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15 Settembre, 2002
Falluja: il piccolo mondo degli "umanitari"
Storia dal campo

Assedio, bombardamenti, attacchi indiscriminati, arresti, feriti, e morti.

Queste le parole chiave usate negli ultimi mesi per descrivere la tragedia che si sta consumando fra Falluja e Ramadi. Poche sono le informazioni e le immagini che i media internazionali riescono a recuperare, e tra il film della guerra angloamericana da una parte e i proclami dei terroristi dall'altra, nel mezzo si nascondono le immagini della distruzione, dei civili morti e feriti, della degenerazione di un conflitto che ancora una volta colpisce soprattutto la popolazione civile inerme e in particolare le fasce più deboli.

Accanto ai bollettini di guerra, però, continuano incessanti e nell'ombra le attività dei pochi operatori umanitari che riescono fra mille difficoltà a proseguire il lavoro di sostegno alle donne, ai bambini e a tutti gli sfollati ormai confinati nei villaggi della cintura esterna delle due città.

ICS - Consorzio Italiano di Solidarietà può contare da mesi sul preziosissimo contributo di 8 suoi operatori iracheni sul campo. Operatori umanitari che da aprile ad oggi hanno raccolto dati, informazioni, bisogni e distribuito aiuti.

Ma come possono lavorare, concretamente, degli operatori umanitari iracheni nel caos generale dell'Iraq di oggi?

M. lavora per ICS dal 2003. E' il responsabile di ICS sul campo. Originario di Baghdad, ha moglie e tre figli. Da quando è scoppiata l'emergenza a Falluja, nella scorsa primavera, fa avanti e indietro da Falluja a Baghdad nei week end mentre durante la settimana spesso deve raggiungere Amman, in Giordania, per portare informazioni e coordinare il lavoro con i responsabili di ICS.

M. crede profondamente nel lavoro umanitario che fa. Il coordinamento delle attività con i colleghi sul campo, il rigore nell'applicazione dei principi umanitari di imparzialità ed indipendenza, il tentativo di raggiungere sempre anche aree ad alto rischio per raccogliere testimonianze, verificare lo stato dei civili e portare aiuti lo testimonia quotidianamente.

Ogni giorno, negli ultimi mesi, sono stati ponderati a più livelli dell'organizzazione i passi da compiersi. Vengono verificate costantemente le condizioni di sicurezza e la possibilità di interrompere il lavoro o di lasciarlo incompiuto è costantemente presente. Se siamo ancora in grado di proseguire è davvero solo grazie alla collaborazione di M. e dei suoi colleghi. Più volte infatti da parte loro è stato sottolineato quanto importante sia continuare il lavoro umanitario. Per una questione di speranza, ci dicevano. Per dare un senso all'orrore che avevano intorno e alla follia di cui erano testimoni involontari. Per un futuro diverso del popolo iracheno.

Per questo ci pare importante raccontare piccoli episodi che caratterizzano la vita di un operatore umanitario a Falluja di questi tempi: come si muove, come fa i conti con la realtà drammatica che lo circonda. Come valuta le diverse situazioni e come anche noi, colleghi in Italia, raccogliendo le sue testimonianze dobbiamo via via valutare la situazione sul campo e di conseguenza prendere le giuste decisioni per salvaguardare la sua incolumità e quella dei suoi colleghi.

M. da giugno 2004 è incaricato oltre che di coordinare il lavoro degli altri 7 operatori anche di redigere rapporti e di verificare ad esempio l'adeguatezza delle stazioni di pompaggio dell'acqua di Ramadi (oltre che di organizzare attività di formazione professionale, tornei sportivi per i bambini e corsi di cucito per gli sfollati). Per fare tutto questo M. ha dovuto mantenere un profilo bassissimo nei suoi movimenti. Raccogliere informazioni, parlare, fra gli altri, con i responsabili delle stazioni di pompaggio, verificare la veridicità dei dati.

E' in questo contesto che M. ha dovuto far ricorso a espedienti, per così dire, "creativi" per portare a termine il lavoro. La moglie di M. è originaria di Ramadi: così M. ha caricato in macchina moglie e figli, si è vestito secondo la tradizione araba (cosa cui non è generalmente avvezzo) e da Baghdad è partito alla volta di Ramadi città, già sotto assedio.

Il rapporto con la famiglia di origine della moglie non è mai stato particolarmente buono poiché M. è un cittadino "metropolitano" mentre la famiglia della moglie è molto legata alle tradizioni e dunque vede M. non troppo di buon occhio. In una situazione normale la famiglia di M. sarebbe andato dai parenti di Ramadi solo per le feste e il viaggio sarebbe durato non più di due ore. Invece, ci hanno impiegato 2 giorni, fra posti di blocco e cambi di strada per questioni di sicurezza. Giunti finalmente a Ramadi dai parenti, M. con l'aiuto di altri membri della famiglia - superando le diverse titubanze - ha potuto incontrare tutti i responsabili delle stazioni, parlare con la gente che si è aperta con lui, ha potuto raccogliere informazioni sugli sfollati.

M. ha dovuto coinvolgere tutta la sua famiglia per riuscire a fare bene il suo lavoro, e consentire che ICS e altre organizzazioni umanitarie fossero in grado di distribuire correttamente i beni umanitari necessari. A Ramadi, ma anche nei villaggi attorno a Falluja gli operatori umanitari iracheni devono mettersi in gioco. Totalmente. Così vengono accettati, capiti e ottengono la fiducia delle migliaia di sfollati abbrutiti dall'emergenza.

**************

M. e i colleghi consentono da settimane di aggiornare la situazione dei civili sfollati. I loro dati vengono ripresi dalle Nazioni Unite per coordinare gli aiuti umanitari sul campo e dalle agenzie stampa per informare sulla drammatica realtà delle donne, dei bambini e degli anziani scappati da Ramadi e Falluja.

Catherine Dickehage

Responsabile Relazioni Esterne ICS

 


       



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