15 Settembre, 2002
la ricetta dell*efficienza (Michele Salvati su corriere.it)
In Italia si sovrappongono, e sovrapponendosi si aggravano, due grandi problemi. Un problema ormai vecchio: da più di dieci anni la nostra economia quasi non cresce e quasi non cresce la produttività.....
In Italia si sovrappongono, e sovrapponendosi si aggravano, due
grandi problemi.
Un problema ormai vecchio: da più di dieci anni la nostra economia quasi non cresce e quasi non cresce la produttività,
il prodotto per occupato, una delle due fonti (l'altra è
l'occupazione) della crescita del reddito.
E un problema più recente,
ma che minaccia di durare a lungo: i prezzi del petrolio, dei
prodotti agricoli e di gran parte delle materie prime sono aumentati
vertiginosamente e questo implica, per un Paese che non produce
queste merci, un forte trasferimento di risorse all'estero.
Non è una
bella notizia per famiglie già provate da una scarsa crescita dei
loro redditi, in larga misura dovuta al primo dei problemi che ho
ricordato. E non è una bella notizia per il governo, il quale deve
convincere queste famiglie che stringere la cinghia è necessario e
che sta attivando tutte le misure per farla stringere il meno
possibile, specie per coloro che già ce l'hanno stretta.
Partiamo dal
secondo problema, il più semplice (si fa per dire). Dobbiamo far
fronte al rincaro di importazioni indispensabili alle famiglie e alle
imprese con maggiori beni prodotti ed esportati, e/o con minori
consumi e importazioni: tutto qui. Vie illusorie per addolcire la
pillola ci sono: le abbiamo tentate sia dopo il primo che dopo il
secondo shock petrolifero del secolo scorso, tra la metà degli anni
70 e i primi 80 (rafforzamento della scala mobile e crescita del
disavanzo pubblico), ma hanno prodotto disastri.
L'unico addolcimento
possibile, anche se costoso, è una forte riduzione delle imposte sui
redditi da lavoro più bassi, integrato da misure di welfare
per «incapienti» (per soggetti così poveri che non pagano tasse) un
po' più serie della social card , i 200 euro che il governo si
propone di trasferire quest'anno ai pensionati a basso reddito.
Addolcimento costoso, dicevo: se si vogliono mantenere gli attuali
livelli di spesa pubblica e non accrescere il disavanzo, bisogna
aumentare le tasse da qualche altra parte. Oppure, misura ottimale ma
politicamente ancor più difficile, bisogna tagliare seriamente la
spesa pubblica. Di fronte a questi costi e difficoltà il governo ha
deciso di non far nulla: la pillola per i più poveri resta amara.
Tutto sarebbe più semplice se la nostra economia si trovasse da
tempo, e stabilmente, su un ritmo di crescita più sostenuto, invece
di ristagnare, e qui torniamo al primo dei problemi che ho ricordato.
Spero che gli ultimi interventi della Banca d'Italia (il Bollettino
appena pubblicato, la relazione del Governatore all'assemblea
dell'Abi, la sua audizione sul Dpef in Parlamento) abbiano convinto
anche coloro che manifestano maggiore ottimismo sulle capacità di
crescita autonoma dell'economia italiana che è necessario
intervenire, e seriamente.
È vero, c'è un pezzo importante di
industria italiana che ha reagito alle sfide della concorrenza, che
compete, produce ed esporta. Ma anche nell'industria è un pezzo
limitato. E poi ci sono i settori protetti dalla concorrenza,
nell'industria e nel terziario. E poi c'è quasi l'intero settore
pubblico, che non è in grado di fornire a imprese e famiglie servizi
essenziali.
Insomma, il pezzo del sistema Italia che funziona è troppo piccolo
per sostenere la crescita di un Paese così grande e non desta
meraviglia che i dati d'insieme per il prodotto e la produttività
siano così deludenti. L'intero sistema dev'essere esposto allo
stimolo della concorrenza, laddove è possibile, e a una cura drastica
di efficienza, laddove possibile non è, come non lo è in gran parte
del settore pubblico. Cosa che non soltanto è politicamente costosa,
ma ha anche rendimenti molto differiti, che difficilmente possono
essere incassati dal governo in carica.
Il governo ha messo in tavola le sue carte, non certo entusiasmanti.
Questo dovrebbe facilitare il compito di una buona opposizione che,
al di là delle critiche a singoli provvedimenti (dall'Alitalia alla
Robin Tax, dalla social card ad altre misure criticabili) dovrebbe
concentrarsi sui due grandi problemi cui ho accennato in questo
articolo.
Come difendere i cittadini meno abbienti dal necessario rincaro dei
beni e servizi che incorporano materie prime importate, senza
provocare rincorse inflazionistiche o disavanzi pubblici, ma anzi
riducendo la pressione fiscale. E come stimolare concorrenza ed
efficienza ovunque, nei settori privati e in quelli pubblici,
premessa indispensabile per una ripresa della crescita. Insomma, che
cosa farebbe l'opposizione, in concreto, se fosse al governo?
 
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