15 Settembre, 2002
Se la crisi galoppa ( di Gianfranco Pasquino)
la crisi politica da serpeggiante rischia di diventare galoppante, a tutto vantaggio dei *signori della porcata*
Le crisi serpeggianti e striscianti si possono subire nella speranza sia di fatti positivi sia di logoramento degli avversari oppure si possono affrontare nel tentativo di superarle creando situazioni nuove e migliori. La crisi del governo Prodi c’è. È in atto. In un certo senso, anche senza infierire guardando l’andamento della popolarità del capo del governo, la crisi c’è stata praticamente fin dall’inizio di questa esperienza di governo. Paradossalmente, la crisi non ha affatto impedito che su quasi tutti gli indicatori il governo sia riuscito a produrre miglioramenti e in quasi tutti i settori a fare delle riforme.
Tuttavia, le aspettative di una caduta si sono fatte sempre più numerose e non vengono contrastate efficacemente, nei fatti. Cosicché la crisi si intorbida, si avvelena e si incammina su una strada davvero rischiosa.
Da un lato, vero o no, ma sicuramente plausibile, Berlusconi conduce la sua campagna, non acquisti, ma di “ricollocazione politica” di alcuni senatori del centro-sinistra che manifestano il loro disagio dopo la nascita del Partito Democratico. Così operando, Berlusconi alimenta in maniera spregiudicata l’antipolitica, legittima ex-post il ribaltone che rovesciò il suo governo nel 1994 e, naturalmente, pone premesse alquanto fradice per nuove elezioni. Per di più ha fretta poiché il tempo che passa gli gioca contro: biologicamente, non essendo più lui, nonostante i ritocchi, un ragazzino; politicamente, se mai qualcuno nel centro-sinistra riuscisse ad andare a più o meno coraggiose alleanze di nuovo conio e se mai nel centro-destra venisse condotta fino in fondo la battaglia per il cambio (che a me pare improbabile) della leadership. Poco interessato, e commette un grave errore, alla funzionalità del sistema politico, Berlusconi chiede a gran voce nuove elezioni subito subito praticamente con lo stesso sistema elettorale che, pure non del tutto responsabile dell’esito sbilenco del 2006, è pessimo in sé, nelle sue clausole relative ai premi di maggioranza e nelle sue modalità di formazione delle liste di candidati.
Questo, ovvero la legge elettorale, è il terreno su cui il governo avrebbe dovuto operare con lungimiranza, costanza e, se necessario, in splendido isolamento. Invece, a sua volta, il governo ha lasciato degenerare la situazione con la conseguenza che, come ha autorevolmente, ma soprattutto correttamente, segnalato il capo dello Stato Giorgio Napolitano, il crollo dell’attuale governo non condurrà a nuove elezioni, ma alla formazione di un esecutivo incaricato di formulare una legge elettorale decente. Il fuoco di sbarramento preventivo contro il sistema elettorale tedesco sembra, in caso di crisi del governo Prodi, destinato a fallire. Infatti, un governo tecnico non avrebbe nessuna possibilità di trovare una maggioranza parlamentare a sostegno del maggioritario a doppio turno francese, mentre da Rifondazione alla Lega, dall’Udeur a parte di Forza Italia e, forse, anche del Partito Democratico, vi sarebbe una grande convergenza sul sistema tedesco che è il vero, e unico, cavallo di battaglia dell’Udc di Casini e di Tabacci.
Credo di dovere sottolineare che, persa la battaglia sul doppio turno, sarà il caso di combattere sulla trincea tedesca della soglia del 5 per cento per l’accesso al Parlamento, nella consapevolezza che il sistema tedesco non tollera premi di maggioranza e non può implicare dichiarazioni coatte e preventive di alleanze di governo, tantomeno la loro costituzionalizzazione.
Il punto di approdo di tutto questo consegnerà, con molta probabilità, ma poca certezza preventiva, all’Udc, naturalmente se otterrà un adeguato seguito elettorale, una posizione doppiamente importante. Da un lato, Casini e Tabacci si troverebbero a fare da cerniera fra un centro-destra che li guarda con sospetto e un centro-sinistra nel quale la maggioranza vorrebbe cooptarli. Dall’altro, potrebbero volere porsi, questa volta con qualche fondamento, come luogo di riaggregazione, parlamentare, successiva al voto, della diaspora democristiana, parte della quale si trova anche dentro Forza Italia.
Sarebbe, però, tutto il sistema partitico a venirne ridisegnato. Sembra che Rifondazione Comunista continui a preferire contare i suoi voti e i seggi che conquisterà autonomamente con la proporzionale alla possibilità di fare parte della coalizione di governo, pagando il prezzo di un chiaro impegno programmatico. Dal canto suo, invece, Fini e la maggioranza di Alleanza Nazionale temono la possibilità di essere esclusi, in quanto non più necessari, da qualsiasi coalizione nella quale i centristi di vario colore potranno dettare le alleanze. Questo legittimo timore spiega il sostegno dato da Fini al referendum elettorale e la sua propensione ad appoggiare un sistema elettorale maggioritario.
Naturalmente, è del tutto legittimo che ciascuno dei protagonisti si comporti tenendo conto dei suoi interessi concreti che, qualche volta, riguardano la loro stessa sopravvivenza. Qui la presunta “ferocia” del bipolarismo non c’entra un brutto niente. È il particolarismo che produce la comparsa della crisi e fa sprofondare il sistema politico. Se il governo non prende atto esplicitamente della crisi e non accelera l’approvazione di una nuova legge elettorale oppure, non opta, come sarebbe più semplice, per il ritorno, con un paio di ritocchi, al Mattarellum, le probabilità che Napolitano debba convincere i parlamentari della bontà di un governo tecnico per la riforma elettorale crescono in maniera esponenziale. E, in assenza di iniziative trascinanti, non basterà nessuna affermazione entusiasta concernente la grande novità del Partito Democratico se i suoi dirigenti, dentro e fuori del Parlamento, non avranno saputo proporre una iniziativa concreta, fattibile in tempi brevi, che l’attuale governo conduca in porto, preparandosi anche a sovrintendere alle elezioni anticipate. Altrimenti, la crisi politica da serpeggiante rischia di diventare galoppante, a tutto vantaggio dei “signori della porcata”.
 
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