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15 Settembre, 2002
Il popolo di Internet chiede l’impeachment di Bush
di Toni De Marchi da www.unita.it

Il popolo di Internet chiede l’impeachment di Bush./b>
di Toni De Marchi da www.unita.it

Patriots for Peace è un sito statunitense la cui parola d’ordine è «Spread Peace Visibly. Everywhere» (diffondi visibilmente la pace, dappertutto). Nato pochi mesi fa, secondo i curatori ha già avuto decine di migliaia di contatti. In questi giorni ospita un sondaggio che chiede ai propri visitatori di indicare quale debba essere il prossimo obiettivo della campagna. Oltre l’84 per cento dei votanti non ha dubbi: raccogliere un milione di firme per mettere in stato d’accusa Bush.

«Impeach Bush. sembra essere la nuova parola d’ordine del movimento democratico e pacifista statunitense che trova nel web il modo per esprimersi e far sentire la propria voce. Saltando i blocchi ed i condizionamenti dell’informazione istituzionale, quella dei grandi network televisivi e dei giornali d’opinione. Ma anche la rete fittissima dei giornali locali che, in questi tempi di guerra, hanno indossato l’elmetto del patriottismo ad oltranza, senza se e senza ma.

Vero è che la rete, da sola, non basta comunque a garantire del tutto il diritto degli americani di esprimere le opinioni contro. Lo sa bene un altro sito di contro-informazione, Yellow Times, che è stato oscurato nel giro di poche ore per aver pubblicato alcune foto dei prigionieri statunitensi in Iraq. Immagini disponibili su decine, forse centinaia di siti Internet di tutto il mondo, dunque perfettamente visibili anche da qualsiasi cittadino americano che abbia accesso ad Internet. Il provider lo ha tolto dalla rete invocando il Primo emendamento della Costituzione (quello che garantisce la libertà di espressione, e usando come pretesto una clausola contrattuale che vieta le immagini oscene o raccapriccianti.

Capofila della campagna per l’impeachment di Bush.è un sito che ha adottato, molto semplicemente, l’indirizzo autoesplicativo votetoimpeach.org. Una serie di pagine monotematiche, messe in piedi da un gruppo di attivisti pacifisti ispirati da Ramsey Clark, già ministro della giustizia con il presidente Lyndon B. Johnson ai tempi della guerra del Vietnam. Clark aveva presentato la sua proposta di impeachment nei confronti di George W. Bush. in un discorso che fece alla marcia pacifista del 18 gennaio scorso a Washington.

Da questa semplice idea è nato un vero e proprio movimento che ha letteralmente conquistato Internet. Una interrogazione al motore di ricerca Google con le parole «vote», «impeach» e «Bush. dà ben 13100 risposte. Usando soltanto «impeach» e «Bush. i risultati schizzano in alto e arrivano addirittura a 29900 pagine che, in un modo o in un altro, ne parlano.

Certo, in molti casi si tratta di pagine che riprendono o rimandano ad altre pagine, ad altri siti. Ma la dimensione del fenomeno è ugualmente impressionante. E il numero di siti che sostengono l’impeachment aumenta ogni giorno: la stessa interrogazione, fatta solo 24 ore prima, aveva dato un migliaio di risposte in meno.

Sul sito promosso da Ramsey Clark sono illustrati i motivi per i quali viene chiesto l’impeachment, pubblicati anche in una pagina a pagamento del New York Times del 19 marzo. Tra questi, «aver assunto poteri per condurre guerre di aggressione in spregio alla Costituzione degli Stati Uniti, la Carta delle Nazioni Unite e della legge; aver pianificato massicci attacchi militari contro l’Iraq, un paese che non minaccia gli Stati Uniti; aver pianificato la strategia “shock and awe” per creare un effetto-Hiroshima sulla popolazione irachena che terrorizza ed offende i popoli del mondo».

L’esempio di Ramsey Clark e di votetoimpeach.org è emulato da impeach-Bush.now.org, il sito promosso da Francis Boyle, professore di diritto internazionale dell’Università dell’Illinois. Queste pagine fanno riferimento alla Cibcar, la «Campaign to Impeach Bush. Cheney, Ashcroft and Rumsfeld», un’organizzazione che propone una risoluzione di sei articoli al Congresso per accusare Bush.di «aver pianificato l’uso di armi di distruzione di massa, aver corrotto o influenzato capi di stato stranieri, aver agito senza l’autorizzazione del Congresso e in spregio alla Carta delle Nazioni Unite e di aver adottato leggi per creare uno stato di polizia violando così la carta dei diritti».

Ma se Clark, Boyle e altri sono voci autorevoli ed hanno l’opportunità ed i mezzi per disporre di un sito proprio, non bisogna dimenticare l’universo variegato e diversissimo di quanti trovano sul web l’opportunità per dire quanto sia impopolare la guerra di Bush. Spesso sono i «blogs», diari del web, per metà privati e per l’altra metà aperti al contributo di chiunque pensi di aver qualcosa da esprimere. Alla guerra è dedicato, ad esempio, warblogs.cc. E su talkleft.com, il senatore democratico Gary Hart, già candidato alla presidenza degli Stati Uniti e possibile avversario di Bush.alle prossime elezioni, ha aperto un suo «blog» per esprimere la propria opposizione alla guerra di Bush.

Significativa la citazione che democrats.com riporta nella sua pagina di apertura: «non dobbiamo fare un processo alle cause della guerra, perché la nostra posizione è che nessuna azione o nessuna politica può giustificare il ricorso ad una guerra di aggressione. È uno strumento che deve essere assolutamente rifiutato e condannato». Lo disse Robert L. Jackson, procuratore capo al processo di Norimberga, per spiegare perché venivano processati i dirigenti tedeschi.

 


       Commentowww.unita.it



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