Piera Egidi Bouchard (giornalista)
Eppur bisogna andar. Testimoni della Resistenza
Libertà e giustizia, Claudiana
pp. 249 più 8 di illustrazioni f.t., Euro 13.50, 2005
Prefazione di Nicola Tranfaglia.
Con uno scritto di Giorgio Vaccarino
Una ventina di ritratti - tra storia orale, giornalismo e letteratura - di
grandi protagonisti della lotta di liberazione. Percorsi di vita a partire dalle
contraddizioni, le difficoltà e le ragioni delle scelte di uomini e donne che,
formati sotto il regime totalitario fascista, presero coscienza della necessità
della Libertà.
Bianca Guidetti Serra, Giorgina Arian Levi, Cesare Alvazzi, Marisa Diena,
Giulietto Giordano, Giuliana Segre, Giorgio Girardet...
Evangelici, cattolici, ebrei e laici nelle Valli valdesi, in Liguria, a
Torino, Ivrea, Firenze, Roma...
Estratto
PREFAZIONE
NON PORTAVA IL CAPPOTTO
di MARIO MIEGGE
In una mattina invernale molto limpida (come talora accade persino nella
pianura padana) camminavo con Ferdinando Visco Gilardi nella periferia di
Cinisello Balsamo, poco trafficata nelle ore in cui tutti sono al lavoro. Nando
era uscito di casa senza giaccone o cappotto e gli chiesi se non avesse freddo.
Sorrise e disse che, nei mesi della reclusione nel lager di Bolzano (dal
dicembre 1944 al 30 aprile 1945), era diventato del tutto insensibile alle
variazioni di temperatura. Aggiunse che quel mutamento fisico e mentale aveva
avuto inizio al momento della tortura. Nel corso di un interrogatorio spietato,
condotto per mezzo di elettrodi, la soglia estrema del dolore si era
improvvisamente ribaltata nella percezione tranquilla di un centro luminoso, che
non si spegneva 1. Tornato vivo nella sua cella, l’illuminato non aveva più
patito né caldo né freddo: «e così è stato fino a ora».
Era la prima volta che incontravo Visco Gilardi e mi duole di non aver avuto
in seguito altre lunghe conversazioni con lui, come quella mattina. Non ricordo
con precisione l’anno e la data (1968 o 1969). Erano comunque i primi tempi
della «Comune» di Cinisello 2 , di cui ero ospite, affascinato dalla novità,
intensità e ricchezza di un esperimento di vita associata e di lavoro
collegiale, solidamente «puritano» nell’impianto e nella gestione quotidiana. La
biografia qui tracciata da Giorgio Bouchard mette in evidenza 3 il ruolo che
Nando Visco Gilardi ebbe nell’iniziativa e nella vicenda della Comune. Era un
ruolo in larga misura «paterno»: non soltanto nell’intreccio delle relazioni e
degli affetti personali ma altrettanto nella condivisione e discussione delle
scelte, sul piano della «fede» come su quello della «politica».
Quel giorno a Cinisello ho appreso la sua storia personale e ho anche capito
che essa si saldava pienamente con le nostre, senza alcuno iato tra le
generazioni.
Come si spiega? Sicuramente in base al fatto che Visco Gilardi era nello
stesso tempo un «fedele» evangelico e un «militante» di lunga esperienza nei
raggruppamenti della sinistra italiana, ai quali un certo numero di noi aveva
aderito, più tardi e per diverse vie. Quella compresenza di convinzioni
religiose e di impegno politico appariva a molti (nei due versanti, abitualmente
opposti, della tradizione cristiana da una parte e dell’ideologia ufficiale
storico-materialista dall’altra) ambigua e insostenibile. Il racconto di Nando,
la sua coscienza di sé, la sua lucidità riguardo all’epoca in cui stavamo
vivendo e ai compiti che essa imponeva, tutto ciò dimostrava invece che quella
doppia appartenenza non era soltanto possibile e legittima ma poteva anche
essere feconda.
Per quanto concerne la generazione dei «figli», va detto che le scelte non
erano strettamente individuali ma costituivano una avventura comune. Giorgio
Bouchard era, nello stesso tempo, pastore della Comune di Cinisello e direttore
di «Gioventù evangelica», la rivista che dava voce alle posizioni e alle
riflessioni critiche di un gruppo fraterno, che da molti veniva considerato (a
ragione o a torto) una «setta».
Per molti di noi la fraternitas si era formata nel cantiere e poi nei
campi di studio di Agàpe, negli anni Cinquanta. Eravamo dunque «figli»
principalmente di Tullio Vinay. La nostra formazione politica, alquanto più
lenta, fu sollecitata in particolare da Sandro Sarti (partigiano in Val Chisone
a 17 anni, poi militante nonviolento e membro del gruppo residente di Agàpe) e
da nuovi incontri, avvenuti sovente in quella stessa sede montana.
Il campo invernale che si svolse ad Agàpe all’inizio dell’anno elettorale
1958 ebbe come tema per l’appunto «Il paese di fronte alle elezioni». Vi
parteciparono tra gli altri, quali rappresentanti della sinistra italiana,
Tristano Codignola e Lelio Basso. La figura del primo corrispondeva
perfettamente all’orientamento politico di molti valdesi (più anziani o più
giovani) che, a partire dagli anni della Resistenza, avevano seguito Giustizia e
Libertà e poi le derivazioni del Partito d’Azione (in particolare nella «Unità
Popolare» di Parri e Codignola, poi confluita nel PSI) e avevano invece non
poche riserve nei confronti del compatto e scarsamente liberale PCI (al
quale, per parte sua,Visco Gilardi era stato iscritto fino agli eventi di
Ungheria nel 1956).
Fu però altrettanto significativa la partecipazione dell’altro esponente del
PSI. Lelio Basso aveva una diversa storia politica e intellettuale, nutrita dal
marxismo non conformista di Rosa Luxemburg.
Leggendo le testimonianze raccolte in questo volume ho appreso che per
l’appunto gli scritti della Luxemburg occupano, per frequenza, il secondo posto
nell’antologia personale progettata da Visco Gilardi 4. Ma ho anche scoperto la
presenza personale di Lelio Basso nell’iniziativa resistenziale di Nando, nel
1944. Né quel fatto né la venuta di Basso ad Agàpe erano casuali o estemporanei.
In gioventù, infatti, Lelio Basso aveva collaborato alla rivista “Conscientia”,
diretta dal filosofo calvinista e battista Giuseppe Gangale, e alle attività
della ACDG milanese, di cui Visco Gilardi era promotore.
Basso era anche amico dei giovani valdesi (in particolare dei fratelli Guido
e Mario Alberto Rollier) che negli anni ’30 e ’40 collaborarono all’impresa di
«Gioventù cristiana». Soppressa dal regime nel 1940, la rivista della nuova
teologia protestante fu prontamente rimpiazzata dal semiclandestino “L’Appello”,
a cui Basso diede la sua collaborazione5. Ad Agàpe Lelio Basso ritornò tre anni
dopo, all’inizio del 1961, in un campo invernale altrettanto intenso, dedicato
al confronto tra cristianesimo e marxismo. Tra i relatori vi erano anche il
comunista Isacco Nahoum, che era stato commissario politico delle Brigate
Garibaldi, e Raniero Panzieri. Dirigente di primo rango del PSI in Sicilia
all’inizio degli anni ’50, Panzieri fu condirettore della rivista ufficiale del
partito, “Mondo operaio”, negli anni cruciali che seguirono il XX Congresso del
PCUS. Vi pubblicò nel 1958 (in collaborazione con Lucio Libertini) le Sette
tesi sulla questione del controllo operaio, uno dei testi più
importanti della sinistra italiana nel secondo dopoguerra. Lasciati gli
incarichi romani per divergenze politiche, Panzieri si trasferì a Torino e prese
la guida di un gruppo di giovani (in maggioranza socialisti) che avevano
iniziato un lavoro di inchiesta nelle fabbriche, in collaborazione con i
sindacati
operai della CGIL. Alcuni di questi torinesi (in particolare Giovanni Mottura
e Vittorio Rieser) si impegnarono stabilmente nelle attività di Agàpe.
L’esperienza dei “Quaderni rossi”, fondati e diretti da Panzieri fino alla sua
morte precoce (1964), ha avuto notevole influenza sulla suddetta «setta»
protestante, che ebbe più tardi la fortuna di incontrare sulla propria via il
«padre» Visco Gilardi: per pochi anni, purtroppo, poiché egli se ne andò nella
primavera
del 1970.
Per una coincidenza fortuita ma (dal mio punto di vista) utile e stimolante,
questo libro viene pubblicato a pochi mesi di distanza dalla raccolta di
testimonianze su Panzieri6. La solidarietà tra «padri» e «figli» è favorita non
soltanto dalle affinità e da comuni impegni ma anche dal riconoscimento delle
differenze, grazie alle quali ognuno è se stesso e non è identico agli altri.
Ferdinando Visco Gilardi era un poco più giovane di Giovanni Miegge e un poco
più anziano di mia madre. I percorsi e gli atteggiamenti intellettuali di quella
generazione differivano notevolmente dai nostri (mi riferisco a coloro che sono
usciti dall’adolescenza dopo la Seconda guerra mondiale).
L’intelligenza di Visco Gilardi si traduceva in una professionalità ad ampio
raggio: imprenditore librario, organizzatore culturale, dirigente industriale.
Ma egli aveva anche una solida competenza riguardo allo scenario filosofico
contemporaneo, a tal punto da ottenere la fiducia di alcuni dei suoi più
eminenti attori italiani. Benedetto Croce e Giuseppe Rensi accettarono di
collaborare all’impresa editoriale della «Gilardi e Noto»7. Questi brevi ed
eleganti
libri (che ho avuto in dono molti anni dopo la pubblicazione) sono oggi
altrettanto preziosi quanto le opere, pressoché coeve, della Doxa di Giuseppe
Gangale.
Nella formazione di Visco Gilardi hanno avuto peso il soggiorno di studi in
Germania e le lezioni di Rudolf Steiner. Qui si manifesta maggiormente la
distanza culturale tra le generazioni. Ma va anche detto che gli scritti di
Visco Gilardi non danno spazio agli elementi esoterici (e più contestabili)
della costruzione steineriana8.
La riflessione personale di Visco Gilardi corrisponde al quadro filosofico di
un idealismo non «assoluto», aperto al confronto con le «fedi» e la loro
elaborazione teologica. Il nome che mi viene in mente è quello di Piero
Martinetti, le cui opere sono presenti pressoché per intero nella biblioteca di
Visco Gilardi. A differenza della maggioranza dei filosofi del Novecento,
Martinetti era ben informato riguardo allo sviluppo delle scienze bibliche,
principalmente
nelle scuole liberal-protestanti e, inoltre, nutriva interesse non soltanto
per la tradizione cristiana ma anche per le filosofie dell’India e dell’estremo
oriente. Egli pubblicò Gesù Cristo e il cristianesimo (1934) proprio
negli anni in cui fiorivano a Milano le iniziative delle ACDG e si concludeva
l’esperienza di Doxa. La repressione suscitata da quel libro e il coraggio
solitario del filosofo, che non si piegò, fanno parte della stessa storia di
resistenza in cui si svolse
l’azione tenace di Ferdinando Visco Gilardi.
Il documento più importante di questa raccolta è il testamento spirituale che
Nando scrisse nel carcere di Bolzano9. Del suo contenuto si parla con ampiezza e
pertinenza nel profilo biografico e nell’introduzione ai testi. Mi limiterò
dunque a un paio di annotazioni.
Quelle pagine devono essere lette senz’altro come una «confessione di fede»,
scritta nell’imminenza di una probabile esecuzione. Ma si tratta comunque di una
fides quaerens intellectum, iscritta in un quadro più largo, di visione
del mondo e di convinzioni morali, delineato con rigorosa chiarezza di concetti
e parole.
Vedo qui una differenza rispetto agli atteggiamenti e alle forme di
prestazione intellettuale della mia generazione. La differenza consiste
nell’impegno fortemente personale di pensiero e di scrittura, che manifesta
un’esigenza di responsabilità, certamente nei confronti degli altri (ai quali si
scrive perché leggano e rammentino) ma anche, e in primo luogo, nei confronti di
se stessi. Il fatto che il testo sia stato scritto in circostanze estreme non
basta a spiegare tale carattere. Per scrivere a quel modo l’autore doveva già
essere abituato alla concentrazione mentale e alla responsabilità intellettuale
coram se ipsum. Quel «carattere» è personale o generazionale?
Sicuramente i due aspetti sono ben collegati, ma i tempi e la loro
configurazione culturale hanno il proprio peso.
I «figli» che si erano formati nei cantieri fisici e mentali di Agàpe avevano
un atteggiamento assai diverso. L’intensità e la permanenza delle relazioni di
gruppo producevano diffidenza riguardo alle espressioni soggettive dello
spirito. Il pensiero, sicuramente, non era assente, ma sorgeva nello scambio
discorsivo e nelle pratiche di collegialità. Gli scritti, per lo più, erano
firmati dai singoli ma facevano parte di progetti discussi e deliberati in
comune.
Quella diffidenza è diventata ancor più cogente nella successiva leva del
«Sessantotto». Negli anni che seguirono, il testo firmato da una sola persona
era considerato, se non proprio un reato, per lo meno un indizio di deviazione
dagli impegni collettivi del «lavoro politico» e della prassi sindacale, un
cedimento all’egocentrismo accademico.
Le cose sono poi cambiate. Con notevole ritardo rispetto ai predecessori i
singoli hanno ripreso a scrivere in prima persona. E ora, nella vecchiaia, si
trovano ad affrontare le obbiezioni di una nuova generazione di militanti,
inclini alla nonviolenza, preoccupati del destino della Terra e convinti che un
altro mondo è ancora possibile.
Nel tardo autunno del 2001, nelle pause di una manifestazione pubblica contro
la guerra, uno di quei giovani mi ha detto: «a differenza di voialtri, noi
abbiamo una forte esigenza di spiritualità».
Quest’ultima parola non faceva parte del nostro vocabolario. Accade talvolta
che i nipoti si sentano più vicini alle nonne e ai nonni che alle madri e ai
padri. È un fatto normale. Ma anche molto rallegrante.
Note:
1 A questo proposito cfr. sotto, p. 41.
2 Il «Centro Culturale Jacopo Lombardini» porta il nome di un noto martire
della Resistenza evangelica. È stato aperto a Cinisello Balsamo nell’autunno del
1968, da un gruppo di giovani evangelici di Milano. Consisteva in una «comune»
di una ventina di persone, una scuola serale gratuita per giovani immigrati e
in una attività di dibattiti e di studi rivolta alla città. Il gruppo,
largamente autofinanziato, ha potuto anche ospitare dei guerriglieri di Nelson
Mandela e un gran numero di rifugiati cileni, usciti dalle carceri di Pinochet.
Ha continuato la sua attività fino alla fine degli anni Novanta.
3 Vedi sotto, pp. 52-53.
4 Cfr. sotto, p. 95.
5 Vedi la commemorazione di Adriano Tilgher, a opera di Lelio Basso, in
“L’Appello”, n. 11-12, nov.-dic. 1941.
6 AA.VV. (a cura di Paolo Ferrero), Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera,
Edizioni Punto Rosso, Roma, 2005.
7 Cfr. sotto, pp. 35-38 e 187-188.
8 A questo proposito si vedano le osservazioni di Giorgio Bouchard e
AldoVisco Gilardi, pp. 95-97.
9 Cfr. sotto, Lettera dalla cella 28, pp. 103-119.