15 Settembre, 2002
Non dobbiamo arrenderci alla Lega di Andrea Daconto.
Addirittura un ministro della Repubblica sarà protagonista di una manifestazione per la chiusura della moschea di via Massarotti.
L'intervento scritto di Andrea Daconto,coordinatore
cittadino Federazione Giovani Socialisti,
all'incontro dibattito dell'Ulivo Cremonese
" Da immigrati a cittadini".
Sappiamo tutti che dopodomani, proprio nella
nostra
città, addirittura un ministro della Repubblica
sarà
protagonista di una manifestazione per la
chiusura
della moschea di via Massarotti.
Un atteggiamento di totale chiusura, destinato
inevitabilmente a scontrarsi con la realtà
che, al
contrario, impone di confrontarsi serenamente
e senza
pregiudizi con l'evoluzione in senso interculturale
della nostra società.
In questa direzione parrebbe orientarsi la
recente
proposta, proveniente da un altro partito
della
maggioranza, di concedere il voto, uno dei
più
importanti diritti politici, agli immigrati
in
possesso di determinati requisiti.
Al di là delle perplessità che nascono dalla
paternità della proposta, presentata da un
partito
protagonista della legge Bossi-Fini, una
delle leggi
più limitative dei diritti civili degli immigrati,
è
indubbio che la previsione del diritto di
voto per gli
immigrati sia un fatto positivo.
Rilanciamo dunque il confronto su questo
tema,
sicuramente più serio e civile rispetto alla
paventata
istituzione di corsi di dialetto per immigrati,
simbolo di una grottesca concezione dell'integrazione
interculturale.
Tuttavia attenzione.
Non bisogna cadere nella trappola di considerare
il
diritto di voto agli immigrati come la variabile
che
risolva l'equazione o, peggio ancora, come
il punto di
arrivo di un processo che, al contrario,
deve in
realtà ancora incominciare.
Troppe volte, infatti, abbiamo assistito
a scoperte
dell'uovo di Colombo spacciate come rivoluzioni
copernicane, a scorciatoie di pensiero contrabbandate
come strade maestre.
E'un gioco pericoloso, un gioco a cui la
nostra
cultura ci impedisce di giocare, un gioco
a cui,
purtroppo, troppo spesso abbiamo giocato,
tentando di
inseguire sul suo terreno la Casa delle Libertà.
Quante battaglie sui simboli, non da ultima
quella
sul Crocifisso nelle scuole, abbiamo combattuto,
quanti falsi problemi, buoni per una politica
da
rotocalco, siamo stati costretti a risolvere.
E le
battaglie sostanziali? I problemi quotidiani,
quelli
veri?
Siamo sicuri che, parlando di immigrazione
dal punto
di vista degli immigrati, la possibilità
di votare sia
in cima all'elenco delle loro richieste?
O, piuttosto, non potrebbe essere l'ennesima
sirena,
l'ennesimo falso problema posto sul tavolo
per fare
audience e per distogliere l'attenzione dalle
questioni realmente imprescindibili?
Dobbiamo necessariamente alzare il tiro,
percorrere
vie anche più tortuose, ma realmente in grado
di
incidere sul tessuto sociale di una realtà
in
evoluzione.
E' questo il nostro terreno, con queste modalità
noi
vogliamo e dobbiamo lavorare e confrontarci:
si parla
di voto agli immigrati come veicolo d'integrazione?
Siamo d'accordo,ma rilanciamo sulle questioni
realmente critiche, riguardanti gli immigrati
così
come i cittadini italiani, e cioè LAVORO,
PARTECIPAZIONE, SANITA', CASA.
Occorre inoltre un serio ripensamento sul
concetto
stesso di "cittadinanza": condizioni
dell'integrazione
è la parificazione quanto più possibile di
diritti e
doveri, condizione irrealizzabile sino a
quando
continuerà a rimanere netta la distinzione
tra
cittadini e non-cittadini.
In quest'ottica appare sicuramente interessante
l'idea
di istituire una cittadinanza europea di
residenza,
così come la proposta di riforma della legge
sulla
cittadinanza.
Ciò non significa aprire varchi nella rete
dei nostri
confini, esponendosi ad una invasione incontrollata
di
orde saccheggiatrici di civiltà, ma solo
riconoscere
la giusta e naturale dignità a persone che
possono, e
devono, contribuire all'arricchimento economico
e
culturale della nostra società.
Tra l'altro, chi si riconosce parte integrante
di una
struttura comune è sicuramente più portato
ad
accettarne le regole e i doveri di chi, al
contrario,
viva quotidianamente una situazione di estraneità
e di
conflitto.
Parlando di cittadinanza non si può non riferirsi
alle
basi del nostro patto costituzionale.
L'art.1 della Costituzione è sin troppo chiaro
nell'individuare il lavoro come uno dei valori
fondanti la nostra società. Possiamo noi
continuare a
trasformare un elemento così vitale in occasione
di
vergogna ed imbarazzo nei confronti dei migranti?
Possiamo continuare a trattare la manodopera
immigrata
alla stregua di una merce ?
E'di pochi giorni fa la notizia dell'ennesimo
incidente mortale sul lavoro,vittima un immigrato
albanese privo di regolare contratto.
Possiamo continuare ad auto-definirci "civili",
quando
quotidianamente facciamo carta straccia di
uno dei più
importanti principi di civiltà, quello della
sicurezza
nei luoghi di lavoro?
Quel ragazzo albanese forse avrebbe desiderato
votare, sicuramente avrebbe preferito continuare
a
vivere.
Lavoriamo su questo tema: le pensioni sono
importanti, sicuramente, ma ancora più importante
è
eliminare i rischi che milioni di lavoratori,
immigrati e non, corrono ogniqualvolta si
recano sul
posto di lavoro.
Quanti immigrati conoscono lo Statuto dei
Lavoratori?
Quanti conoscono il Decreto Legislativo 626
del 1994
sulla sicurezza nei luoghi di lavoro? E,
più in
generale, quanti conoscono veramente i propri
diritti
e, soprattutto, la maniera di esercitarli,
rendendoli
così effettivi?
Tra l'altro, anche quando l'immigrato voglia
ribellarsi ad uno status che lo vede indiscutibilmente
soggetto debole, la paura del licenziamento
e, di
conseguenza, di perdere oramai l'unica possibilità
di
risiedere regolarmente nel nostro Paese,
lo fa
desistere dal rivendicare con fermezza i
propri
diritti, condannandolo ad uno stato di soggezione
e
abusivismo che non è certo premessa di una
costruttiva
integrazione.
Vivere in un ambiente lavorativo che li accolga,
li
rispetti e, soprattutto, non li uccida è
per gli
immigrati sicuramente più auspicabile che
avere la
possibilità di recarsi in una cabina elettorale.
E se il lavoro è un valore primario della
Carta
Costituzionale, il mandato di rappresentanza
tra
elettori ed eletti ne è uno degli elementi
più
caratterizzanti.
L'articolo 48-bis della Costituzione, così
come
immaginato da Alleanza Nazionale, si limita
a
concedere il diritto di voto agli extracomunitari
solo
nelle elezioni amministrative, mentre sarebbe
assolutamente più incisivo ipotizzare un
rapporto più
diretto tra gli immigrati e la comunità in
cui
vivono, mediante l' attiva partecipazione
da parte
degli immigrati stessi ai vari meccanismi
che reggono
la comunità, anche, e soprattutto, quelli
decisionali.
In quest'ottica, appare sicuramente interessante
ma,
temiamo, troppo riduttiva l'idea di prevedere
un
semplice consigliere aggiunto nelle amministrazioni
locali.
Questa figura, infatti, corre il rischio
di ricoprire
un ruolo solo di facciata finchè le espressioni
delle
comunità immigrate, singole o organizzate,
non
potranno influire con il voto negli Enti
amministrativi.
E'un'idea assurda ed irrealizzabile? Forse
si, ma in
questa maniera, ad esempio, si contribuirebbe
a
responsabilizzare quanti tra gli immigrati
vedono la
nostra società come un qualcosa di alieno,
estraneo,
spesso ostile.
Per non parlare del contributo culturale
che potrebbe,
e oramai dovrebbe, essere apportato da persone
che
indiscutibilmente rappresentano una realtà
viva ed
importante.
Inoltre, solo così si potrà avere una visione
realmente completa delle dinamiche che compongono
il
sempre più articolato tessuto della nostra
società.
Certo, sempre che concretamente si voglia
perseguire
una politica davvero interculturale, di reciproco
arricchimento, e non ci si voglia accontentare
accodandosi a quanti propongono soluzioni
buoniste e
demagogiche.
Potremmo partire da strutture già esistenti,
cominciando ad attribuire maggiori poteri
decisionali
ai Consigli Territoriali per l'Immigrazione,
previsti
dalla Legge n.40/1998, rivedendone magari
anche le
modalità di partecipazione.
Nella nostra provincia questo organismo ha
già dato
vita alla pubblicazione di bollettini multilingue
per
un primo orientamento degli stranieri oltre
che,
soprattutto, all'organizzazione di corsi
di formazione
per operatori, ma molteplici sono, almeno
sulla carta,
le sue possibili funzioni.
Tuttavia, i Consigli non dispongono di fondi
propri,
e per questo se li devono procurare mediante
la
sottoscrizione di intese con gli Enti Locali
o con i
privati.
Si potrebbe anche pensare alla creazione
di una
specifica delega di giunta, chiamata ad operare
in
sinergia, ma con una propria, spiccata individualità,
con le varie associazioni che già adesso
lavorano ed
operano all'interno del complesso panorama
dei
fenomeni migratori.
Sarebbe importante che l'immigrato, oltre
che le
tradizionali associazioni di volontariato,
trovasse ad
accoglierlo un soggetto pubblico veramente
dotato di
grande peso e rilevanza.
D'accordo, quindi, sul diritto di voto agli
immigrati.
Ma la strada per una convivenza proficua
e civile
passa necessariamente attraverso l'individuazione
e la
promozione di momenti di partecipazione e
compenetrazione tra immigrati ed istituzioni.
La parola "integrazione" non rimanga
solamente un
vuoto simulacro da riempire con le briciole
di diritti
simbolici, magari travestiti da importanti
conquiste
di civiltà, adatti solo ad inseguire le più
svariate
tendenze modaiole.
Il passaggio da "immigrati" a "cittadini"
rimarrà un
democratico abito da sera, da conservare
nella
naftalina delle nostre coscienze, sino a
quando non si
sia preliminarmente compiuto il passaggio,
veramente
sostanziale, da "immigrati" a "persone".
Lasciamo ad altri l'abitudine di vestire
paillettes e
lustrini di civiltà, la nostra cultura ci
impone di
indossare l'abito da lavoro e di cominciare
a
costruire,non dal tetto ma dalle fondamenta,
una vera
società interculturale, fatta di democrazia,
rispetto,
diritti sociali.
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