15 Settembre, 2002
Il dopo Ipab di Gian Vittorio Lazzarini
Ipab: dopo la decisione di diventare “fondazioni” o “aziende”, riaprire il confronto per la qualità del servizio delle case di riposo
Ipab: dopo la decisione di diventare “fondazioni”
o “aziende”, riaprire il confronto per la
qualità del servizio delle case di riposo
Gli aspetti antecedenti del problema
Si è da poco conclusa una fase importante
della vita delle Ipab, gli enti gestori delle
case di riposo. Ricordiamo che le Ipab sono
state nei secoli enti di beneficenza creati
dalla carità e dalle donazioni testamentarie
dei cittadini, quindi legati strettamente
alla comunità in cui sono sorti. Nel corso
dei secoli, hanno visto trasformarsi più
volte la loro natura giuridica, che anche
nell’ultima loro configurazione, quella appunto
di Ipab, ha mantenuto un legame (anche giuridico)
coi Comuni, che avevano, fra l’altro, un
ruolo decisivo nella nomina dei Consigli
di amministrazione.
La legge 328 del 2000 ha chiamato tutte le
Ipab italiane entro l’autunno del 2003 a
trasformarsi o in Fondazioni (istituti di
diritto privato sotto il profilo giuridico)
o in Aziende di servizi alle persone (le
Asp, che mantengono personalità di diritto
pubblico).
Ovviamente, si è aperto il dibattito: quale
identità giuridica e forma gestionale assumere?
Lo Spi, a livello regionale come provinciale,
ha assunto una posizione così riassumibile.
In linea di principio, nessun nostro dubbio
sulla scelta a favore della soluzione di
un ente a diritto “pubblico”, cioè l’Asp:
sia per rispettare la storia di questi enti,
sia perché il ruolo delle case di riposo
deve essere progettato come integrato agli
altri servizi territoriali alla persona,
sia perché il carattere “pubblico” parrebbero
meglio tutelare i diritti dei dipendenti.
Ma, in Lombardia, ci siamo trovati di fronte
a una situazione nuova e, rispetto al panorama
nazionale, particolare: nell’applicazione
della legge 328 e relativi decreti attuativi,
la Giunta Regionale ha voluto fare pesanti
“forzature” proprio nel caso della trasformazione
in “aziende”: si è attribuita il potere,
fra molti altri, di nominare buona parte
del Consiglio di amministrazione, mettendo
i Comuni ai margini del processo di riorganizzazione
e di gestione di questi enti.
Invece, diventando Fondazioni, le ex Ipab
avrebbero avuto un minor il controllo da
parte della Regione e, paradossalmente, avrebbero
meglio garantito la loro relazione con le
amministrazione locali, dato che la normativa
regionale apre ai Comuni un notevole spazio
nei Consigli di amministrazione.
Per questa ragione, lo Spi non si è espresso
a favore di questa o di quella soluzione,
che per altro spettava legittimamente agli
amministratori delle Ipab e, in una certa
misura, dei Comuni. Abbiamo solo ribadito
che il nostro interesse era (e ancora è,
ovviamente) quello della difesa di due ambiti
di diritti: quelli degli operatori che lavorano
nelle case di riposo e quello degli assistiti.
Per quanto riguarda il primo, ricordiamo
che la pressione del fronte sindacale ha
ottenuto la formale garanzia che resteranno
uguali (come prevede soprattutto la legge
regionale n. 1 del 2003) lo stato giuridico
e lo status contrattuale dei dipendenti dell’Asp
e della Fondazione. Ma secondo i sindacati
della funzione pubblica la soluzione Asp,
offre maggiori garanzie sia sul piano contrattuale
sia su quello occupazionale; inoltre, sostengono,
un’azienda di carattere pubblico meglio favorisce
la qualità dell’organizzazione del lavoro
e dell’assistenza, nonché la possibilità
di integrare questo servizio con il complessivo
sistema socio-sanitario.
In grande maggioranza, ora sono “fondazioni”.
Il duro giudizio di Cgil, Cisl e Uil
A livello provinciale, solo 3 (su 27) delle
Ipab che svolgono servizio da Rsa si sono
trasformate in Asp; uguale tendenza in Lombardia,
dove il 90% è diventata “fondazione”.
Questa realtà pone ora al movimento sindacale
il problema di come muoversi. La prospettiva
è assai complessa, ma propone alcuni elementi
fondamentali, che cerchiamo di sintetizzare
al massimo grado. Il primo: la forte disapprovazione
(forse unico esempio in tutta la regione)
con cui Cgil, Cisl e Uil cremonesi hanno
giudicato qualche tempo fa l’ipotesi che
le Ipab scegliessero la strada della fondazione.
L’hanno ritenuta sbagliata per molteplici
motivi, a partire da quello che caccerebbe
le fondazioni nella logica della privatizzazione,
della concorrenza fra soggetti erogatori
di servizi alla persona, e quindi fuori dalla
programmazione pubblica e dalla logica della
partecipazione sociale (comunque, tutti siamo
consapevoli che gli ospedali, sebbene siano
aziende pubbliche, le Asl, non per questo
sono un modello di progettazione democratica
e di integrazione con gli altri servizi del
territorio).
La seconda: si indeboliscono le tutele per
l’occupazione e per le condizioni contrattuali
e la qualità del lavoro dipendenti.
Questi giudizi, anche perché collocati all’interno
di una complessa riflessione sul welfare
locale (un’iniziativa unitaria che crediamo
unica in Lombarda), devono essere tenuti
seriamente in conto Al di là di questa discussione
e valutazione, si impone ora la domanda:
che fare da oggi in avanti? E’ evidente che
il movimento sindacale ha tanta cultura ed
esperienza per non cadere nella tentazione
di continuare a fare polemica su queste questioni.
Se in fase di dibattito e allo scopo (legittimo)
di fare pressioni a favore di una certa soluzione,
la durezza di certi giudizi può apparire
in un certo senso motivata, oggi non lo sarebbe
più, almeno in quella forma: fatto salvo
il nostro diritto di criticare e, se il caso,
di dissentire, non possiamo correre il rischio
di delegittimare tanti amministratori delle
Fondazioni e dei Comuni e di ostacolare la
ripresa di un nostro confronto produttivo
con loro.
Ripartire da ciò che ci caratterizza: la
difesa dei diritti dei lavoratori e degli
assistiti
L’importanza dei servizi residenziali nel
sistema di protezione sociale per gli anziani
non autosufficienti; la sua straordinaria
portata economica, sociale, valoriale, morale,
rendono urgente la ripresa della nostra elaborazione
e azione. La nostra iniziativa deve tener
conto, ovviamente, anche del percorso appena
concluso e della situazione concreta venutasi
a creare, quella che ha visto prevalere la
scelta per le fondazioni. Abbiamo un criterio
prezioso di orientamento: partire da ciò
che sempre deve ispirare la nostra azione,
cioè la difesa dei diritti. In altre parole,
dalla difesa del lavoro, nelle dimensioni
che contano (livelli di occupazione, retribuzione,
qualità delle mansioni, valorizzazione delle
competenze e del valore-persona, ecc.) ed
insieme dalla difesa degli assistiti, nelle
dimensioni che contano (dignità umana, efficacia
della cura e dell’assistenza, condizioni
ambientali e relazionali positive, ecc.).
Queste due irrinunciabili finalità devono
essere armonizzate fra loro: ma lo dobbiamo
fare non solo sui documenti, e ancora meno
ripetendo formule di principio o ancorando
la loro realizzazione a questa o a quella
soluzione giuridica, ma con precise e mpie
strategie.
C’è tanto da fare, da costruire, da innovare,
anche per quanto riguarda la capacità dei
sindacati dei pensionati e dell’intero movimento
sindacale di essere attori sociali decisivi
nel territorio.
Un solo rapido elenco di questioni e di prospettive
impegni permette di individuare un vasto
campo di impegni:
Gli Statuti.
Sono già stati decisi (e senza alcun confronto
col sindacato: e forse bisognerebbe chiederci
seriamente il perché, per fare meglio in
futuro). Ma gli Statuti, pur essendo documenti
fondamentali (comunque non immodificabili),
in ogni modo permettono interpretazioni,
individuazione di priorità. Inoltre, anche
perché chi li ha elaborati, sia pure in misura
diversa, ha comunque seguito una ispirazione
e una logica “pubblica”, contengono sempre
idee di politica sociale, di ideazione organizzativa,
prospettive di interazioni con le istituzioni
locali e regionali, con le comunità di appartenenza,
gli utenti, le forze sociali. Inoltre, anche
perché lo prescrive la legge, gli Statuti
devono declinare l’appartenenza delle case
di riposo all’intero sistema socio-sanitario
ed anche, in misura più o meno forte, evocare
strategie di messa in rete con le altre case
di riposo.
In tutto questo, c’è spazio per approfondimenti,
focalizzazioni, aggiustamenti anche importanti.
Proprio la novità della situazione può stimolare
tutti a meglio perseguire l’obiettivo di
un Welfare territoriale solidale, conseguito
in modo partecipato e democratico.
I Regolamenti
Sono sempre, in questi casi, concretizzazioni
importanti degli Statuti. Dato che riguardano
da vicino aspetti rilevanti anche per i dipendenti
e per gli utenti, non possiamo perdere l’occasione
di realizzare un confronto con le nostre
Asp e Fondazioni proprio su questo tema.
Progettazione sociale territoriale
Qui si apre anche per il sindacato un grande
terreno di confronto e di azione, che deve
partire da un approfondimento della riflessione
sul nostro stesso ruolo e sulla nostra stessa
capacità di proposta, critica, di azione
sociale. A questo proposito anche lo Spi,
sindacato che dell’articolazione territoriale
fa il suo punto di forza, proprio qui ha
mostrato carenze e debolezze: di fatto (per
varie ragioni non imputabili alle volontà
dei singoli dirigenti zonali) , le sue Leghe
non hanno assunto in questa occasione una
funzione significava. Più in generale, occorre
creare lo spirito e le condizioni reali per
realizzare nel vasto e articolato mondo del
sindacato confederale una elaborazione e
un confronto di tipo nuovo, più aperto e
produttivo, così come una capacità più alta
di progettare e di stringere rapporti di
partnership sul territorio.
Opportunità e vincoli oggi delle Asp e delle
Fondazioni
Anche per le nuove Fondazione, si apre un
nuovo ventaglio di opportunità e obblighi…
Tanto per fare un esempio, proprio la maggior
autonomia (ma ci sarà?) della Fondazione
rispetto al Comune, potrebbe favorire la
spinta a crescere in efficienza, messa in
rete, capacità di entrare in sinergia con
altri soggetti, a partire da altre case di
riposo, ognuna della quali potrebbe “specializzarsi”
in una funzione che svolge anche per le altre.
Inoltre, l’apertura di una fase nuova potrebbe
(meglio, dovrebbe) favorire il ripensamento
e il rilancio dei servizi che la casa di
riposo, come già avviene in certi casi, svolge
per la comunità e per il territorio. Forse
oggi si può affrontare in modo migliore il
problema di come il servizio “esterno” della
case residenziale diventi ancora più forte
ed efficace, evitando che esso di fatto,
come qualche volta succede, si riduca ad
un indebolimento della qualità della cura
e dell’assistenza sia dentro all’istituto
sia nel territorio, bensì diventi sempre
di più una preziosa opportunità di difesa
dell’occupazione, di crescita e di qualificazione
delle competenze, di sperimentazione di nuovi
profili professionali.
Inoltre, è indispensabile ricordare che si
sono avviati importanti percorsi per mettere
in sinergia più Fondazioni fra di loro, e
queste coi servizi alla persona dei Comuni
(soluzione che, tra l’altro, prevede l’approdo,
in termini nuovi, a entità di natura “pubblica,
come è nel progetto del Comune di Cremona).
La pagina è stata stesa da Gianvittorio Lazzarini,
che ha raccolto le riflessioni della Segreteria
provinciale dello Spi-Cgil di Cremona, che
condivide la presente elaborazione.
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