15 Settembre, 2002
Simone Weil, tra filosofia e mistica di Francesco Roat
Simone Weil: una filosofa del ’900 di difficile (o impossibile) incastellatura entro questa o quella corrente di pensiero.
Simone Weil, tra filosofia e mistica di Francesco Roat
Simone Weil: una filosofa del ’900 di difficile
(o impossibile) incastellatura entro questa
o quella corrente di pensiero.
Un personaggio caratterizzato da un impegno
civile e da una religiosità eccentrica -
pur di elevatissimo rigore morale - davvero
inquietante sia per credenti che non credenti.
Affascinati questi ultimi dalla sua estrema
sensibilità e testimonianza etico-sociale,
ma sconcertati dall’estremismo ascetico della
sua mistica. Turbati, in parallelo, i primi
dalla contraddizione weiliana di proclamare
a gran voce la propria fede in Dio e in Cristo
ma al contempo di volersi tenacemente collocare
fuori dalla chiesa: nell’intersezione fra
il cristianesimo e ciò che di vitalmente
significativo sta al di là di esso. Premesso
ciò, ritengo oggi non sia affatto superflua
un’ulteriore riflessione sulla filosofia
della Weil, come quella compiuta nel recente
saggio di Armida Pezzini, volto a illuminare
una ricerca speculativo-spirituale, elaborata
sulla soglia fra filosofia e mistica, tra
assoluta laicità e devozione senza riserve
a Cristo-Dio.
Forse è bene iniziare questo breve invito
alla rilettura e al ripensamento dei testi
weiliani, con una considerazione sul malheur,
sulla sventura, che mi sembra rappresenti
senz’altro uno snodo cruciale nel pensiero
di Simone. Sventura come cifra emblematica
del limite, della precarietà e della finitudine
propri di ogni umano. In quest’ottica - nota
la Pezzini - assumere il proprio carico di
sventura “diventa allora quel percorso necessario
di purificazione, attraverso il quale si
rivela la verità dell’uomo che si identifica
in primo luogo come creatura”. Così l’accettazione
di dolore e assurdità d’un vivere all’insegna
del venir meno, rappresenta per la Weil la
chiave utile a spalancare la porta su una
dimensione altra: quella religiosa/spirituale;
l’unica in grado di consentirci di non disperare
dinnanzi al malheur, ma di assumerlo come
necessità ineludibile e di trasformare tale
consenso in una sorta di libertà (dalle illusioni
e dalle vane brame, quantomeno).
Non a caso l’attenzione della Weil in quanto
sedicente cristiana si sofferma più sulla
Passione che sulla resurrezione di Gesù,
giacché la croce è simbolo di un accettare/patire
totalmente l’esistenza, prima ancora di una
speranza oltremondana. Croce da cui fu gridata/denunciata
dal Figlio l’assenza del Padre (“Mio Dio,
perché mi hai abbandonato?”). Assenza, iniziata
in un certo qual senso al momento stesso
della creazione, allorché Dio abbandona mondo
e creature alla dura legge della necessità
attraverso un’abdicazione (kenosis) già avvenuta
ben prima della morte del Giusto. Ma allora,
si domanda la Pezzini con la Weil, come potremo
mai riguadagnare Dio? Attraverso un processo che Simone chiama
décréation (decreazione) col quale imitando
Dio l’uomo deve rinunciare all’io, all’egoismo,
e a qualsivoglia pretesa velleitaria. Una
rinuncia egoica totale che ricorda molto
la Gelassenheit: l’abbandono a Dio del grande
mistico tedesco Meister Eckhart.
Ma essa ricorda anche lo stoicismo, il buddismo
e in generale un po’ il misticismo d’ogni
epoca (tanto occidentale quanto orientale),
che fa della meditazione intorno alla morte
il primo compito da affrontare per chi voglia
aprirsi all’illuminazione. In quanto, paradossalmente,
solo attraverso la morte l’uomo potrà accedere
all’immortalità. È questa consapevolezza
a spingere la Weil a osare la seguente scandalosa
affermazione: “La morte è ciò che è stato
dato all’uomo di più prezioso”. Il riscatto
dal malheur dunque passa per l’annichilimento
dell’io e dello sguardo accentratore/predatore.
Perdita che sola ci consente di aprirci ad
uno sguardo trasfigurato affinché possiamo
cogliere la nuda bellezza del mondo universo.
Bellezza che - sottolinea la Pezzini - appare
anche come armonia, ordine e infine ineffabile
mistero.
E, quantunque normalmente ognuno sia portato
a colonizzare/dominare l’altro da sé cercando
di allargare sempre più la propria influenza
sulle cose e sugli esseri, resta che questa
tendenza si rivela puntualmente illusoria,
se non altro perché al tempo (vecchiaia,
privazione e morte) non si può sfuggire.
Stante tutto ciò, appare davvero convincente
l’invito weiliano a smettere di proiettarci
nel futuro e di rimpiangere (o biasimare)
il passato, badando a rimanere nella dimensione
del presente, dell’hic et nunc, qualunque
cosa accada, evitando l’evitabile e imparando
ad abitare senza angoscia l’inevitabile.
È questa la contemplazione del mondo auspicata
dalla mistica Simone.
Non posso che concordare con la Pizzini:
“L’ossatura della produzione matura della
Weil è data da un intreccio tra filosofia
e mistica”; ma non è alla filosofia occidentale
ciò a cui guarda l’autrice francese. È piuttosto
la letteratura filosofico-religiosa orientale
a illuminare la sua riflessione. Specie quella
relativa all’inanità del desiderio; quantunque
Simone ritenga che alla radice del nostro
tendere mai pago si possa trovare un’energia
buona che ci sospinge verso l’infinito e
verso Dio.
Un dio, è bene sottolinearlo, che qui appare
spoglio di qualsivoglia attributo gli sia
stato affibbiato da questa o quella teologia,
chiesa o tradizione religiosa, giacché il
divino è mistero (termine che trae origine
dal verbo greco myein: chiudere gli occhi
o la bocca, non potendo noi cogliere/esprimere
appieno l’inafferrabilità/indicibilità del
sacro). Si torna così alla metafora della
soglia: ambito liminare per antonomasia,
sospeso tra mondo e soprannaturale, enti
ed essere, creature e dio. Soglia presso
cui sarebbe opportuno eleggere la propria
dimora spirituale. Secondo la Weil degli
ultimi Chaiers (Quaderni) del 1942, infatti,
l’uomo ha solo pazientemente da: “fissare
lo sguardo dell’anima su questo limite con
il desiderio di ciò che è al-di-là. (…) La
grazia farà il resto”.
Armida Pezzini, Pensare la soglia – La riflessione
di Simone Weil tra filosofia e mistica, Ed.
Cantagalli, pp. 309, € 23,00
Fonte : http://www.caffeeuropa.it/index.php?id=6,136
 
|