Mentre tutti eravamo sgomenti di fronte alla fine, nel Sud Est asiatico, di
un pezzo di mondo, il Governo ha prorogato per un pugno di mesi nell'incarico,
scadente il 15 gennaio, il Procuratore nazionale antimafia. La proroga è
avvenuta quasi di nascosto siccome inserita all'interno di un decreto legge
dedicato, per il resto, ai bilanci degli enti locali, alla «liberalizzazione
dell'accesso al mercato dell'autotrasporto di merci per conto di terzi» e a
«contributi allo spettacolo dal vivo» (in evidente contrasto con il recente
monito del capo dello Stato, contenuto nel messaggio di rinvio alle Camere della
legge sull'ordinamento giudiziario, circa la necessità che i provvedimenti
legislativi siano chiari e controllabili). Il decreto appare sotto più profili
in contrasto con la Costituzione e integra forse il più grave attacco di questi
anni all'indipendenza della magistratura.
La Costituzione limita lo strumento del decreto legge, e dunque la competenza
(provvisoria) del Governo, ai «casi straordinari di necessità e d'urgenza».
Nella vicenda specifica la relazione che accompagna il provvedimento motiva
la straordinaria urgenza con la impossibilità di lasciare vacante, anche per
pochi mesi, l'incarico di Procuratore nazionale antimafia «date le
esigenze di lotta alla criminalità organizzata». È un esempio tipico di «non
motivazione»: la necessità di affrontare una agguerrita criminalità
organizzata non è, nel nostro Paese, una improvvisa e imprevedibile emergenza
ma (purtroppo) un dato costante; se l'impostazione sottesa al decreto fosse
fondata, tutti
i Procuratori della Repubblica (e perché non anche i sostituti?) di Napoli,
Palermo o Reggio Calabria dovrebbero vedersi prorogato senza fine l'incarico
(anche oltre i limiti d'età); la procedura per nominare il nuovo procuratore è
in pieno svolgimento e in ogni caso, stando alla finalità dichiarata, nessuna
proroga sarebbe, anche in astratto, giustificabile oltre i termini necessari per
tale nomina.
Ma, soprattutto, la Costituzione affida le «assegnazioni» dei magistrati
esclusivamente al Consiglio superiore e non v'è dubbio, alla luce della
giurisprudenza della Corte costituzionale, che in tale concetto rientra la
proroga di un incarico oltre i limiti temporali per i quali è stato, a suo
tempo, assegnato.
Non a caso è la prima volta nella storia della Repubblica che un magistrato
viene mantenuto nell'incarico mediante un provvedimento emesso dal potere
esecutivo. Se fosse l'inizio di una serie, l'effetto sarebbe inevitabilmente la
cancellazione dell'indipendenza della magistratura (suscettibile di essere
governata dall'esterno con una accorta politica di conservazione nell'incarico
dei dirigenti graditi alle contingenti maggioranze politiche).
Evitare che ciò avvenga è necessario, dunque, sia con riferimento al caso
specifico sia per impedire che si realizzi un precedente gravissimo. Confidiamo
che il Consiglio superiore della magistratura faccia la sua parte per
scongiurare questa evenienza ma, insieme, auspichiamo da parte dell'attuale
Procuratore antimafia un gesto che elimini in radice il problema. Conosciamo da
anni Piero Vigna; ne abbiamo apprezzato e ne apprezziamo, insieme alla ben nota
professionalità, la sensibilità istituzionale e il disinteresse personale;
abbiamo salutato con soddisfazione e apprezzamento la sua conferma nell'attuale
incarico, avvenuta all'unanimità, da parte del Consiglio superiore; gli siamo
grati per il modo in cui ha saputo in questi anni dirigere un ufficio delicato e
importante come la Direzione nazionale antimafia. Per questo siamo certi che
saprà dire di no a un provvedimento che riguarda non solo lui personalmente ma
l'intera magistratura e le sue condizioni di indipendenza.
7 gennaio 2005
primi firmatari (alle ore 18.30 del 7 gennaio 2005)