a Francia (16,5), Germania (16,8) e ai paesi scandinavi. Secondo l'Inpdap l'Italia non rappresenta un'anomalia neppure per le pensioni di anzianità, dal momento che in altri paesi vi sono altre forme di uscita dal mercato del lavoro dei lavoratori anziani, come indennità di disoccupazione, pensioni anticipate o pensioni di invalidità.

Nel rapporto, l'Italia risulta in linea con Francia e Germania anche per quanta riguarda l'incidenza del prelievo contributivo e fiscale sul costo del lavoro. Un valore inferiore del cuneo fiscale si registra nel Regno Unito, ma qui i lavoratori devono finanziare di tasca propria una parte di beni e servizi sociali. Analizzando la spesa sociale, l'Inpdap nota poi che le prestazioni di natura assistenziale coprono una quota del pil pari a poco meno del 4 per cento e inferiore a quella della maggior parte dei paesi europei. Nel 2001 la spesa per prestazioni di protezione sociale, al netto delle liquidazioni, rappresenta per le istituzioni pubbliche una quota pari al 22,1 per cento del pil. Considerando le imposte prelevate a vario titolo sulle prestazioni, pari circa al 2 per cento del pil, l'effettiva incidenza della spesa sociale sulla spesa dello Stato risulta sensibilmente ridotta.

Riguardo il sistema sanitario, il rapporto dell'Inpdap sottolinea l'aumento della spesa privata che nel corso degli anni novanta è stata tra le più accentuate d'Europa, a fronte di una sostanziale stabilita' della spesa complessiva, che risulta invece inferiore a quella della maggior parte dei paesi europei fra i quali Francia e Germania.

L’Inpdap sottolinea anche il costo economico e sociale della crescente disoccupazione tra i maschi ultracinquantenni che "non può essere affrontato se non prolungando la presenza dei lavoratori nel mercato del lavoro". L'obiettivo "dovrebbe essere quello di realizzare delle politiche per l'invecchiamento attivo, riducendo i rischi di esclusione a causa dell'evoluzione tecnologica e delle barriere poste dalla società della conoscenza".

 


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