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 Politica

15 Settembre, 2002
La *partita* del Veneto e il rebus degli imprenditori - operai
Federica Fantozzi su L'Unità scrive: Se son crepe si allargheranno. Il vento del cambiamento sgretolerà il muro, ma ai suoi tempi. Aspettative? Punti percentuali? ......

Se son crepe si allargheranno. Il vento del cambiamento sgretolerà il muro, ma ai suoi tempi. Aspettative? Punti percentuali? «Noooo - Giandomenico Allegri, coordinatore del Pd veronese quasi balza all'indietro - Qui si lavora nel medio periodo». Anche per i politici lavoro è la parola chiave, l'etica fondante, l'unica speranza di far breccia. Nel Veneto pragmatico e post-ideologico, operoso e produttivo, dove distinti signori si presentano come partite Iva ma più che schei vogliono «essere rispettati», va così. Il centrosinistra rincorre il voto pattinando sull'abisso di quasi venti punti da colmare in un mese. Eppure, l'aria pare alleggerita: «Nell'ultimo anno per noi l'atmosfera era pesante - racconta Allegri - La politica fiscale e la sinistra radicale avevano reso difficile parlare con la gente. Non si riusciva nemmeno a fare proposte. Veltroni è uscito dai luoghi comuni che separano destra e sinistra come compartimenti stagni».

Qualcosa si è mosso? Tra filari di vitigni e alberi già fioriti, la primavera tenace è «il recupero del tessuto territoriale». Ripartire (almeno) dalle amministrative. Riprendersi quei comuni persi, come Cerea e San Giovanni Lupatoto, dove non si era nemmeno più interlocutori. È la luce che illumina Luciano Zanolli, candidato sindaco a Villafranca, tra i più grossi centri del Veronese: «Io sono stato scelto dalla comunità. Non come il centrodestra che decide al tavolo regionale e si è spaccato». Già: la polemica tra il governatore-doge Galan e l'ex sottosegretario Brancher ha commissariato Forza Italia e indebolito la giunta veronese del leghista Flavio Tosi.

Il Veneto «bianco» è terra ostile per la sinistra. Nel 2006 l'Unione si fermò al 40,5% (39% al Senato) contro il 56,3% di Berlusconi. Il peggio fu a Verona, Vicenza, Padova e Rovigo: dove il Pd sfoggia Calearo capolista. Funzionerà? «È una scossa» dicono tutti. Ma nessuno ha la sfera di cristallo. Paolo Nerozzi, altro candidato sindacalista Cgil, a Calearo ha stretto pubblicamente la mano ed è stato criticato. Non si pente: «Siamo due parti autonome unificate dal programma. Calearo ha fatto una scelta di campo, e poi lui due contratti unitari li ha firmati. Bombassei invece… ». Il punto però è un altro, e Veltroni lo ha colto: «È difficile dire se sposta - ragiona Nerozzi - Ma qualcosa si è incrinato nel blocco sociale. Ricordiamoci che qui il 50% degli operai ha votato Fi o Lega. C'è una dicotomia tra lavoro operaio, anche sindacalizzato, e rappresentanza politica».

Il perché è davvero semplice: il 58% degli imprenditori erano operai che si sono messi in proprio. 6-7 su 10. Si sentono tutti lavoratori. «Qui il rapporto tra le due classi è diverso, conflittuale ma non antagonista». Solo gli operai di Porto Marghera, con 5mila a rischio licenziamento e salari da società esternalizzate di cento euro al mese, fanno storia a parte. Altrove le differenze sociali sfumano, e si pensa a lavorare.

Lavora Gianni Dal Moro, sesto in lista e braccio destro veneto di Enrico Letta: da un comizio sui farmer's market con De Castro al Bar Fantoni a un incontro con i produttori ortofrutticoli villafranchesi. È ottimista: «C'è diffidenza, ma fino a poco fa mancava proprio il riconoscimento delle reciproche posizioni. Tagliando il legame con la sinistra massimalista il Pd potrà intercettare un voto nuovo. Prima l'elettorato percepiva come maquillage il passaggio del Pci in Ds e del Ppi in Margherita. Ora invece si può pescare a destra». Settimo in lista è Federico Testa, economista e docente universitario: «È chiaro che per rimettersi in sintonia con ceti trascurati servirebbe più tempo. Ma il ragionamento che accomuna operai e imprenditori è stato un segnale forte. Qui burocrazia e fisco sono temi vitali perché incidono sulla qualità di vita e soprattutto sulla capacità economica». Lo dice chiarissimo il senatore Paolo Giaretta, coordinatore della campagna del Pd al Nord Est: «In ogni famiglia c'è un artigiano o un commerciante. E se la figlia si occupa solo degli adempimenti tributari, delle scadenze, è un'unità produttiva sottratta all'azienda». Tutti citano l'esempio del cantiere: per aprirlo o chiuderlo, 50 diversi moduli da riempire.

I veneti chiedono meno intoppi, più infrastrutture, sicurezza. A destra come a sinistra ce l'hanno con le tasse e il «radicalismo». Qui, se sei di sinistra, sei quanto meno un pazzerellone. Riello ha irriso Calearo: «Il tuo è un ottimo programma di centrodestra». «La realtà di base di partiti e sindacati non corrisponde all'immagine nazionale - spiega Francesco Iori, ex vicedirettore del Gazzettino - La speranza dei veneti è il pareggio al Senato e poi riforme condivise». La Fondazione Sussidiarietà di Giorgio Vittadini ha pubblicato i dati: le vogliono il 74% degli italiani, ma la percentuale in Veneto sale al 78%.

Scava scava però non tutto è uguale. Il sindaco Tosi l'ha votato oltre il 60% dei veronesi, ma il residuo 40% sostiene di non meritarselo. Ha mandato via i rom da Boscomantico, ha inaugurato le banchine anti-barboni (con il bracciolo che impedisce il sonnellino), ha la nomea di sceriffo. «Tutta immagine - si lamenta una commerciante di prodotti equi e solidali - Non son questi i problemi. Si soffoca di smog e lui lava le strade. Ha cancellato le piste ciclabili, già belle approvate (dal predecessore Zanotto di centrosinistra, ndr). E poi fa politica di mestiere: non ha mai preso un chiodo in mano».

 


       CommentoFonte L'Unità



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