15 Settembre, 2002
Teheran, brucia?
I giorni caldi dell’Iran. Gli scontri in piazza e l’attesa per capire come si schiereranno bazar e clero sciita - Di Antonello Sacchetti (Misteri Persiani, I ragazzi di Teheran – Infinito edizioni)
Difficile, in un momento del genere, trovare la freddezza per un’analisi razionale di quanto sta avvenendo in Iran. Chi scrive ha ormai da anni un legame affettivo con questo paese, con la sua gente, con i suoi luoghi. È strano e terribile passare un weekend su Twitter e leggere il rimbalzo continuo di appelli e informazioni. Indirizzi di ambasciate che accolgono feriti, indicazioni su cariche della polizia, ma anche istruzioni su come fabbricare bombe fumogene. Dove finisce la realtà e dove comincia il reality? Piazza Enghelab, Vali Asr, Piazza Azadi. Luoghi familiari che diventano lo scenario di una tragedia nemmeno immaginabile appena una settimana fa. Adesso si parla di un Paese sull’orlo della guerra civile. Le manifestazioni nelle grandi città sono degenerate in sconti con morti e feriti. Tutto ci arriva attraverso i social network, nuovi protagonisti dell’informazione globale.
A cosa stiamo assistendo? Alla crisi finale di un regime? O a un regolamento di conti interno, tra Khamenei e Ahmdinejad da una parte e Rafsanjani e Moussavi dall’altra? L’arresto e il successivo rilascio di Faezeh Rafsanjani, figlia dell’ex presidente della Repubblica e attuale presidente dell’Assemblea degli esperti, ha tutta l’aria di una rappresaglia. Ma, presa per buona questa seconda ipotesi, i manifestanti sarebbero pedine inconsapevoli di un gioco più grande di loro.
Sono stato l’ultima volta in Iran esattamente un anno fa. Ricordo che un’amica disse: “Se continua così scoppierà una rivoluzione più violenta di quella del 1979. Perché la gente è esasperata e non farà sconti a nessuno per quello che sta vivendo ora”. È probabile che molti iraniani abbiano vissuto i brogli elettorali come la beffa che si aggiunge ai problemi economici e alle limitazioni alle libertà personali. La scintilla che dà fuoco alle polveri. I motivi della protesta sono perciò diversi e tutti politicamente validi. Però è perlomeno azzardato stabilire paralleli con le manifestazioni del 1978-79 che portarono alla cacciata dello scià. Allora quel regime era al collasso. Qui, nonostante tutto, ha appena votato l’85 per cento degli aventi diritto ed è innegabile che Ahmadinejad abbia un consenso popolare. Inoltre, è bene ricordare che Moussavi non è certo una figura anti-sistema.
Se le collocazioni dei politici sono ormai nette, non è ancora definito l’assetto sociale e politico della contesa. Da che parte starà il bazar stavolta? E il clero sciita? Il primo ha un potere economico determinante. Lo fu per la cacciata dello scià e la vittoria di Khomeini. Il secondo ha un’autorevolezza e una capacità di mobilitazione forse inferiori a 30 anni fa, ma comunque rilevanti. Il grande ayatollah dissidente Hossein Alì Montazeri, rivale della guida suprema Alì Khamenei, ha detto che “resistere alle richieste del popolo sulle elezioni è proibito dalla religione. È la prima presa di posizione netta dopo una settimana di silenzio.
I diversi Iran che si stanno confrontano non sembrano aver alcuna intenzione di arrivare a un compromesso. La “generazione pasdaran” non ha alcuna intenzione di cedere il potere alla vecchia guardia dei Moussavi e dei Rafsanjani. I giovani (quelli che ora tutti chiamano i ragazzi di Teheran) hanno scelto i secondi in opposizione ai primi. Ma fino dove sono disposti ad arrivare?
 
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