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 Economia

15 Settembre, 2002
Chiamparino: «Le alleanze? Prima parliamo dell'identità»
Intervista di Simone Collini su l'Unità, 6 maggio 2008 - «Eviterei di far diventare la questione delle alleanze il tormentone dell'estate». Anche perché, dice Sergio Chiamparino, assodato che «la vocazione maggioritaria non è l'autosufficienza

«Eviterei di far diventare la questione delle alleanze il tormentone dell'estate». Anche perché, dice Sergio Chiamparino, assodato che «la vocazione maggioritaria non è l'autosufficienza», i nodi che ora il Partito democratico deve sciogliere sono altri.

A cominciare, secondo il sindaco di Torino, dalla necessità di far emergere «un profilo identitario nuovo» e di investire «su un'idea di società che ci ponga come interlocutori credibili», dall'investitura di «un gruppo dirigente rinnovato» e dalla definizione del Pd come «partito autonomista».

Il tema delle alleanze non è tra le priorità?
«Il problema c'è, e va posto in modo articolato. Anche perché non è che con una sorta di coazione a ripetere dobbiamo solo guardare alla nostra sinistra. Però non mi sembra questo il punto di partenza giusto».

E qual è allora, secondo lei?
«Come il Pd riesce a far emergere un profilo identitario nuovo, partendo dalla capacità di interpretare il nostro tempo e il suo divenire. Terreno su cui gli altri ci hanno battuto».

Il motivo?
«Hanno saputo esprimere meglio quell'insieme di paura e di speranza - molta più paura che speranza - che connota oggi la società italiana».

E voi, adesso?
«Dobbiamo porci la domanda: è destinata a restare così oppure la spinta delle forze che ci sono nella società, nell'economia, nella cultura, ci rende lecito prevedere che tra qualche tempo si affermerà una società che guarda di più all'apertura e meno alla paura? Noi dobbiamo investire su questo. E per farlo la prima cosa è starci, nella società».

E magari riconquistare il voto operaio e popolare, andato verso la Lega...
«Guardi: a Torino nel `93 la Lega aveva il 21% e per poco non andò al ballottaggio per il sindaco; nel `94 il sottoscritto fu sconfitto, anche se solo per 300 voti, nel collegio di Mirafiori dal candidato di Forza Italia. Questo per dire che le cose di cui si parla adesso non sono una novità: ci sono già state e sono state già sconfitte una volta, visto che oggi nell'area torinese la Lega è un partito che ha il suo rispettabile 6% ma è una forza marginale, nella vicenda politica locale. Ci siamo riusciti diventando poco per volta interlocutori credibili delle forze sociali, economiche, culturali, investendo su un'idea di modernizzazione della città. Mutatis mutandis dico che il Pd deve fare la stessa cosa investendo sull'idea di una società aperta e sicura. Aperta perché sicura, non sicura perché chiusa, come propone la destra».

È sempre convinto dell'utilità di un Pd del nord? A Roma l'idea non è piaciuta.
«Io ho sempre parlato di un partito autonomista. Insieme a Bresso, Vincenzi, Penati e altri abbiamo presentato un documento in questo senso, alle primarie. Bisogna ripartire da lì. E questo vale per il nord, come per il centro e per il sud, perché il dato elettorale ci dice che se Atene piange Sparta non ride».

Che cosa vuol dire partito autonomista?
«Vuol dire innanzitutto fiducia sui gruppi dirigenti locali e capacità di decidere in autonomia candidature, organizzazione, risorse, alleanze».

Per arrivarci da dove si deve partire?
«Dal gruppo dirigente nazionale. La logica dei caminetti va messa definitivamente in soffitta, anche perché è l'esatto opposto del radicamento, dato che porta a promuovere persone, che magari hanno perso tutte le battaglie sul territorio, solo perché sono fedeli a un gruppo. Questo non è più accettabile. Negli organismi dirigenti, accanto alle figure storiche che danno il segno anche della continuità, ci vogliono persone portatrici di relazioni, esperienze e ci vogliono figure nuove. Nuove per età, perché vengono dal di fuori della politica, perché rappresentano realtà territoriali anche significative ma che a Roma finora non hanno avuto il peso adeguato».

Anticipare il congresso può aiutare?
«L'esperienza mi dice che i congressi ratificano decisioni già prese. Prioritario è far partire una discussione e costituire un gruppo attorno a Veltroni e al gruppo dirigente storico che la guidi. Dentro questo percorso vedo il congresso».

E in questo percorso c'è anche la discussione sulle alleanze?
«Certo, perché vocazione maggioritaria non vuol dire autosufficienza. Dobbiamo però anche sapere che non si può scambiare l'identità con le alleanze, perché altrimenti torniamo al vizio d'origine».

Che sarebbe?
«Non aver capito che non sono le alleanze che ci danno identità e forza programmatica. È il contrario. È l'identità e la forza programmatica ciò che ci mette in condizione di fare alleanze. E questo sia sul versante della sinistra, se nella loro riflessione emergerà quell'anima genuinamente popolare che non è fatta solo di no, sia sul versante del centro, perché credo che si possa pensare a delle convergenze con l'Udc».

Che ne pensa dell'idea di Franceschini di prevedere una soglia di sbarramento per le elezioni europee?
«Il Parlamento europeo, avendo poteri più che altro di rappresentanza, non va confuso con un Parlamento che vota un governo e ha un'attività legislativa connessa con l'azione dell'esecutivo. La caratteristica dell'Europarlamento è di essere quanto più possibile rappresentativo e aderente alla realtà dell'Europa. Se c'è un'istituzione dove non mi scandalizza il fatto che partiti con soglie basse siano rappresentati è proprio questa».

 


       CommentoFonte L'Unità



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