15 Settembre, 2002
Negative reazioni all'invito del Parroco di Soresina a digiunare insieme ai mussulmani.
Una scelta pastorale di un uomo di Chiesa fatta ai fedeli di una Chiesa di Davide Vairani
Negative reazioni all'invito del Parroco
di Soresina a digiunare insieme ai mussulmani.
Una scelta pastorale di un uomo di Chiesa
fatta ai fedeli di una Chiesa di Davide Vairani
Egr. Direttore,
non mi stupiscono le reazioni negative scatenate
dall’invito rivolto ai fedeli dal Parroco
di Soresina a digiunare insieme ai musulmani
nella fase conclusiva del mese di Ramadan.
Richiamandosi all’invito fatto dal Vescovo
di Cremona, a sua volta ispirato dalle parole
dei Migrantes e di numerose realtà del mondo
cattolico che arrivano fino al Papa, il Parroco
di Soresina non ha fatto altro che seguire
le linee pastorali indicate dal Vescovo di
Cremona, con il chiaro ed evidente obiettivo
di costruire anche con questi piccoli passi
momenti di confronto, di dialogo, di conoscenza
e di preghiera tra religioni diverse e tra
persone diverse, legate tuttavia dalla credenza
in un unico Dio. Una scelta pastorale di
un uomo di Chiesa fatta ai fedeli di una
Chiesa.
C’è chi si è stracciato le vesti, invocando
integralismi pseudocattolici con un non tanto
vago richiamo alla storia fatta di armi e
di navi armate contro i saladini invasori
islamici, c’è chi si è stupito rinchiudendosi
in una miope difesa del cattolicesimo brandito
come arma di difesa culturale, sociale e
di identità contro un invasore islamico da
respingere tout court senza appello, c’è
chi ha parlato di tentativi di creare una
religione da supermercato sincretico… C’è
chi ha seguito le indicazioni e i suggerimenti
di digiuno come ha fatto il sottoscritto.
Non ho nessuna intenzione né di giudicare
atteggiamenti diversi dal mio né tanto meno
di fare semplici cose che semplici non sono.
La situazione internazionale cui purtroppo
siamo abituati ad assistere non può permettere
a nessuno giudizi trancianti e nemmeno soluzioni
facili da proporre. Il terrorismo internazionale,
le guerre che si moltiplicano in più parti
del mondo, la difficoltà di un governo internazionale
di fronte a questi avvenimenti, il fanatismo
e l’integralismo religioso ed etnico, senza
entrare ora nelle cause e nelle ragioni,
meritano attenzione nelle parole che si usano
e nelle proposte che si avanzano.
Proprio per questo motivo credo che occorra
riflettere e domandarsi con lucidità e senso
di responsabilità gli effetti di quello che
si dice e si scrive, a maggior ragione per
chi si trova ad avere responsabilità politiche
ed istituzionali. Per questo, mi limito a
suggerire la lettura del documento frutto
del simposio Le risorse spirituali delle
religioni per la pace (16/18 gennaio 2003
a Roma) organizzato dal Pontificio Consiglio
per il Dialogo Interreligioso della Chiesa
Cattolica con 38 partecipanti provenienti
da 15 diversi paesi che si sono dedicati
ad esplorare le ricche risorse delle religioni
(buddismo, cristianesimo, induismo, islam,
giainismo, ebraismo, sikhismo e zoroastrianesimo)
per la pace (www.vatican.va).
“L’educazione interreligosa – dice - che
prende sul serio l’autocomprensione delle
altre tradizioni religiose è essenziale per
comunicare il messaggio di pace alle nuove
generazioni. La sfida è quella di rimanere
fedeli alla propria religione senza denigrare
o distorcere quella degli altri. (…)
Le risorse spirituali per la pace comprendono
anche gli incontri interreligiosi che hanno
aiutato molti a riunirsi insieme per apprendere
le credenze religiose degli uni e degli altri,
per condividere valori, e per scoprire la
possibilità di vivere e lavorare insieme
per costruire società di giustizia e di pace.
(…) Il rispetto reciproco e il rispetto per
le differenze non sono semplicemente dei
nobili scopi, ma delle realtà raggiungibili.
L’opzione per la pace non significa una passiva
acquiescenza al male o un compromesso di
principio. Richiede una lotta attiva contro
l’odio, l’oppressione e la divisione, ma
non l’utilizzo di metodi violenti. La costruzione
della pace richiede un’azione creativa e
coraggiosa. L’impegno per la pace è un lavoro
paziente e perseverante. Comprende anche
la prontezza ad esaminare in maniera autocritica
le relazioni delle nostre tradizioni con
quelle strutture sociali economiche e politiche
che sono frequentemente agenti di violenza
e di ingiustizia.
Riconosciamo che nel contesto interrelato
delle nostre vite contemporanee, la cooperazione
interreligiosa non è più un’opzione ma una
necessità. Si potrebbe dire che essere religiosi
oggi vuol dire essere interreligiosi. La
religione prospererà in questo secolo solo
nella misura in cui manteniamo un senso di
comunità fra persone di diverse credenze
religiose che lavorano insieme come una famiglia
umana per ottenere un mondo di pace.
La ringrazio della sicura attenzione e le
porgo cordiali saluti.
Davide Vairani
(Soresina)
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