Cari amici di Welfare Cremona,
desidero porre alla vostra cortese attenzione alcuni appunti che ho preso
Sabato 19 novembre 2005 a Colorno (PR) dove Giampaolo Pansa ha presentato il suo
ultimo libro "Sconosciuto 1945" (Sperling & Kupfer Editori) avente
come sottotitolo: Ventimila scomparsi, torturati e uccisi: le vendette dopo il
25 aprile nelle memorie dei vinti. Segue il mio breve intervento nel dibattito,
la risposta di Pansa e una controreplica che, a posteriori, riservo a voi. In
calce una perla di Alberto Arbasino.
La relazione di Pansa ha sottolineato, in partenza, che si è parlato a
lungo, e giustamente, dei desaparecidos delle dittature sudamericane ma si è
parlato poco e male dei fascisti e dei loro familiari fatti scomparire durante e
dopo il 1945. Sono storie atroci, violente, operate da una minoranza di
partigiani verso chi aveva solo la colpa, e a volte nemmeno quella, di aver
avuto la tessera del fascio. O verso i loro familiari, colpevoli di essere stati
parenti di un fascista. Oppure verso settori della borghesia delle libere
professioni o dell' impresa accusati di aver appoggiato il fascismo per
servirsene. I fatti erano noti, visti, ma prevaleva nella maggioranza della
popolazione un luogo comune, una logica-giustificazionista: "se l' han
fatto fuori è perché qualcosa avrà fatto".
Il libro è il frutto della riscrittura di circa 2000 lettere-testimonianze
ricevute dall' autore a seguito del precedente "Il sangue dei vinti".
Nei 60 anni che ci separano dalla Liberazione la storia è stata scritta, come
sempre accade, soprattutto dai vincitori. Questi libri, invece, danno voce ai
vinti che reclamano uno spazio a lungo negato. Finalmente un mondo esce dalla
prigione del silenzio. Nel frangente Pansa, più che uno "storico della
domenica"
(come altre volte si è definito), si è battezzato un "raccontatore di
storie" che altrimenti si sarebbero perdute. Ma, sappiamo, ogni memoria di
un paese, per ricostruirsi su basi solide, ha bisogno della testimonianza sia
dei vincitori che dei vinti. E, nel campo dei vinti, sono ancora aperte le
ferite che erano state come congelate dall'obbligo di non parlare, dal timore,
dalla vergogna, con tutto il loro carico di dolore ma non di odio. In breve, c'
è la necessità di una memoria "da completare" se non proprio
"da condividere".
La relazione è terminata rilevando che la Resistenza non fu un fenomeno di
popolo. Pure Ernesto Ragionieri - storico del PCI - giunse alla conclusione che
si trattò di uno scontro tra due minoranze. La maggior parte degli italiani
appartenne a quella che Renzo De Felice chiamò "la zona grigia" e
stette alla finestra a guardare o si nascose per non finire nella mischia.
Il mio breve intervento è partito, invece, da una tesi dello storico Aldo
Capitini che sosteneva essere il revisionismo come il colesterolo: c' è quello
buono e c' è quello cattivo. Quello cattivo è negazionista ed è portato
avanti da chi, per esempio, nega o ridimensiona l' Olocausto. Quello buono,
invece, è di chi si assume la fatica di riandare a tutte le fonti che il tempo
e lo sviluppo degli studi mettono a disposizione per riscrivere, alla luce delle
nuove scoperte, i fatti e contribuire, in tal modo, al riformarsi della verità
storica che non è mai un dato acquisito per sempre ma un concetto in continuo
divenire.
Ho reso dunque omaggio all' opera di ricerca e di divulgazione storica
compiuta da Pansa. Detto questo, ho ricordato un aneddoto. Nel corso di un
dibattito, divenuto ormai celebre, Vittorio Foa disse un giorno a Mirko
Tremaglia: "La differenza tra noi e voi è che avendo vinto noi tu ora
siedi in Parlamento mentre se aveste vinto voi io ora sarei ancora in
prigione". Ho ricordato l' aneddoto perché penso che è grazie alla
vittoria del 25 Aprile
se oggi, 60 anni dopo, possiamo rivedere con occhio più critico e sereno
quei fatti, condannando le malefatte di una minoranza di partigiani dell'
immediato dopoguerra. Penso sia il frutto di una democrazia via via più matura.
A questo punto Pansa, dopo aver ringraziato per gli elogi, ha subito detto
che l' aneddoto è noto ma va completato perché si tace sempre la risposta che
Tremaglia diede a Foa: "Si è vero, ora siedo in Parlamento ma se avesse
vinto la fazione rossa del PCI io sarei già stato fucilato o sarei finito al
confino e tu, che sei uno spirito indipendente, avresti forse fatto la stessa
fine". Pansa rinforza la tesi ricordando al numeroso pubblico presente
in sala che pure un segretario importante del PCI come Luigi Longo ha
sostenuto che "ci doveva essere il 2° tempo rivoluzionario dopo il 1°
tempo della guerra di Liberazione".
La mia controreplica fissa un solo punto. La questione sollevata da Tremaglia
non si è posta, né ha corso il rischio di porsi, perché il PCI vinse la
guerra di Liberazione non in solitudine ma assieme ad altre forze democratiche e
con l'appoggio degli Alleati anglo-americani. Fu parte attiva dei CLN e dei
primi governi della Repubblica e dette un valido contributo alla Costituzione,
ovvero a valori di libertà e regole istituzionali vincolanti per tutti. Poi,
nelle elezioni del 18 aprile 1948, vinse, con merito, la DC di De Gasperi e il
PCI svolse il suo ruolo di opposizione emarginando presto le residue spinte
eversive presenti al suo interno.
A seguito inoltre di un altro intervento nel dibattito Pansa è giunto a
sostenere la doppia alzata di cappello nei confronti dei combattenti delle due
parti. No, caro Pansa, su questa strada non la seguo. Giusto dare la voce ai
vinti ma nessun chapeau verso gli ex-repubblichini di Salò, schierati a fianco
della Germania nazista.
Gli appunti si chiudono con un timore. Pansa ha iniziato il suo brillante
percorso da scrittore con la pubblicazione della sua tesi di laurea "La
guerra partigiana tra Genova e il Po". Sono seguiti altri testi su quel
filone, dando voce pertanto ai vincitori. Ora il cerchio si chiude dando la voce
ai vinti. Sin qui, credo, sia un' evoluzione normale e coerente con la
curiosità e la libertà tipica dell' autore. Con un riflesso, però. In questi
anni Pansa,
con la trilogia "I figli dell' Aquila", "Il sangue dei
vinti" e "Prigioniero 1945" è stato letteralmente travolto da
un' ondata di consensi e di gratitudine "da destra" che fa da
contrappunto alla faziosità di quella parte della sinistra che lo accusa di
tradimento.
Il mio timore è che tanto conforto e calore da parte di persone un tempo
lontane e ora vicine mentre, dal lato personale, senz' altro premiano la
missione di pacificatore nazionale che Pansa si è dato, dal lato del giudizio
storico, offuschino un po' la vista facendogli perdere il tradizionale distacco
ed equilibrio.
Sul piano, invece, dell' attualità politica, per fortuna, il suo
"Bestiario" su L' Espresso - che dal 2004 tiene da pensionato -
rimette a posto le cose. Meno male, perché la penna di Pansa è sempre
stimolante e gradevole.
Cordiali saluti
Massimo Negri - Casalmaggiore (CR)
"Chi ha vissuto la guerra e il dopoguerra può ben ricordare che fra il
1945 e il 1955 ci si occupò soprattutto di ricostruzione - materiale e
culturale - e non già di rievocazioni di stragi. Furono onorate le vittime dei
bombardamenti, e si compiansero i militari caduti dalla Russia all' Africa, ma
senza gemiti quotidiani insistenti o pedanti.Non si voleva affogare i bambini
nel lutto; avevano già sofferto abbastanza tra le bombe e la fame. Non si
voleva ricadere nel culto dei sacrari e ossari e riti e cippi: tipico dei
fascisti dopo la Grande Guerra. Si ragionava piuttosto come De Gaulle e
Adenauer; una pietra sugli odi e i rinfacci; e non rivangarli mai più. Sennò,
si ricomincia.Né i lombardi né i romani né i napoletani né i veneti né gli
ebrei sottolineavano i propri caratteri distintivi o tipici. Anzi, si
assimilavano con una certa naturalezza, senza far notare le differenze. Nemmeno
fra i ricchi e i poveri. E fu presto normale andare a sciare in Austria e a
studiare a Londra, senza pregiudizi italiani: già con un certo senso civico
europeo".
(Alberto Arbasino, La Repubblica, 12 novembre 2000)