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15 Settembre, 2002
Buoni e voucher...
Nota della Cgil Lombardia


Nota su “buoni e voucher” nel “modello lombardo” di welfare.

La legge di riforma del sistema dei servizi sociali ed i “titoli per l’acquisto di servizi”.

La legge 328/00 prevede l’introduzione di molteplici strumenti in grado di rendere flessibili ed innovativi i servizi alla persona, orientando i Comuni verso forme di gestione in grado di coniugare efficienza produttiva, efficacia ed economicità degli interventi, ridisegnando in parte le modalità di esternalizzazione dei servizi, introducendo alcune innovazioni, sotto il profilo delle forme di gestione, dell’accreditamento e dell’erogazione dei titoli per l’acquisto di prestazioni da soggetti accreditati.

In particolare, l’art. 16 elenca, fra gli interventi prioritari, prestazioni di aiuto e sostegno domiciliare, anche con benefici di carattere economico, per famiglie che assumono compiti di accoglienza e di cura di anziani, di minori in affidamento, di disabili fisici, psichici e sensoriali e di altre persone in difficoltà.

Queste prestazioni di carattere economico, definite in genere anche buoni o assegni di cura, hanno come finalità il sostegno alla capacità della famiglia di farsi carico dell’assistenza a persone, che siano o meno componenti della famiglia, in condizioni di difficoltà, di mancanza di autonomia, di non autosufficienza. L’assegno di cura in questo caso rappresenta un riconoscimento ed un risarcimento, ancorché parziale, del lavoro di cura che viene svolto all’interno della famiglia, facendo affidamento sulle proprie risorse; si tratta di uno strumento assimilabile alle tradizionali modalità di sostegno al reddito familiare.

La legge prevede inoltre, all’art. 17, che i Comuni possano prevedere la concessione, su richiesta dell’interessato, di titoli validi per l’acquisto di servizi dai soggetti accreditati del sistema integrato di interventi e servizi sociali, ovvero come sostitutivi delle prestazioni economiche.

Rispetto a quest’ultimo strumento, il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali precisa che i buoni-servizio (definiti in genere anche voucher), concessi dai Comuni su richiesta dell’interessato, siano utilizzabili per “acquistare” servizi da erogatori pubblici o privati accreditati, operanti sul territorio.

Si tratta, anche in questo caso, di uno strumento di sostegno alla capacità della famiglia di affrontare le problematiche sociali che sorgono al suo interno, ricorrendo ad erogatori esterni accreditati, dai quali acquistare prestazioni sociali integrative delle prestazioni garantite con risorse proprie.

Entrambe le tipologie di “titoli sociali” si caratterizzano come strumenti generali, a sostegno del ruolo di accoglienza e di cura della famiglia, ma strumenti alternativi fra loro, dato che se nel primo caso la famiglia trova al proprio interno le risorse necessarie per la presa in carico e l’assistenza ai suoi componenti più deboli, nel secondo ricerca al di fuori di sé e compera da terzi le prestazioni sociali necessarie, pagandole con “titoli” (voucher, non versamenti in denaro).

Le finalità dichiarate, che si intendono realizzare con l’introduzione di questi strumenti sono: l’ampliamento della platea degli assistiti, il miglioramento della qualità dell’assistenza, la crescita della flessibilità nei sistemi di offerta, una maggiore attenzione ai bisogni ed alle preferenze individuali; i risultati però sono molto diversi.

I due strumenti, infatti, non sono equipollenti, poiché hanno un impatto diverso sul sistema dei servizi; la sintesi che segue evidenzia queste differenze, rilevate da recenti studi e ricerche sulle esperienze in corso (vedi in particolare gli scritti di E. R. Ortigosa, C. Gori, A. Battistella ed altri in “Prospettive Sociali e Sanitarie” del 2001-2002), considerandone i diversi aspetti: le ripercussioni sulla rete dei servizi, la possibilità di diversificazione degli interventi, il problema del controllo della qualità degli interventi, la libertà di scelta degli utenti, il contenimento dei costi.

Ø Il voucher è uno strumento che, attraverso un sostegno alla rete di offerta, può contribuire alla crescita di un sistema di offerta di servizi sociali, ed alla creazione di un mercato più ampio e differenziato; il buono o assegno di cura, finalizzato a compensare l’attività di cura di un familiare o ad acquistare le prestazioni di personale non qualificato può, al contrario, rischiare di determinare un indebolimento delle reti di offerta professionali, a favore della rete informale di offerta di lavoro nero, sottopagato e privo di garanzie.

Ø Il voucher rappresenta uno strumento utile per perseguire una diversificazione e specializzazione dei servizi, maggiormente calibrati sulle esigenze specifiche degli utenti, orientando in tal senso la rete professionale; la disponibilità di un contributo economico, rappresentato dal buono, orienta tendenzialmente la famiglia verso il mercato delle “badanti”.

Ø Diverse sono le possibilità di controllo della qualità delle prestazioni erogate da parte dell’ente pubblico finanziatore; il controllo sull’adeguatezza, più facile nel caso del voucher e di un’erogazione del servizio da parte di una rete di soggetti accreditati, è molto più complesso, spesso inesistente, nel caso del buono, data la difficoltà di valutare l’efficacia di interventi non professionali.

Ø Nel caso del voucher la responsabilità della definizione del progetto assistenziale può restare in capo ad un operatore professionale dei servizi, che può scegliere il mix di prestazioni più adatto a soddisfare il bisogno dell’utente, nel caso del buono questa responsabilità è completamente in mano all’utente ed alla sua famiglia, che spesso non ha la competenza necessaria, con un alto rischio quindi di inadeguatezza dell’intervento.

Ø Differenze si possono rilevare anche dal punto di vista del contenimento dei costi: il voucher, investendo su servizi professionali più qualificati è sicuramente più costoso; è forse questo il motivo per cui gli enti locali hanno preferito finora l’assegno di cura al voucher.

I rischi derivanti dall’introduzione di buoni e voucher riguardano inoltre:

Ø gli effetti sul nucleo familiare: il ricorso al buono può determinare una legittimazione del ruolo assistenziale della donna all’interno della famiglia, indotta a lasciare il lavoro professionale per dedicarsi al lavoro di cura, con difficoltà di reinserimento e ripercussioni negative sulle sue prospettive professionali, alla conclusione dell’esperienza di cura;

Ø l’inadeguatezza degli interventi, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, presente in entrambe le situazioni, ma maggiormente nel caso degli assegni di cura.

Un possibile vantaggio determinato dall’introduzione del voucher è stato individuato, in particolare per i piccoli comuni, che possono così offrire ai propri cittadini prestazioni che non sarebbero altrimenti in grado di erogare direttamente, permettendo l’accesso a servizi erogati da altri soggetti o da comuni limitrofi, che potrebbero essere interessati a dimensionare i propri servizi su un’utenza più ampia.

La politica dei “buoni” della Regione Lombardia: le previsioni programmatiche.

Il tema del cambiamento del modello di welfare lombardo viene posto dalla giunta lombarda sin dall’inizio della legislatura, a partire dal Programma Regionale di Sviluppo (PRS) 2000/05 e ricorre in tutti i successivi documenti programmatici, in particolare nei Documenti di Programmazione Economico Finanziaria Regionale (DPEFR).

· Il PRS 2001/2005, nell’area dei servizi alla persona, che comprende le politiche sociali e sanitarie, ha indicato alcuni obiettivi programmatici, che accentuano gli elementi di trasformazione già introdotti nella passata legislatura, con l’obiettivo di prefigurare un nuovo welfare in cui dovrà ridursi sempre più il ruolo del pubblico, a favore di un sistema fondato sull’auto-organizzazione da parte della società delle risposte ai bisogni sociali.

Nel capitolo relativo a “Persona, famiglia, associazioni”, gli obiettivi “Un welfare più leggero”, “Famiglia”, “Servizi per gli anziani” contengono le linee guida di questa trasformazione:

a il riequilibrio della tipologia dei servizi offerti, attraverso un contenimento delle “componenti ad infrastrutturazione pesante” ed uno sviluppo dei servizi domiciliari, in un’ottica di maggiore flessibilità,

a l’introduzione del “bonus” per l’anziano non autosufficiente, da utilizzare per remunerare l’attività di cura da parte dei familiari o di terzi, in attuazione della l.r. 23/99 sulla famiglia.

Il vero elemento di innovazione del sistema viene indicato in una parola-chiave ricorrente: il “bonus alle famiglie”, quale soluzione al problema dell’aumento della domanda di cura e di assistenza da parte di un numero progressivo di anziani non autosufficienti, a fronte della scarsità delle risorse pubbliche a disposizione.

Si tratta di una proposta in evidente contrasto con quanto affermato nell’introduzione al PRS, che delinea, sulla base del “Rapporto IRER 2000-2005”, lo scenario in campo sociale, caratterizzato da profonde trasformazioni demografiche (aumento dell’indice di dipendenza, che passa dal ’91 al ’98 da 39,7 a 42,5 anziani e giovani ogni 100 soggetti in età lavorativa e una riduzione progressiva della dimensione delle famiglie, dei tassi di nuzialità e di natalità ed un aumento del numero delle unità familiari).

L’Irer, evidenziando come l’intreccio problematico tra la struttura delle famiglie e le risorse materiali e relazionali di cui dispongono induca una maggiore fragilità delle stesse, con rischi di marginalizzazione delle fasce più deboli, pone l’esigenza di “politiche coerenti di sostegno alle reti familiari, del volontariato e dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari”, poiché ”la necessità di trovare riposte a bisogni di cura e di accudimento che prima venivano assolte dalle reti familiari spinge alcune tipologie familiari, che non dispongono di supporti interni adeguati, verso queste reti esterne”. Da ciò scaturisce quindi l’indicazione della necessità di un intervento articolato, che sappia sperimentare nuove modalità di sostegno anche economico alle famiglie, ma che nel contempo investa in una rete qualificata di servizi territoriali.

· Il DPEFR 2002/04 pone l’obiettivo di costruire un modello che veda compiersi il passaggio dal “Welfare State” alla “Welfare Society”. Documenti precedenti sottolineano invece l’obiettivo del passaggio da un “welfare evoluto” ad un “welfare devoluto”, dal che si evince l’opposizione tra “devoluzione” ed “evoluzione” del sistema. Motore di questo processo di trasformazione è la valorizzazione della famiglia come realtà in grado di assumere e di vedersi riconosciuta una responsabilità centrale nei compiti di cura, attraverso la proposta di introdurre forme di sostegno economico (voucher) alle famiglie che si fanno carico di soddisfare alcuni bisogni come soluzione alternativa alla residenzialità.

L’obiettivo indicato è quello di creare nei servizi un sistema misto in cui accanto al pubblico operi, in pari dignità, un privato di “pubblica utilità”. Affinché questo modello si consolidi è necessario che vengano adeguatamente riconosciuti i soggetti no profit e sia assicurata ai cittadini la libertà di scelta tra i vari servizi offerti, che dovranno essere accreditati e assoggettati al controllo pubblico per garantirne la qualità e l’efficacia.

· Il Piano Socio Sanitario Regionale (PSSR) 2002-2004 non dedica molta attenzione all’area dei servizi sociali, viene però sottolineato il contrasto tra il modello lombardo di welfare e le scelte della legge 328/00, rivendicando l’esigenza di valorizzare le specificità proprie del sistema lombardo in materia di riconoscimento del ruolo della famiglia e dello strumento dei buoni.

· Nel DPEFR 2003-2005, in attuazione del PSSR, vengono indicate alcune priorità per la realizzazione di “un welfare più leggero”, caratterizzato dalla sussidiarietà orizzontale, attraverso il consolidamento del sistema dei buoni e dei voucher e l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, delle associazioni e delle comunità. A tal fine si prevede l’esternalizzazione delle attività delle Asl, attraverso la realizzazione di “agenzie di servizi alla persona”, per la gestione dei servizi socio sanitari e sociali, in competizione con altri erogatori.

Il modello “accreditamento-voucher” diventa inoltre modello generale di riforma del welfare lombardo, prevedendo l’estensione della sua applicazione a diversi ambiti: da quello sociale e socio sanitario, a quello formativo, dell’istruzione universitaria e nelle altre politiche dei servizi alla persona.

La politica dei “buoni” della Regione Lombardia: le realizzazioni.

Queste previsioni programmatiche hanno avuto una prima attuazione nel 2001, quando la giunta lombarda ha avviato in aprile la sperimentazione di un “buono sociosanitario” per gli anziani ultra settantacinquenni non autosufficienti assistiti in famiglia, con le caratteristiche sia dell’assegno di cura sia del voucher. L’erogazione, inizialmente prevista dall’aprile 2001 a fine anno, con uno stanziamento di 50 mld. di lire, è stata successivamente prorogata fino al giugno 2002.

· Con la dgr 9379 del 14/6/2002 si è conclusa la sperimentazione; dal monitoraggio di questa esperienza è risultato che la maggior parte dei beneficiari (98,5%) ha soddisfatto le proprie esigenze attraverso l’assistenza del caregiver familiare, avvalendosi in misura marginale dei servizi socio-sanitari territoriali.

Con la stessa delibera si è deciso:

a di garantire la prosecuzione dell’erogazione del buono socio sanitario per gli anziani non autosufficienti (413 euro mensili) fino al 31.12.2002 ai soli beneficiari al 30.6.2002, con uno stanziamento di ulteriori 15,396 mil. di euro (circa 30 mld. di lire);

a di avviare nel secondo semestre 2002 l’attivazione sperimentale nelle Asl di Lecco e di Milano 3 (Monza) del voucher socio-sanitario, per “tutte le persone fragili” (non più riservato quindi alla popolazione anziana), utilizzabile per l’acquisto di prestazioni di assistenza sociosanitaria integrata, erogate da caregiver professionali. Il valore mensile del voucher socio sanitario è stato fissato a tre livelli (362, 464,619 euro), in relazione alle risorse umane e tecniche impiegate, alla natura del bisogno ed alla complessità ed intensità dell’intervento assistenziale programmato; lo stanziamento complessivo per le due Asl è di 1,849 mil. di euro (circa 3,5 mld. di lire);

a di vincolare i Comuni a garantire con i fondi sociali ex-328 la continuità del pagamento del buono socio-sanitario regionale per gli anziani non autosufficienti. La Giunta regionale condiziona così i Comuni, titolari delle funzioni in campo sociale, nelle loro scelte programmatorie e gestionali, prima attraverso la delibera di linee-guida sulla definizione dei Piani di zona, ora con questo provvedimento, che scarica sui bilanci comunali l’onere del buono introdotto dalla Regione, con l’obiettivo di risparmiare risorse regionali, da dirottare sui voucher socio-sanitari, gestiti direttamente attraverso le Asl.

Con lo stesso provvedimento si stabilisce che i direttori generali delle Asl, in sede di presentazione dei Piani sociali di Zona da parte dei Comuni per l’acquisizione dell’intesa, debbano garantire nel territorio di propria competenza “un’implementazione dell’intervento comunale” mediante il buono/voucher tale che “... non vanifichi, ma dia continuità ai buoni risultati della sperimentazione regionale del 2001”, il che significa che in tutte le Asl dal 2002 inizierà l’erogazione del buono e del voucher sociale comunale, finanziato dalle risorse del Fondo indistinto per le politiche sociali (112 mil. di euro nel 2001), orientate nel triennio per il 70% a questo scopo.

L’introduzione del voucher socio sanitario, inoltre, rappresenta esplicitamente una modalità di avvio del trasferimento ad altri soggetti del ruolo di erogatore di prestazioni domiciliari integrate svolto dalle Asl, come previsto dal recente PSSR, che assegna alle stesse l’esercizio dell’esclusivo ruolo di programmazione, acquisto e controllo (PAC). Contestualmente, infatti, viene deciso di bloccare, in materia di assistenza domiciliare integrata, l’adozione da parte delle Asl lombarde di nuove convenzioni, di nuove iniziative di certificazione Adi, nonché l’indizione di nuove gare di appalto.

· Con la DGR n. 11555 del 13.12.2002, la Giunta ha deciso la prosecuzione per il 2003 della sperimentazione del voucher nelle Asl di Lecco e Monza e l’attivazione della distribuzione del voucher nelle restanti Asl entro il 30.6.2003, considerando il voucher uno strumento per avviare il graduale trasferimento a soggetti pubblici e privati, profit e non profit, del ruolo di erogatore di prestazioni domiciliari integrate attualmente svolto dalle Asl. La delibera indica come obiettivo primario di questa scelta quello di “evitare o ritardare l’istituzionalizzazione dell’individuo non auto sufficiente” e come obiettivi secondari:

a Consolidare e sviluppare una nuova rete di erogatori pubblici e privati, profit e no profit in tutte le Asl.

a Promuovere e stimolare una riorganizzazione aziendale dell’Asl che garantisca la separazione delle funzioni di programmazione e controllo dei servizi domiciliari dalla funzione di organizzazione ed erogazione delle relative prestazioni.

Il provvedimento prevede quindi:

a alcuni requisiti, molto limitati e formali, che devono possedere i soggetti interessati ad erogare le prestazioni domiciliari, per la sottoscrizione del “patto di accreditamento”,

a la separazione a livello di ogni Asl delle funzioni di erogazione delle prestazioni domiciliari da quelle di programmazione e controllo dei servizi,

a la conferma del blocco delle convenzioni e delle gare di appalto in materia di ADI,

a l’avvio della verifica della “customer satisfation” attraverso la somministrazione di questionari agli utenti,

a la fissazione “in via transitoria” dell’entità mensile del voucher sociosanitario in rapporto ai tre livelli di assistenza domiciliare previsti nella sperimentazione di Lecco e Monza (profilo di base: 362 euro, pazienti complessi: 464, pazienti terminali: 619).

Il giudizio del Dipartimento Welfare della Cgil Lombardia.

La giunta lombarda ha improvvisato nel 2001 la sperimentazione del “buono socio sanitario”, ha successivamente avviato la sperimentazione del voucher in due Asl ed ha deciso ora la sua generalizzazione, senza aver tenuto nella giusta considerazione i risultati di quella prima esperienza.

E’ significativo infatti che nella delibera sui voucher non si faccia alcun riferimento al soggetto che dovrebbe avere la responsabilità del “progetto assistenziale”, che dovrebbe accompagnare l’utente e/o la sua famiglia nella ricerca del mix di prestazioni più adatte a rispondere ai suoi bisogni di cura. Da tempo sono state cancellate in molte Asl le Unità di Valutazione Geriatrica che avevano questo ruolo e altri strumenti non sono stati individuati; non ci sembrerebbe in ogni caso adeguata una soluzione che indicasse nel solo medico di base questa responsabilità.

E’ anche questo un modo per mettere in discussione il ruolo dei servizi sociali professionali, del loro compito di accompagnamento, in nome di una libertà di scelta più teorica che reale, dato che non sempre le famiglie, in particolare quelle più bisognose, hanno le competenze necessarie per scegliere la soluzione più giusta.

La scelta tra assegni di cura e voucher può avere ricadute diverse sul sistema dei servizi, così come l’utilizzo di questi strumenti può avere una diversa finalità: andare nel senso di un rafforzamento del sistema di welfare, garantendo un ampliamento delle tutele o rappresentare la strada per un suo ridimensionamento.

Questi strumenti possono rappresentare, a determinate condizioni ed in particolare se collocati all’interno della rete dei servizi, una modalità di intervento finalizzata a realizzare un’ipotesi di sviluppo dei welfare locali, in un’ottica di maggiore inclusione sociale.

Così non è, però, in Lombardia, dove la scelta della giunta regionale va chiaramente nella direzione di una destrutturazione del sistema dei servizi pubblici: le Asl dovranno liberarsi di qualsiasi ruolo di erogazione diretta ed esternalizzare tutti i propri servizi, così come i Comuni dovrebbero limitarsi ad erogare voucher e buoni, tornando a quello “Stato assistenziale”, caratterizzato da emolumenti e trasferimenti economici, che la 328 avrebbe voluto definitivamente superare, per realizzare un “sistema integrato di servizi sociali”.

Sorge il dubbio che la “leggerezza” e la “flessibilità” del welfare che si vuole realizzare in Lombardia altro non siano che una modalità per ridurre le prestazioni, attraverso una trasformazione del sistema, che prevede:

· una trasformazione del ruolo dell’Asl, che dovrà limitarsi alla programmazione, all’acquisto ed al controllo (PAC), trasformandosi così in un’Asl “assicuratrice”, che possa in un futuro essere sostituita da “altri soggetti acquirenti di prestazioni” (mutue, assicurazioni), cui fa riferimento il PSSR, per ora con un’ipotesi solo sperimentale,

· la chiusura di servizi a gestione diretta, con l’esternalizzazione delle attività relative, una scelta funzionale ad un uso flessibile delle risorse: a differenza di un servizio strutturato, l’erogazione di “buoni” e “voucher” può essere maggiormente condizionata dalla disponibilità delle risorse e può quindi essere più facilmente messa in discussione da scelte di riduzione della spesa sociale.

La Cgil non rifiuta in modo pregiudiziale l’utilizzo dei buoni e dei voucher, ma ritiene vadano collocati nel contesto delle politiche socio sanitarie della Regione Lombardia, valuta quindi negativamente le modalità di utilizzo di questi strumenti, in quanto finalizzati a realizzare gli obiettivi di trasformazione del sistema socio sanitario che la Giunta si è data con l’approvazione del PSSR.

Le proposte del Dipartimento Welfare della Cgil Lombardia.

Buoni Sociali comunali.

Come si è già rilevato, l’esperienza dei Comuni nell’utilizzo dei buoni è molto diffusa e consolidata, è inoltre molto variegata e comprende diverse tipologie di interventi:

· il buono come strumento di integrazione del reddito: contributi economici per garantire il “minimo vitale”, contributi economici di sostegno continuativo a nuclei familiari in difficoltà, contributi economici straordinari per nuclei familiari in condizioni di difficoltà momentanee, contributi per l’affitto, per il pagamento di utenze domestiche, ecc…

· assegni di cura per famiglie che assistono in casa anziani non autosufficienti, o disabili,

· assegni per la regolarizzazione di “badanti”, ecc…

L’attuazione dei Piani sociali di zona è l’occasione per ridefinire questa materia, sia per definire regole comuni tra i Comuni dell’Ambito territoriale, sia per finalizzare le risorse disponibili al sostegno di uno strumento di inclusione o re-inclusione sociale, sul modello del Reddito Minimo di Inserimento, sperimentato in questi anni in diversi Comuni con buoni risultati, laddove è stato effettivamente finalizzato al sostegno di percorsi individuali di inserimento formativo e/o lavorativo.

La riprogettazione dell’utilizzo dei buoni e dei voucher comunali, che avrà come riferimento non il singolo comune, ma il livello distrettuale, potrà attingere alle esperienze locali più avanzate, per l’assunzione di criteri omogenei di accesso, di quantificazione degli emolumenti e di controllo. Lo strumento più adatto a questo fine è l’approvazione di un regolamento, concordato tra i Comuni del Distretto, che definisca regole, criteri di accesso ai pacchetti di prestazioni, individui tipologie di bisogno, limiti di reddito ISEE, composizione del nucleo familiare, tariffe, compartecipazioni, ecc…

Voucher socio sanitari regionali.

In questa fase di avvio dell’implementazione dei voucher socio sanitari da parte di tutte le Asl riteniamo che debbano essere rispettate una serie di condizioni:

1. Ruolo del servizio pubblico.

Lo sviluppo di questo modello di intervento fondato su accreditamento-voucher presuppone un salto di qualità nel ruolo degli enti locali e delle Asl, per garantire il governo complessivo del sistema (accesso, accreditamento, contratti,…). Il mantenimento di un ruolo di erogazione diretta di servizi da parte dell’Asl è la condizione per garantirlo.

La Cgil è contraria ad un’ipotesi di esternalizzazione dei servizi ADI attualmente a gestione Asl, alla rinuncia ad un ruolo di erogazione diretta dei servizi, che devono invece continuare a rappresentare il punto di riferimento per una corretta programmazione, per valutare il funzionamento del sistema, per garantire una maggiore possibilità di scelta da parte dei cittadini.

Un ruolo importante nell’erogazione di prestazioni di assistenza domiciliare integrata può inoltre essere svolto dalle Ipab, che gestiscono istituti di riabilitazione (IDR) o servizi per anziani (RSA; Centri diurni integrati,…) e sono interessate ora da un processo di trasformazione in Aziende pubbliche di servizi alla persona (Asp), la cui attività dovrà aprirsi maggiormente al territorio, ampliando la gamma dei servizi offerti.

2. L’accompagnamento del cittadino.

Fondamentale è l’informazione dei cittadini e questo è compito dei servizi comunali e dell’Asl.

In una logica di governo a rete dei percorsi assistenziali, finalizzata a garantire la continuità di cura, il cittadino va aiutato nella scelta della risposta più adatta al suo problema; questo è un compito dei servizi pubblici, che attraverso una serie di strumenti (Unità di valutazione geriatrica, Unità di valutazione multi dimensionale,…) devono colmare il deficit di conoscenza dei cittadini in condizione di bisogno, in una realtà caratterizzata da un’asimmetria di potere tra utente ed erogatore.

Il compito della certificazione del bisogno e della presa in carico della persona in difficoltà non può che essere dei servizi pubblici, così come il programma personalizzato di assistenza, che individua le prestazioni necessarie, deve essere concordato tra l’UVM ed il MMG; dovrà essere inoltre individuato l’operatore “responsabile del caso”.

L’utente dovrà poter scegliere tra diversi erogatori, tra diverse strutture accreditate, compreso il servizio ADI dell’Asl.

3. Accreditamento, vigilanza e controllo.

I requisiti per l’accreditamento degli erogatori previsti dalla DGR sono troppo generici, devono essere definiti in modo più preciso, con particolare riferimento alle caratteristiche professionali degli operatori ed al livello di qualità delle prestazioni rese. E’ compito dell’Asl la verifica del possesso di tali requisiti per l’accreditamento e del mantenimento nel tempo degli stessi.

Il controllo della qualità dei servizi offerti non può essere affidato solo alla verifica della soddisfazione dell’utente attraverso i questionari, ma deve essere svolto anche dall’Asl.

A cura del Dipartimento
Welfare e nuovi diritti della Cgil Lombardia

 


       



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