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15 Settembre, 2002
*Genitori e Bambini*, psicosocioanalisi di un partito (di Giuliano Mazzoleni)
A proposito anche di Partito Democratico - L'Educazione sentimentale, n° 7, giugno 2006, Rivista semestrale della Fondazione Luigi (Gino) Pagliarani - Guerini e associati editore, Viale Filippetti, 28 - Milano - www.guerini.it

1. Apprendere dalla Prima Repubblica

Capita spesso che gli uomini ripetano nel tempo errori disastrosi per motivi che si ripetono quasi identici: la storia delle guerre è l’esempio più tragico. Le evoluzioni della nostra civiltà, però, ci testimoniano che un felice processo innovativo è talvolta possibile: la costruzione dell’Europa, con tutte le sue crisi, è un processo che pochi potevano immaginare nella prima metà del secolo scorso.

Gli apprendimenti sociali, che entrano a far parte stabilmente nella cultura, assomigliano ai fenomeni carsici. Una lezione della storia può essere dimenticata facilmente ma può anche accadere che riemerga improvvisamente nella coscienza della gente.

L’esigenza attuale di affrontare i grandi problemi che rendono incerte le condizioni di vita delle generazioni future, ha molti aspetti, di cui uno importante è quello di costruire gli adeguati “contenitori” dell’incertezza, luoghi di conoscenza, di scambio e di confronto, di elaborazione degli orientamenti, di contenimento delle ansie, di preparazione delle scelte: ho già avuto occasione di affrontare questo tema su questa rivista (n° 4, dicembre 2004).

Il dibattito che si è sviluppato in Italia sulla possibilità di un futuro Partito Democratico è un bell’esempio di progetto di uno di questi contenitori. A questo prospettiva, opportunamente, anche la Casa delle Libertà affianca un’ipotesi di propria aggregazione, anch’essa non priva di solidi ostacoli benché dotata di risorse materiali ben più consistenti.

Il problema è duplice: se e come avverranno questi processi. Posso ricordare, con un certo scetticismo, che negli anni ’70 sembrò di essere ad un passo dall’unificazione delle tre maggiori confederazioni sindacali. Poi, pian piano il processo di unificazione si arrestò e regredì al punto che oggi pochi se ne ricordano. Le confederazioni sono separate come non mai.

Senza essere profeti, possiamo prevedere i quattro scenari possibili.

Blocco dei processi di aggregazione sul nascere e continuazione della frammentazione del sistema politico italiano, con tutto ciò che ne consegue. Oppure unificazione gloriosa con scissione nel breve termine, alla prima seria tensione congressuale, come nel caso dell’unificazione e nuova scissione fra socialisti e socialdemocratici alla fine degli anni ’60. Oppure unificazione in forma completa o attenuata (federativa) ma con frequenti paralisi, equilibri precari e conflittualità interna sregolata. Un’ipotesi a-conflittuale non è realistica: può esserlo invece l’ipotesi di una conflittualità interna ben regolata; ma è tutta da costruire.

Questo problema pone il tema degli apprendimenti possibili, nella storia dei partiti della Prima Repubblica, per capirne le difficoltà reali, quelle affrontate da tutti gli iscritti e dai quadri, (non solo la resistenza dei funzionari dei vecchi partiti), di natura prevalentemente culturale. Queste difficoltà rientrano talvolta nei discorsi politici, ma non si sa bene in cosa consistano. Ci si riferisce di solito allo scontro di “valori” o di “identità”: nel Partito Democratico fra ex democristiani ed ex comunisti; fra neo-liberisti e statalisti; fra cattolici intransigenti e laici radicali; fra pacifisti ed euro-atlantici, e così via. Nella Casa delle Libertà lo scontro è fra federal-separatisti e nazional-unitari; fra liberisti veri e statalisti occulti; fra interessi collettivi e interessi personali o di singoli gruppi economici.

Orientamenti di valore molto diversi possono convivere solo a patto che prevalga la chiarezza, la fiducia reciproca sul rispetto delle regole e sull’assunzione di comuni responsabilità.

Su queste ovvietà si giocherà il futuro del nostro sistema di partiti.

Ebbene, proprio la grave carenza di queste condizioni di trasparenza e di fiducia nei vecchi partiti rende ardua l’impresa nei nuovi: questo dato deriva più dall’esperienza comune del personale politico che da adeguate analisi storiche. Esistono eccellenti storie dei partiti della prima repubblica e testimonianze di alcuni dei suoi attori, ma si tratta sempre degli avvenimenti più importanti della storia politica, quelli noti a tutti di cui parlano i giornali.

Manca una “microstoria” o, meglio, mancano lavori di descrizione dei caratteri della vita di partito visti dall’interno e nella quotidianità, come i fatti che possono essere osservati e vissuti da un semplice iscritto o da un quadro intermedio.

Le osservazioni che mi accingo a fornire hanno questo carattere e si distendono su un periodo di trent’anni vissuti in molte associazioni para-politiche e soprattutto nel partito dei socialisti italiani. Con i socialisti ho sperimentato le gioie e i dolori di un partito democratico (sicuramente più di tanti altri) e di “di massa”, come si diceva un tempo.

Ai vecchi compagni con cui ho faticato per anni mi lega un grande affetto e una grossa riconoscenza che non mi impedisce e anzi mi spinge ad utilizzare questa esperienza per sollecitare una riflessione anche in chi ha militato in altri partiti o in nessuno.

Il tema generale del finanziamento dei vecchi partiti è insufficientemente inesplorato e non consente ancora conclusioni affidabili. L’analisi interna del PSI mette in luce qui una delle condizioni importanti di Tangentopoli: la grave carenza di autofinanziamento. Le osservazioni che proporrò non sono solo effettuate “dal basso” e dalla vita di ogni giorno, ma hanno anche una seconda qualità. Esse sono integrate da alcune interpretazioni basate su fatti ripetuti, ma guidate da un’ottica psico-sociale, anzi, da un approccio psicosocioanalitico (Forti-Varchetta, 2001). Questa duplice qualità colma in parte le lacune degli studi esistenti, che non sono molti e sono solitamente sostenuti da un orientamento disciplinare serio (sociologia e scienze politiche) che stenta però ad integrare la dimensione psicologica, organizzativa e culturale dei fenomeni.

Il problema che qui affronto, nel caso osservato, è fondamentale.

Alcuni partiti italiani sono crollati, negli anni ’90, sotto il duplice effetto degli scandali di Tangentopoli e del venir meno della condizione di guerra fredda che aveva contribuito a sostenerli fino ad allora. E’ opinione comunemente accettata, tuttavia, che l’intervento di queste due “variabili” colse i partiti, chi più chi meno, in uno stato semi-comatoso in cui si trascinavano già da più di un decennio, rappresentando ormai soltanto poche migliaia di iscritti, secondo molti osservatori. Il significato di protesta antipartitica della crisi degli anni ’90, del resto, è ben fermo nella memoria di ognuno di noi.

Che cosa aveva provocato questo progressivo decadimento della partecipazione nei partiti italiani negli ultimi trent’anni del secolo? Avevano agito forze e tendenze che abbiamo ben compreso e della cui scomparsa siamo certi?

Gli ultimi anni di attività politica sono stati una fioritura di vecchi vizi che credevamo scomparsi e che invece, carsicamente, riemergono. Possiamo riuscire a capirne alcuni fra i più diffusi, persistenti, legati alla nostra cultura politica nazionale?

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