15 Settembre, 2002
Occupazione, la primavera è finita di Pietro Garibaldi
L’Istat ha comunicato che l’occupazione nel 2002 è cresciuta a un tasso dello 0,8%: tra gennaio 2002 e gennaio 2003 sono stati creati 180.000 nuovi posti di lavoro. Per la prima volta dal 1997, il tasso di crescita dell’occupazione è tornato sotto l'1%
Occupazione, la primavera è finita
Pietro Garibaldi
da www.lavoce.info
L’Istat ha comunicato ieri che l’occupazione nel 2002 è cresciuta a un tasso dello 0,8 per cento: tra gennaio 2002 e gennaio 2003 sono stati creati 180.000 nuovi posti di lavoro. Per la prima volta dal 1997, il tasso di crescita dell’occupazione è tornato sotto l’1 per cento, interrompendo il "rinascimento" dell’occupazione italiana, un periodo di 5 anni in cui la crescita dell’occupazione è arrivata a superare il 3 per cento su base annua (gennaio 2001). Non sorprende che alla frenata della crescita dell’occupazione, corrisponda quella nel processo di riduzione del tasso di disoccupazione, diminuito "soltanto" di un decimo di punto rispetto al gennaio 2002 (passando da 9,2 a 9,1 per cento della forza lavoro).
È finita la primavera degli occupati? Il periodo di incredibile espansione occupazionale si è davvero interrotto? E l’Italia tornerà ad avere un’occupazione stagnante? È troppo presto per dirlo, e non è nemmeno facile interpretare univocamente i dati delle inchieste sulle forze lavoro pubblicati dall’Istat.
Come interpretare i dati
Perché è difficile interpretare i dati? Innanzitutto perché è ancora possibile sostenere che il fenomeno della creazione di posti di lavoro senza crescita, che avevamo gia esaminato su questo sito, è continuato anche nel 2003. La decelerazione della crescita dell’occupazione si deve collegare alla quasi inesistente crescita del prodotto interno lordo nel 2002. Secondo le stime più recenti, la crescita del Pil per il 2002 ammonta a un miserabile 0,4 per cento, ma potrebbe anche essere inferiore. In questo scenario, un tasso di crescita dell’occupazione doppio rispetto alla crescita del prodotto interno lordo rimane un fenomeno rilevante e storicamente anomalo. Le ragioni di tutto ciò, come discusso in precedenti interventi su questo sito, sono tre: la forte moderazione salariale registrata nella seconda metà degli anni Novanta, il processo di riforma del mercato del lavoro in atto dal 1997, e gli incentivi all’occupazione garantiti nel 2000 e nel 2001. Qualora il tasso di crescita dell’output dovesse riprendere durante il 2003, la crescita dell’occupazione potrebbe tranquillamente tornare sopra l’1 per cento su base annua. Al contrario, se dovessimo entrare in una fase recessiva potremmo registrare anche forti perdite occupazionali. La flessibilità è un arma a doppio taglio: contribuisce a creare più posti di lavoro quando siamo in fasi espansive, mentre aumenta la distruzione di lavoro durante le recessioni.
Più occupazione solo al Nord
Guardando i dati congiunturali, ossia le variazioni occupazionali nell’ultimo trimestre, corrette per i fattori stagionali, si osserva un fatto nuovo, che riguarda la distribuzione della crescita occupazionale per area geografica. Nell’ultimo trimestre del 2002, la crescita dell’occupazione appare fondamentalmente un fenomeno settentrionale, mentre le regioni meridionali registrano una diminuzione occupazionale pari allo 0,7 percento. Tenendo conto dei differenziali regionali esistenti nei tassi di occupazione, la "settentrionalizzazione" della crescita occupazionale è decisamente preoccupante. Negli ultimi anni, la crescita più sostenuta era stata proprio quella meridionale, anche grazie al generoso bonus garantito agli imprenditori che creavano nuova occupazione permanente. Indubbiamente, le incertezze politiche sul destino del bonus occupazionale hanno avuto un effetto immediato, e i risultati si manifestano già nei dati congiunturali.
In mezzo al guado
La crescita occupazionale è, quindi, In mezzo al guado. Da un lato continua, nonostante la stagnazione della crescita del prodotto. Da un altro lato mostra preoccupanti segnali di dualismo territoriale, uno dei mali cronici del mercato del lavoro italiano. Nei prossimi mesi vedremo su quali delle due sponde approderà. Per far proseguire la "primavera", servirebbero chiari segnali da parte dell’esecutivo, specialmente verso gli imprenditori meridionali, incerti sui destini delle risorse loro destinate. Ma all’orizzonte non si vede alcun segnale.
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Pietro Garibaldi
Si è laureato all'Università degli Studi di Torino nel 1992, ed ha conseguito il Ph.D. in Economia presso la London School of Economics nel 1996. Attualmente è professore associato di Economia Politica presso l'Università Bocconi, responsabile degli studi sul lavoro della Fondazione Debenedetti, e consulente in materia di lavoro per il Ministero dell'Economia e delle Finanze (Dipartimento del Tesoro).
 
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