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 Politica

15 Settembre, 2002
Un appello per quei Paesi dove i farmaci sono un lusso
Nelle prossime settimane potrebbe consumarsi un nuovo attentato al diritto alla salute nei paesi più poveri in nome del commercio e dei profitti. Per impedirlo, è possibile firmare la petizione di Medici senza Frontiere.

Un appello per quei Paesi dove i farmaci sono un lusso
di Luigi Cancrini da www.unita.it

Nelle prossime settimane potrebbe consumarsi un nuovo attentato al diritto alla salute nei paesi più poveri in nome del commercio e dei profitti. Per impedirlo, è possibile firmare la petizione di Medici senza Frontiere.
Filippo Manassero
Presidente LILA Nazionale

PER UN NUMERO TROPPO GRANDE DI PERSONE IN AMERICA LATINA E NEI CARAIBI, I FARMACI SONO UN LUSSO. QUESTA SITUAZIONE È IN CORSO DI CAMBIAMENTO IN ALCUNI DI QUESTI PAESI POICHÉ LA CONCORRENZA GENERICA CHE RIGUARDA I FARMACI PER LA CURA DELL'AIDS PERMETTE DI FAR ABBASSARE RADICALMENTE I PREZZI. ED ECCO, ORA, CHE QUESTA EVOLUZIONE FAVOREVOLE È MINACCIATA A CAUSA DELLE DISPOSIZIONI RELATIVE ALLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE PROPOSTA NELL'ACCORDO DEL LIBERO SCAMBIO DELLE AMERICHE, UN TRATTATO COMMERCIALE REGIONALE CHE SI APPLICA ALLE AMERICHE, AD ECCEZIONE DI CUBA. RITENENDO CHE SI DEBBA EVITARE DI DISTRUGGERE LA CONCORRENZA, POICHÉ FAVORISCE UN ABBASSAMENTO DEI PREZZI DEI FARMACI ED UN ACCESSO PIÙ FACILE ALLE CURE, MEDICI SENZA FRONTIERE CHIEDE AI PAESI FIRMATARI DI ESCLUDERE TUTTI I PROVVEDIMENTI RELATIVI ALLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE DELL'ACCORDO DELLA ZONA DI LIBERO SCAMBIO DELLE AMERICHE. LE RIGOROSE NORME PROPOSTE SARANNO NEFASTE PER LA SANITÀ PUBBLICA NELLE AMERICHE.
Medici Senza Frontiere

L’invito a sottoscrivere l'appello dei Medici senza Frontiere fatto da Filippo Manassero va senz'altro accolto. Va anche fatto conoscere, però, perché purtroppo questo tipo di appelli non ha fatto e non fa notizia.
In un paese come il nostro e in questa fase non è giudicato politically correct dalle redazioni dei grandi giornali e da quelle dei giornali televisivi o radiofonici.
Propone, a chi decidesse di dar loro importanza, il rischio di un'accusa di antiamericanismo di maniera: sbagliato in una fase in cui l'Occidente dovrebbe stringersi senza troppi mal di pancia (Ferrara docet) intorno a chi difende la nostra civiltà all'interno di quello che in molti (troppi) cominciano a pensare che sia uno scontro civiltà invece che uno dei tanti scontri basati sul desiderio di controllare luoghi cruciali dal punto di vista economico e politico di cui la storia del mondo è piena da sempre.
Quella che io vorrei sostenere qui ancora una volta, dunque, è una tesi estremamente semplice. Per essa, le politiche neoconservatrici promosse negli Stati Uniti con forza particolare dal partito repubblicano dei Reagan e dei Bush hanno effetti importanti e pericolosi sui rapporti fra l'Occidente e il terzo mondo.
Più in particolare, esse condizionano in modo violento e gravido di conseguenze la politica e lo sviluppo di tutti i paesi dell'America Latina. Dove la zona del libero scambio delle Americhe viene vista come una costruzione diplomatica il cui scopo fondamentale è quello di mantenere l'egemonia degli Stati Uniti su tutto il continente.
Come ben rappresentato, oggi, dalla denuncia dei Medici senza Frontiere nel momento in cui essi segnalano la evidente incongruità di un patto che permetterebbe agli Stati Uniti di affermare il loro diritto allo scambio libero delle merci “povere” e di negare il diritto degli altri allo scambio delle merci ricche possedute in esclusiva da chi ne ha la “proprietà intellettuale”.
La crisi delle agricolture e delle produzioni industriali dei paesi latinoamericani è evidentemente collegata alla presenza massiccia sui loro mercati di prodotti a basso costo legato alle tecnologie più avanzate degli Stati Uniti e potrebbe trovare un rimedio, comunque parziale, solo nella possibilità di libero accesso a quelle proprietà intellettuali di cui ora si dice che non debbono invece rientrare nell'accordo.
Lo scopo vero del patto in queste condizioni sembra quello di rendere più forte l'asservimento delle economie dei paesi latinoamericani a quella degli Stati Uniti; un asservimento costruito e sostenuto in questi anni da un impegno politico e militare sempre molto forte basato su spettri (o slogans) diversi: dalla lotta contro il comunismo alla lotta contro la droga, dalla lotta contro i gruppi rivoluzionari di sinistra al controllo delle bande armate reazionarie di cui alternativamente si finanziava la costituzione e si condannava il terrorismo.
La ragione per cui di tutte queste cose non si deve parlare troppo, a questo punto, sembra legata a due motivi sostanziali.
L'idea di una industria della salute che, dovendo scegliere, preferisce aumentare il suo già astronomico profitto piuttosto che aumentare il numero di vite umane che possono essere salvate urta contro la coscienza media del cittadino occidentale e apre interrogativi pesanti sui valori che ispirano, nel suo divenire concreto, il progresso naturale di un capitalismo lasciato, a livello di scambi internazionali (dove non ci sono, cioè, sindacati né istituzioni in grado di porgli dei limiti) ai livelli “selvaggi” dell'800.
L'idea di un occidente ricco e generoso solo finché ci guadagna dei soldi e avaro nel momento in cui dovrebbe offrire delle cure a gente che sta male o che muore, d'altra parte, rischia seriamente di distruggere, nell'immaginario collettivo dei popoli meno fortunati, l'idea che i suoi rappresentanti siano lì per proteggerli. Scoprendo il gioco da una parte e dall'altra: nei paesi ricchi del G8 e in quelli poveri del resto del mondo; negli Stati Uniti e in America Latina.
Non c'è molto da stupirsi, in queste condizioni, del fatto per cui i governanti, i giornali e le televisioni che da essi pensano di dover dipendere, facciano di tutto per rendere inoffensiva la denuncia di Medici senza Frontiere. Come? Tacendola.
Permettendole di circolare solo in ambienti ristretti, fra persone che già sapevano, di cui sprezzantemente si dirà poi, se insistono a parlarne, che sono antiamericani, comunisti o antioccidentali. Ma impedendole, questo sì, di arrivare dove non devono arrivare: al grande pubblico, alla gente che vota, alle minoranze silenziose che non debbono mai essere messe troppo in crisi dalle notizie scomode.
Personalmente ritengo che questo tipo di oscuramento delle notizie sia alla radice di molti dei problemi di cui si discute oggi. Nel piccolo del nostro paese, dove la grande stampa “libera” o “liberal” sente più che altrove il guinzaglio del politichese perbenista, esso è sicuramente alla base dei forsennati attacchi a l'Unità da parte dei berlusconiani doc alla Ferrara.
Nel contesto più ampio e più interessante della politica mondiale esso spiega bene, ugualmente, quella che Piero Sansonetti indicava nei giorni scorsi su questo giornale come una difficoltà di fondo del popolo no-global di dialogare con le forze politiche più tradizionali: movimento abituato ad informarsi su internet che offre oggi alla diffusione delle notizie uno spazio molto più libero di quello proposto dalle Tv e dai giornali, quello dei no-global si presenta oggi come un movimento capace, infatti, di porre domande (e di chiedere risposte) proprio su temi su cui l'opinione pubblica dei paesi occidentali viene informata solo marginalmente.
La questione, che è una questione di fondo, chiede probabilmente un ripensamento forte delle politiche tradizionali. In quello che sarà, se riusciremo a vincere le prossime elezioni, un nuovo governo dell'Ulivo, dovrebbe far pensare, forse, ad una attenzione particolare e nuova ai problemi che chiedono di essere affrontati oggi in sede di Onu e di organizzazioni sovranazionali: la droga, le armi e le politiche di equilibrio fra Nord e Sud del mondo, i diritti delle persone che lavorano e delle donne, la protezione dei minori che nascono nelle zone più povere del pianeta, le scelte che si fanno a livello di organizzazione mondiale del commercio e il modo in cui la capacità di affrontare questi problemi può dare un serio contributo alla più importante di tutte le questioni, quella relativa alla pace.
Occorrerà, per farlo, una capacità nuova di passare dalle parole ai fatti.
Occorrerà, forse, immaginare forme nuove di rappresentanza perché il Ministero degli Esteri potrebbe non essere sufficiente da solo.
Occorrerà, soprattutto, rendersi conto del fatto per cui aver sconfitto Berlusconi ed i suoi sarà, se ci riusciremo, solo un primo passo. La vicenda politica vera, quella delle grandi scelte e delle grandi responsabilità, non si esaurisce con una vittoria elettorale. Comincerà, invece, proprio da lì.
 


       



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