15 Settembre, 2002
Irap, un’imposta da correggere se non da abrogare di Massimo Negri
In buona sostanza, le imprese non ci rimettono niente perché l’Iva è, tecnicamente, trasferita in avanti: è la classica imposta sui consumi dei beni e dei servizi.
Irap, un’imposta da correggere se non da
abrogare
Cari amici di Welfare Cremona,
scrivo una lettera a commento dell’articolo
di Vincenzo Visco, Le ragioni dell’Irap,
comparso il
23 ottobre 2009 nel sito di informazione
economica www.lavoce.info. Ricordo che l’Irap
(imposta regionale sulle attività produttive)
è stata da lui ideata e introdotta nel 1997,
al posto di altri tributi minori e avente
come destinazione il finanziamento del Servizio
Sanitario Nazionale. Leggere, nell’articolo,
che l’Irap sarebbe, per le imprese, neutra
come l’Iva mi ha lasciato di sasso.
Provo a smentire la tesi. L’Iva (imposta
sul valore aggiunto) è un’imposta collaudata,
presente nel nostro ordinamento dal 1972
ed effettivamente neutra per le imprese.
Esse si limitano, infatti, al ruolo di operatori
che riscuotono per conto dello Stato l’imposta
sulle fatture emesse versando ad esso, periodicamente,
la differenza tra l’Iva riscossa dalle vendite
e quella pagata sugli acquisti.
In buona sostanza, le imprese non ci rimettono
niente perché l’Iva è, tecnicamente, trasferita
in avanti: è la classica imposta sui consumi
dei beni e dei servizi.
L’Irap è tutta un’altra storia. Resta in
capo all’azienda. L’aliquota è bassa (ora
al 3,9%) ma ha una
base imponibile formata - semplifico - dal
valore della produzione (fatturato) dedotte
le spese, con esclusione del costo del lavoro
e degli oneri finanziari. La conseguenza
è che “colpisce indifferentemente le imprese
che guadagnano e quelle che perdono”, per
usare le parole di Francesco Giavazzi sul
Corriere della Sera del 23 ottobre 2009.
Ad esempio del secondo caso, porto qui la
testimonianza di un’impresa meccanica medio-piccola
che, qualche anno fa, ha fatto cospicui investimenti
per rinnovare gli impianti. Per effetto degli
interessi passivi sui prestiti e delle quote
d’ammortamento dei beni strumentali ha chiuso
quell’esercizio in perdita. Ebbene, ha dovuto
fare un altro mutuo di 100 mila euro per
pagare la sola Irap. Su un piano più generale,
la pesante crisi economica internazionale
2008/9 ha peggiorato i bilanci aziendali
contribuendo, purtroppo, ad ampliare sensibilmente
la casistica. Da qui, le rinnovate e diffuse
lamentele verso l’Irap.
Detto che il reddito d’impresa è già tassato,
a seconda della natura giuridica dell’azienda,
via l’Irpef (imposta sul reddito delle persone
fisiche) o l’Ires (imposta sul reddito delle
società), spero infine che, politicamente
parlando, il PD faccia ora quadrato attorno
alla recente proposta del Senatore Enrico
Morando di rendere deducibile il costo del
lavoro ai fini Irap. Il prevedibile calo
di gettito, richiede subito, però, la precisazione
della relativa copertura finanziaria, con
incremento di altre imposte e/o la riduzione
di voci di spesa. Va da sé che il recupero
di qualche punto di evasione fiscale, magari
mediante la reintroduzione della tracciabilità
bancaria dei pagamenti voluta da Visco e
abolita dall’attuale ministro dell’Economia
Tremonti, sarebbe parimenti utile allo scopo.
Cordiali saluti
Massimo Negri – Casalmaggiore (CR)
 
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