15 Settembre, 2002
Opposizione vuol dire (di Gianfranco Pasquino)
L'opposizione del Partito Democratico e quella dell'Italia dei Valori debbono ragionare, senza farsi illusioni, come se il governo di destra durasse per tutta la legislatura.
L'opposizione del Partito Democratico e quella dell'Italia dei Valori debbono ragionare, senza farsi illusioni, come se il governo di
destra durasse per tutta la legislatura.
Debbono anche non trascurare
le ambizioni del presidente del Consiglio di essere eletto, appena
possibile, al Quirinale. In special modo, nessuna illusione deve
essere nutrita sulle probabilità che la Lega metta in crisi il
governo al quale partecipa con ministri in posizione di rilievo.
Lo «scambio» fra Popolo delle Libertà e Lega, con la riforma della
giustizia che procederà in una camera mentre, in contemporanea,
nell'altra camera si farà strada il federalismo, fiscale e più, deve
essere criticato non in quanto scambio, ma per i contenuti,
anticipati e prevedibili, della riforma-addomesticamento della
giustizia e per i meno prevedibili e i meno noti meccanismi del
federalismo che, incidentalmente, dovrà essere accompagnato
quantomeno dalla riforma del bicameralismo. È giusto che le
opposizioni si propongano di evidenziare e di approfondire le, molto
eventuali, contraddizioni all'interno della maggioranza di governo.
Qualsiasi spazio si apra in Parlamento deve essere sfruttato, ma quel
che più conta è il collegamento fra la battaglia parlamentare,
quotidiana e di lungo corso, e l'opinione pubblica, proprio nella
prospettiva del completamento dei cinque anni di legislatura. In un
certo senso, l'operazione da condurre, che può passare attraverso
anche manifestazioni tipo Piazza Navona, è in senso lato, ma molto
concreto, pedagogico-culturale.
Negli oramai quindici anni trascorsi dal crollo del sistema
partitico, dalla comparsa di nuovi attori politici e dalla
trasformazione dei vecchi, le forze sociali e economiche si sono
dislocate in maniera prima del tutto imprevista dalla sinistra, poi
sottovalutata nella sua durata e nella sua intensità. Tutti (o quasi)
hanno constatato la comparsa di elementi corposi di demagogia e di
populismo, nonché di egoismo delle diverse categorie, elementi che
erano stati, bene o male, tenuti sotto controllo, seppure in maniera
diversa, ma non debellati, dalla Democrazia Cristiana e dal Partito
Comunista. Affascinati oppure accecati dalla tesi della "società
liquida", pochi hanno provato ad esaminare le vittorie elettorali
della destra, non soltanto nelle regioni del Nord, come il prodotto
della comparsa di un nuovo blocco sociale al quale la figura
dell'imprenditore Silvio Berlusconi dà espressione e la carica di
Presidente del Consiglio offre la necessaria e desiderata traduzione
governativa. Allora, le contraddizioni da evidenziare e da
approfondire è meglio cercarle nel composito, ma non per questo meno
solido, blocco sociale della destra, piuttosto che nella sua
rappresentanza parlamentare. Questo blocco sociale non sembra
particolarmente interessato alle tematiche etiche e dei valori,
tantomeno inquietato dagli sfregi che Bossi e troppi berluscones
infliggono alla Nazione e alle istituzioni. D'altronde, tutte le
statistiche internazionali segnalano che è l'Italia nel suo complesso
a non avere alti standard di moralità accompagnati da un'alta
incidenza di corruzione. E Nando Dalla Chiesa ha fatto benissimo a
ricordare sulle pagine de "l'Unità" che sono molti, forse già troppi,
i casi nei quali anche la sinistra è colpevole di non avere tenuto
alta la guardia nei confronti della corruzione e di avere lasciato
che circolino al suo interno anche non marginali episodi di conflitto
di interessi. La corruzione e il conflitto di interessi sono da
combattere "senza se e senza ma", magari anche evitando di mostrare
eccessivo compiacimento per quanto onesta, seria, eticamente
superiore sia la sinistra, ma per disarticolare il blocco sociale
della destra ci vuole altro. L'attenzione deve essere indirizzata in
maniera mirata a quello che il governo promette e a quello che fa,
non fa, fa male per l'economia e per il welfare. Non entro nei
dettagli che economisti e sociologi autorevoli hanno già variamente
criticato, ma qui stanno per l'appunto le contraddizioni. Agli occhi
dei componenti del blocco sociale della destra bisogna fare vedere e
provare che la crescita del paese, e quindi del loro fatturato,
presente e futuro, non è affatto dietro l'angolo (come pensava e
plaudiva la Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia), che la
competitività del paese non sarà possibile senza investimenti nell'
istruzione e nella ricerca, spese che, invece, il governo Berlusconi
taglia, che tagliare la spesa pubblica (e magari anche i costi della
politica) è auspicabile nella prospettiva di investire quanto si
risparmia, che, infine, il pubblico, tanto deprecato dalla maggior
parte dei componenti del blocco sociale della destra, può anche
essere ridimensionato, ma l'obiettivo deve essere molto più
ambizioso: renderlo efficiente. Aggiungerei, ad uso di coloro,
soprattutto al Nord, che pensano, una volta conseguito il federalismo
fiscale, di potere fare a meno di una politica nazionale, che siamo e
continueremo ad essere nella stessa barca.
Predicare tutto questo sarà difficile; farlo è indispensabile.
L'opposizione ha qualche probabilità di disarticolare il blocco
sociale della destra confrontandosi con le proposte del governo e con
le aspettative dei settori sociali che lo hanno ripetutamente
sostenuto per quindici lunghi anni. Mostrare capacità di comprensione
dei problemi e proporre soluzioni capaci di combinare la
ristrutturazione del settore pubblico con la crescita e con
l'efficienza sono le due leve con le quali sarà possibile
disarticolare il blocco sociale della destra.
 
da L'Unità del 22 luglio 2008
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