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15 Settembre, 2002
Chi ha paura delle competenze? (di Maurizio Tiriticco)
Ci attende un giugno difficile - Siamo a poco più di un mese dalla chiusura delle scuole e, per quanto riguarda la terminalità di alcuni percorsi chiave, regna l’assoluta incertezza circa le modalità che le scuole stesse dovrebbero adottare.

Siamo a poco più di un mese dalla chiusura delle scuole e, per quanto riguarda la terminalità di alcuni percorsi chiave, regna l’assoluta incertezza circa le modalità che le scuole stesse dovrebbero adottare. Si tratta della conclusione dell’obbligo di istruzione decennale, del primo ciclo e dell’istruzione secondaria di secondo grado. Cerco di fare un po’ di chiarezza su ciò che… chiaro non è affatto!

Obbligo di istruzione decennale

Partiamo da quello che avrebbe dovuto costituire un nodo centrale, una sorta di nuovo spartiacque dell’intero nostro Sistema nazionale Educativo di Istruzione e Formazione. Alludo alla scelta di innalzare l’obbligo di istruzione dagli otto ai dieci anni; scelta quanto mai opportuna, almeno per due motivi: a) la consapevolezza che in una società che ormai tutti definiscono della conoscenza non è più possibile garantire a chiunque con solo otto anni di istruzione l’acquisizione delle conoscenze e competenze essenziali per fronteggiare il costante incremento dei saperi e delle attività; b) la necessità di mettere i nostri giovani al passo con i loro colleghi europei che non lasciano gli studi obbligatori prima di avere raggiunto i sedici anni di età ed oltre (solo alcuni fanno eccezione, ad esempio, Austria, Cipro, Grecia, Portogallo in cui il percorso obbligatorio termina a 15 anni di età; ma in altri, come in Belgio e in Ungheria, giunge fino ai 18).

Si è trattato di una scelta adottata con la Legge Finanziaria 2007 e resa operativa dal Dm 139 del 22 agosto 2007. Ne conseguì che, a partire dall’anno scolastico 2007/08, in tutti i nostri bienni dell’istruzione secondaria di secondo grado avrebbero dovuto essere progettati – nell’ottica della consuete attività programmatorie – dei percorsi incentrati su quattro assi culturali pluridisciplinari, che avrebbero dovuto assicurare l’equivalenza formativa dei singoli bienni, e finalizzati a certificare il conseguimento da parte degli studenti di competenze culturali e di cittadinanza. Va sottolineato che per la prima volta, nel nostro sistema di istruzione, si sono indicate in un documento normativo competenze terminali di un percorso che hanno una valenza sull’intero territorio nazionale.

In ordine a questa innovazione, un’amministrazione responsabile avrebbe dovuto adoperarsi per sollecitare istituzioni scolastiche, dirigenti e docenti ad affrontare e vincere una sfida che avrebbe dovuto cambiare l’intero volto della nostra istruzione obbligatoria. Si è verificato, invece, l’assoluto contrario: le scuole sono state lasciate assolutamente sole e in casi rari – e solo per la buona volontà di alcune di esse – sono state assunte iniziative finalizzate a gestire l’innovazione. Alcune hanno partecipato al progetto dedicato Innovadidattica indetto dall’Indire. Ben poca cosa a fronte di una innovazione di tale portata! Non fu affatto così quando nel ’63 avviammo l’obbligo di istruzione ottonale!

Come se ciò non bastasse, con un insidioso colpo di mano è stata inferto un pesante vulnus sull’intera operazione “innalzamento dell’obbligo di istruzione” – sottolineo “istruzione” – quando con il comma 4 bis dell’articolo 64 della legge 133/08 si è modificato quanto sancito dalla legge 296/06 (finanziaria 2007) e si è stabilito che “l’obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale, di cui al capo III del dlgs 226/05”. Così, con un semplice emendamento aggiuntivo si è tornati a quanto previsto dalla legge 53/03 (meglio nota come riforma Moratti), in forza della quale, dopo la licenza media, lo studente è tenuto a scegliere se proseguire nei percorsi dell’istruzione o in quelli della formazione professionale regionale.

Va anche considerato che le istituzioni scolastiche di secondo grado dovrebbero certificare le competenze raggiunte al termine del biennio reso obbligatorio utilizzando un modello di certificazione – come previsto dal comma 3 dell’articolo 4 del citato dm 139/07 – che abbia valenza nazionale e che dia piena legittimità alla certificazione stessa. Questa, infatti, non solo deve essere spendibile per il proseguimento degli studi, ma riconoscibile anche dai Paesi membri dell’Unione europea, i cui sistemi di istruzione di base sono tenuti a far conseguire ai loro giovani le medesime competenze di cittadinanza proposte ai nostri. Si veda al proposito quanto indicato nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006.

Ebbene, a tutt’oggi il predetto modello non ha ancora visto la luce e si corre il grosso rischio che le scuole siano frettolosamente ed improvvisamente chiamate a quel fai da te che ormai da molti anni caratterizza il nostro sistema scolastico! Il che viene reso ancor più problematico dal fatto che il comma 1 dell’articolo 4 del dm 139/07 prevede che la certificazione relativa all’adempimento dell’obbligo di istruzione “è rilasciata a domanda”. Il che costituisce una grave discriminazione nei confronti dei nostri studenti, in quanto verranno certificati solo coloro che intendono lasciare i percorsi di istruzione per passare a quelli della formazione professionale. Mentre gli altri studenti procederanno indenni senza alcuna certificazione la quale, invece, dovrebbe essere obbligatoria in quanto conclusiva di un percorso decennale altrettanto obbligatorio!

Conclusione del primo ciclo di istruzione

Come si ricorderà, negli scorsi anni si è tentato di far concludere il primo ciclo di istruzione con la certificazione delle competenze. Il ministro Moratti varò quel dm 59/04, attuativo della “legge di riforma” 53/03, con il quale si ridisegnò l’intero primo ciclo fondato essenzialmente su tre pilastri, le tre P, contestuali con le più famose tre I: i Piani di studio personalizzati, il Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo (6-14 anni), il Portfolio delle competenze. Il disegno non ebbe fortuna. La personalizzazione dei Piani di studio si rilevò inattuabile. Il Profilo fu in effetti una irraggiungibile moralistica chimera. Il Portfolio, che avrebbe pur potuto avere una sua dignità, fece invece una brutta fine per come era stato impostato e per gli errori che conteneva nella individuazione di competenze che avrebbero dovuto avere validità nazionale.

Molti ricorderanno quella famosa nota del 9 febbraio 2006 con la quale tutto il “pacchetto competenze” veniva rinviato a data da destinarsi! Con tratti spudoratamente eufemistici si diceva: “La certificazione delle competenze, in relazione a criticità emerse, sarà oggetto di una formale ridefinizione della materia. Pertanto, sempre per l'anno in corso, diversamente da quanto previsto dalla circolare n. 84/2005, la certificazione non costituisce un adempimento vincolante per le scuole primarie, ma rappresenta un'occasione di studio e approfondimento nell'ambito della quale i docenti preposti sono chiamati ad apportare il loro qualificato contributo”.

E le cosiddette occasioni di studio non sono affatto mancate. Seminari di formazione sono stati effettuati perché insegnanti e dirigenti si adoperassero a studiare, elaborare, proporre. Il sospetto che l’amministrazione, quando non è capace di assumere decisioni, finga di coinvolgere… molto democraticamente i diretti responsabili delle operazioni certificatorie è, comunque, sempre presente. Anche perché, fin dai tempi della Moratti – la citata nota de 9 febbraio 2006 – l’invito a studiare e studiare, a proporre e proporre non è mai venuto meno!

Ed ora che cosa accade con la Cm 32 dello scorso 13 marzo? Una Caporetto sul fronte delle competenze! Non vengono più neanche menzionate! Neanche un accenno al www.wikicompetenze.it in cui diligentemente sono raccolte le esercitazioni effettuate dalle scuole in materia di competenze da certificare alla fine della terza media! Il silenzio è tombale! Quando poi vediamo il modello di diploma, si rimane allibiti! Una paginetta con i tradizionali quattro giudizi da sufficiente ad ottimo! Altro che le mille pagine del Portfolio della Moratti! O le stravaganze dei modellini con le indicazioni delle singole materie certificate – si fa per dire – senza alcun indicatore e, a scelta, con uno dei quattro inossidabili giudizi! Insomma, anno dopo anno, la giostra dei diplomi non ha mai fine! In compenso gli esami si complicano… e si appesantiscono con le prove nazionali!

Quando poi pensiamo che il diplomino della licenza media non servirà più a nessuno – come oggi non ha più senso la licenza elementare di un tempo – perché nel mondo del lavoro in Italia e in Europa non si accede se non si ha conseguito almeno una qualifica a 17 anni di età, viene veramente da pensare: a che gioco stiamo giocando?

Conclusione del secondo ciclo di istruzione

La beffa delle competenze inevase continua nel secondo ciclo di istruzione! La legge 425 del ’97 si era espressa con molta chiarezza quando all’articolo 6 affermava che le certificazioni relative al superamento dell’esame di Stato avrebbero dovuto “dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite… tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Da anni siamo in attesa che questa disposizione abbia compimento! Da anni le Commissioni si limitano a “notificare” punteggi più che a “certificare” competenze. Quest’anno, però, c’è una grossa novità: la certificazione – cosiddetta – è plurilingue!!! Guadeamus igitur! Così i partner stranieri potranno leggere i nostri titoli con maggiore facilità! Però continueranno a non capire nulla di ciò che effettivamente i nostri diplomati sono capaci di fare!

E’ non è finita qui! La Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 settembre 2006 ha istituito un Quadro Europeo delle Qualifiche e dei titoli di studio – QEQ o EQF – che consente di “leggere” diplomi e qualifiche conseguiti nei singoli Stati membri secondo criteri univoci; ha individuato otto livelli ed ha invitato ciascun Paese membro a dichiarare a quale livello di uscita corrispondano i suoi titoli, a partire da quello relativo agli studi di base fino a quello che riguarda le alte specializzazioni universitarie. La Raccomandazione invita anche a: a) allineare i sistemi scolastici nazionali al QEQ entro il 2009; b) garantire che entro il 2011 tutte le nuove qualifiche contengano un preciso riferimento al QEQ: c) istituire un Centro nazionale che coordini le qualifiche al QEQ. Se vogliamo essere al passo con quanto l’UE ci chiede, dovremmo al più presto indicare a quale livello europeo si collocano le certificazioni conseguite dai nostri sedicenni, i diplomi conseguiti dai nostri diciottenni e così via! Si tratta di rendere più agevole la circolazione dei titoli e la stessa ricerca, da parte dei giovani, di occasioni lavorative! Alcune Regioni hanno già dichiarato che le qualifiche da loro rilasciate a 17 anni di età corrispondono al secondo livello europeo! E lo Stato che aspetta a decidere per quel che riguarda i “suoi” titoli di studio?

Un’amministrazione lenta e pasticciona!

Ho elencato alcuni nodi sui quali sarebbero necessari interventi normativi autorevoli e chiari! Nonché tempestivi! In effetti, sembra che avvenga il contrario! Ci stiamo gingillando rendendo più difficili gli esami di terza media invece di sollecitare e promuovere una reale continuità tra due gradi di istruzione che sono ormai – o dovrebbero essere! – contigui e obbligatori! E da tempo! E non si capisce perché!

Non abbiamo resa obbligatoria per tutti la certificazione delle competenze conseguite alla fine dell’obbligo decennale, che sono chiaramente scritte e definite nel dm 139/07, anche e soprattutto sulla scorta delle sollecitazioni europee! E non si capisce perché!

Sono ormai dieci anni che stiamo concludendo esami di Stato in cui le commissioni non dovrebbero più valutare la maturità raggiunta dal candidato (così si esprimeva la legge 119/69) ma certificare le competenze effettivamente acquisite (come si esprime la legge 425/97). E non si capisce perché!

Tutto il mondo dell’istruzione avanzata a livello mondiale marca un serio passaggio dalla pratica dell’apprendimento di conoscenze a quella dell’acquisizione di competenze! Ma il nostro Paese… resiste, resiste, resiste! Non vuole cambiare! Ma chi è che ha paura delle competenze? Chi è che rema contro la scuola italiana? Una bella domanda! Chi vuole rispondere? L’amministrazione? Speriamo!

Roma, 18 aprile 2008

Maurizio Tiriticco

 


       



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