15 Settembre, 2002
Lega premiata perché ha dato risposte, anche se sbagliate
Enrico Morando (Pd) analizza il risultato elettorale - *Abbiamo avuto poco tempo, ma il futuro siamo noi* - di Renzo Parodi da Il Secolo XIX
Nel suo ufficio di presidente della V° commissione bilancio al
Senato, Enrico Morando riepiloga con pacatezza il significato della
tornata elettorale. Il Partito democratico, ragiona
Morando, «rappresentava il primo obiettivo, pienamente raggiunto. Il
secondo era la vittoria elettorale e lì abbiamo fallito. Non è il
caso di abbandonare il primo perché si è mancato il secondo».
Morando, 57 anni, nato ad Arquata, residente a Novi Ligure, è
senatore da cinque legislature consecutive, ed è stato rieletto in
Veneto. Ha scritto il programma economico del partito Democratico.
Sparita la sinistra radicale, in Parlamento siete rimasti soli, con
Italia dei Valori, contro l'armata Berlusconi. Come contate di
allargare il fronte dell'opposizione?
«Il progetto del Pd è inclusivo e questa è stata solo la prima
volta. Esistono le condizioni per un'evoluzione. La prospettiva è
questa, certo non tornare alla logica dell'Unione, un insieme di
partiti contraddittori, pur di vincere le elezioni»
Salvo perdere il governo per le bizze di questo o quello
«A scuola ci insegnavano che la pistolettata di Sarajevo era stata
la causa prossima della Grande Guerra. La defezione di Mastella e
Dini è stata la pistolettata che ha abbattuto Prodi, ma le cause
vere risalgono ad altri...».
Bertinotti l'ha pagata cara. Molti dei voti dei suoi sono confluiti
sul Pd
«L'esame dei flussi dirà che il consenso al Pd da sinistra è stato
marginale. L'elettorato tradizionale del Pci e della Dc, partiti di
popolo, è confluito massicciamente sulla Lega Nord».
Il risultato del Pd, appena sopra il 33%, è incoraggiante ma non
esaltante. I135% era consideratala soglia minima
«La storia del 35% l'ho letta sui giornali ma non so da chi
provenga. Il Pd è diventato quel grande partito riformista che
volevamo diventasse. Rivendico al Pd il merito di avere aperto
questa fase nuova del sistema costituzionale italiano. Ora dobbiamo
adeguare le regole istituzionali alla nuova situazione in
Parlamento. Quando si è deciso di dar vita al Pd avevamo l'obiettivo
di europeizzare definitivamente il sistema politico italiano,
creando un grande partito riformista che svolgesse in Italia lo
stesso ruolo delle grandi socialdemocrazie europee. E' stata
un'iniziativa forte che ha costretto Berlusconi a dare vita ai
Popolo della Libertà, che per ora è una alleanza elettorale, mi
auguro che diventi un partito e osservo con interesse il processo di
Alleanza Nazionale che mi pare vada in questa direzione. Quando
anche il PdL sarà un partito si saranno verificate finalmente le
condizioni per avere due grandi coalizioni, di centrodestra e di
centrosinistra, in competizione per governare il Paese. Noi abbiamo
impiegato molti anni per arrivarci, si sarebbe potuto fare già nel
1996, partendo dall'Ulivo. Per la prima volta nella storia italiana
un partito riformista si candida a viso aperto alla guida dei Paese».
E` difficile immaginare la Lega Nord, partito fortemente connotato
territorialmente, disciogliersi nel Pdl
«La Lega Nord è un partito iperidentitiario, con il Pd è stato uno
dei protagonisti della tornata elettorale. Il successo elettorale
colto dalla Lega ha indirizzato il risultato a favore del PdL, e
questo ha fatto la differenza. Resto convinto che una delle ragioni
del successo leghista sia la vicenda di rifiuti in Campania. Ho
fatto campagna elettorale in Veneto, ho girato Lombardia, Piemonte e
saltuariamente la Liguria. Non c'è stato incontro e dibattito in cui
la prima o al massimo la seconda domanda dei pubblico non
riguardasse proprio i rifiuti. La Lega non ha dovuto fare altro che
raccogliere il consenso prodotto dallo choc della vicenda di Napoli,
una vera e propria tragedia nazionale che ha sfregiato l'immagine
internazionale dell'Italia».
Basta a spiegare il boom di Bossi?
«La Lega ha affrontato, sia pure attraverso politiche che non
condividiamo, anche il tema della sicurezza, della paura della gente
per la criminalità e ha colto che per la gente esiste il nesso
criminalità-immigrazione. Ha insomma dato risposte, magari
sbagliate, a problemi reali. E la gente ha maturato la convinzione
che i partiti tradizionali non fossero in grado di dare quelle
risposte. La Lega ha organizzato le ronde delle camicie verdi contro
i clandestini, una risposta inefficace e sbagliata che non
condividiamo. Ma è una risposta e come tale è stata percepita,
soprattutto da parte degli strati più deboli: operai, impiegati,
gente che vive del proprio lavoro e, magari dopo una vita di
sacrifici, vive nel terrore di incappare nella delinquenza che si
ritrova sottocasa».
Non sarebbero proprio operai e piccola borghesia gli interlocutori
naturali di un partito di sinistra, seppure riformista?
«Le persone socialmente più deboli sono anche quelle più lontane
dalla possibilità di cogliere il cambiamento. Il Pd ha avuto poco
tempo per far conoscere e approfondire con gli elettori le proprie
proposte politiche. Ma la sfida è questa: costruire un grande
partito popolare che sappia affrontare i problemi sulla base dei
propri valori, senza girare la testa dall'altra parte».
Basterà a Bossi il federalismo fiscale?
«Le riforme in senso federalista degli articoli 116 (autonomia
regionale) e 119 (federalismo fiscale) della Costituzione le fece il
governo di centrosinistra nella primavera del 2001. Poi abbiamo
subito un riflesso centralista che ha lasciato una prateria alle
iniziative della Lega. Ma in cinque anni ai governo la devolution,
come la chiama Bossi, è rimasta lettera morta. Il principio in sé
inappuntabile: chi più produce più può trattenere per le proprie
esigenze. La Lega lo interpreta ai limiti della secessione. Nel
nostro programma abbiamo scritto: spendere meglio, spendere meno. Il
federalismo fiscale è scritto nel programma del Pd».
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