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15 Settembre, 2002
Del test e del QI (di Maurizio Tiriticco)
A proposito di un articolo di Hans Magnus Enzensberger sull'impossibilità di misurare la nostra intelligenza

L’amico Antonio Ferrigno, autorevole membro del Direttivo dell’Andis, in seguito al mio pezzo sui rapporti che corrono tra test e Coca Cola, mi segnala che su “la Repubblica” dello scorso 28 agosto Hans Magnus Enzensberger in un articolo intitolato "L’impossibilità di misurare la nostra intelligenza" sostiene quanto sia vana una ricerca di questo tipo, per il semplice fatto che dell’intelligenza è assolutamente impossibile dare una definizione univoca. In effetti l’articolo costituisce l’anticipazione di un suo libro di imminente pubblicazione in Germania e in Italia, il cui titolo dovrebbe essere Nel giardino-labirinto dell’intelligenza.

“Gli esperti – afferma Enzensberger – non hanno risparmiato le forze per mettere un po’ d’ordine nel groviglio che si annida nelle nostre teste. Differenziano meticolosamente, come sono soliti fare, tra intelligenza biologica e psicometrica, motoria e razionale, analitica e creativa, linguistica e visiva, spaziale e logico-matematica, cinematografica e musicale, pragmatica e meccanica, interpersonale e intrapersonale, cristallina e fluida, funzionale e manipolatrice”. Ricorda anche il “cubo” di J.P. Guilford, che aveva individuato ben 120 varianti del nostro operare intellettivo , e allude con chiarezza sia alle recenti ricerche di H. Gardner che a quelle di J. Goleman (dalle intelligenze multiple all’intelligenza emotiva e a quella sociale).

Nello stesso numero de “la Repubblica” Andrea Tarquini riporta alcuni caustici pensieri del filosofo tedesco a proposito dei test. “Il dato comune di tutte le domande dei test è che di regola prevedono che la risposta giusta sia sempre una sola… il che è abbastanza raro. Nel mondo reale le situazioni in cui la scelta giusta è solo una sono piuttosto l’eccezione che non la regola. Quali che debbano essere le scelte – concorrere a un posto di lavoro o partecipare a una campagna elettorale, divorziare o firmare un contratto di affitto – affrontiamo numerose variabili, per di più interdipendenti tra loro. In una parola, le scelte sono complesse”.

Enzensberger ha assolutamente ragione quando implicitamente afferma che una situazione problematica può dar luogo a più soluzioni. La costruzione di un edificio, di un ponte, di una fabbrica, l’avvio di un’attività produttiva non danno mai luogo a soluzioni univoche, perché le variabili che entrano in gioco sono numerose. Ma, se un rubinetto versa un litro d’acqua al minuto, in un’ora avrà versato sessanta litri; se una confezione di fagioli pesa un chilo, ogni bilancia, purché correttamente tarata, darà sempre lo stesso risultato; se costruisco mille automobili di serie, i pezzi che la compongono devono essere assolutamente eguali: se ce ne sono di diseguali, questi costituiscono la dotazione degli optional che tanto piacciono ai clienti. Enzensberger è anche il mago dei numeri (è il titolo di quel volumetto che anni fa ebbe molto successo) e sa benissimo che l’esito di una operazione aritmetica è uno soltanto e sa anche che se più dati sono da tutti condivisi danno luogo ad una informazione univoca per tutti. Se dico che Antonio ama Maria, l’informazione è chiara ed è eguale per tutti, anche se Marco è addolorato perché Maria lo ha piantato. Ma la personalissima reazione di Marco è altra cosa rispetto all’informazione formale. Se una gran parte delle informazioni non fossero univoche ed “eguali” per tutti, sarebbe un disastro, o meglio gli umani non comunicherebbero tra loro e la babele della metafora biblica sarebbe l’unica caotica realtà. Ma così fortunatamente non è: il che dimostra che esiste una sorta di zoccolo duro che costituisce la base sia della comunicazione interpersonale che, per estensione, della stessa ricerca scientifica.

Se voglio acquistare una camicia bianca, di cotone, maniche lunghe, misura 42, che non superi i 50 euro, il commesso mi mostrerà mille varietà, di mille marche, ma i dati certi su cui si fondano la sua offerta e la mia scelta (il nostro primo e necessario scambio informativo) sono quelli e non altri. Quali sono, allora, le operazioni mentali che entrano in gioco nella scelta che dovrò effettuare? Alcune sono discrete, lineari, oggettive (i dati di base afferenti al primo scambio informativo), altre invece afferiscono alla mia personalissima soggettività: la forma del colletto, i bottoni, la misura dei polsini, la tonalità del bianco, le rifiniture o che so io!. E mentre il commesso mi darà sempre ragione pur di vendere, l’amico che mi accompagna avrà a che ridire proprio sul bianco che tanto bianco non è, sulle cuciture laterali, sulle rifiniture o che sa lui! Per non dire delle osservazioni di mia moglie e… della suocera! Insomma, ciascuno di noi sul medesimo oggetto, fisico o simbolico che sia, esprimerà le considerazioni più diverse, soggettive al massimo, che vanno oltre la semplice acquisizione dell’oggetto e che non sono riducibili a parametri univoci.

Si tratta delle operazioni cosiddette divergenti, delle quali ciascuno di noi è l’unico assoluto responsabile. Lo stimolo è lo stesso, ma la reazione è di-versa, personale e, in quanto tale, “riconoscibile” dagli altri soggetti, anche se “non condivisibile” Riepilogando: se lo stimolo è quanti sono i lati del triangolo e quanti quelli del quadrato, le risposte sono solo tre e quattro; e chi dice diversamente sbaglia, o meglio, erra; se lo stimolo invece è: disegnatemi un triangolo, le risposte saranno infinite, purché i lati siano sempre tre!

Veniamo ora al maltrattatissimo QI. La cosa, molto semplicemente sta in questi termini. Agli inizi dello sorso secolo la ricerca psicologica era giunta a un punto tale da volersi definire come una nuova scienza e come tale era alla ricerca di quei connotati di oggettività che sono propri di ogni scienza. Furono Alfred Binet e Théodore Simon a proporre per primi i concetti di età cronologica e di età mentale e a dimostrare che non sempre tra le due età c’è un rapporto di contiguità. Non è detto che bambini della stessa età siano capaci di possedere la stessa capacità intellettiva.

Di qui nacquero i primi strumenti di misurazione e di qui ancora i primi QI. Di fatto i Qi avevano un fondamento scientifico anche se, com’è noto, con il tempo vennero utilizzati con fini di discriminazione sociale, se non addirittura razziale. Ma il limite più importante di quei QI e di tutti i QI consiste nel fatto che le operazioni che sono in grado di misurare sono soltanto quelle della intelligenza che potremmo chiamare lineare, numerica, mnemonico-ricognitiva, analitica di primo livello (tre per tre eguale nove, il Po sfocia nell’Adriatico, la capitale dell’Afganistan è Kabul, l’ordine logico di una serie di figure geometriche è quello e non un altro). Ovviamente, tutta la ricca casistica delle molteplici forme di intelligenza che lo stesso Enzensberger ricorda (e ne indica solo alcune), quelle che riguardano la divergenza, il pensiero produttivo, il pensiero laterale (per dirla con De Bono), le operazione della mano sinistra (per dirla con Bruner), l’immaginazione, la creatività, nulla hanno a che vedere con i QI. In effetti, quando i primi “misuratori” andarono a verificare come i bambini, diventati adulti, si fossero inseriti nella società, riscontrarono che molti con il QI basso erano diventati capitani d’industria e molti con il QI alto, invece, tiravano la carretta. Ma la colpa non era affatto del QI, anche se lo stesso QI era corretto. Il fatto era un altro: che nella vita erano state altre forme di intelligenza a prevalere, forme che il QI non aveva affatto misurato, in quanto centrato solo su una di esse e non su tutte le altre. E non sappiamo neanche quante siano!

A questo punto, è opportuno fare un’ultima considerazione: un conto è ragionare seriamente sui QI e sui loro parenti stretti, i test, le prove cosiddette oggettive, anche queste capaci di gestire solo alcuni aspetti dell’intelligenza; altro conto è dar fiato alle trombe del crucifige e del dagli all’untore, che da più parti si sentono risuonare in questi giorni contro metodologie valutative che negli ultimi decenni abbiamo costruito con grande fatica! Se le innovazioni che da questo settembre partono nelle nostre scuole cavalcano ronzini di tal fatta, il discorso può farsi pericoloso: gettare via tutto e ricominciare da zero era la parola d’ordine della Moratti, contestata da tutti!

E, proprio in relazione a quando stiamo leggendo oggi sulla stampa a proposito di queste questioni, l’amico Ferrigno mi apostrofa così, con un pizzico di… retorica malizia: “ma la cultura non è quella che ti rimane quando hai dimenticato tutto quello che hai letto?” La risposta è questa. Caro Antonio, fortunatamente abbiamo molto da dimenticare, e questo molto è tutto ciò che abbiamo imparato! Ed è forse per questo che siamo – o pensiamo di essere – uomini di cultura!

Roma, 18 settembre 2007

Maurizio Tiriticco

 


       



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