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 Attualità

15 Settembre, 2002
Una laurea nel buio (Marco Simoni su L*Unità)
Con quale credibilità magnifici rettori e presidi di facoltà protestano contro i tagli del governo? Dopo aver eletto, rapidamente e con una maggioranza schiacciante, Luigi Frati come proprio rettore, con quale onestà intellettuale i presidi ......

Con quale credibilità magnifici rettori e presidi di facoltà protestano contro i tagli del governo? Dopo aver eletto, rapidamente e con una maggioranza schiacciante, Luigi Frati come proprio rettore, con quale onestà intellettuale i presidi della Sapienza sostengono che è il centrodestra ad uccidere l’università, addirittura convocando gli studenti per mobilitarli contro il governo come è accaduto ieri nella facoltà di Ingegneria?

Mi sono laureato in Scienze Politiche all’università di Roma nel 2000, la mia storia è talmente tipica della mia generazione da risultare banale.

In qualche misura, posso testimoniare direttamente di quanto fossero efficaci i corsi di base a cui ero stato esposto. Tra mille inevitabili difetti, la mia preparazione non invidiava nulla a quella dei miei colleghi che venivano da Stanford o Oxford e che seguivano il mio stesso corso di dottorato a Londra. Questa consapevolezza, tuttavia, non fa che acuire il senso di sorda rabbia che prova, come me, ogni accademico italiano all’estero davanti alla decadenza che, nella sostanziale indifferenza sociale, colpisce l’università del nostro Paese. Fuori dai confini e nelle aule universitarie siamo centinaia e centinaia, non credo esista una statistica precisa, chi dovrebbe stilarla? Siamo protagonisti, collettivamente, di una delle più serie ed ignorate tragedie nazionali. Noi ne siamo i protagonisti fortunati. La gran parte di accademici italiani all’estero che io conosco sono contenti della propria vita e del proprio lavoro. Oggi con i voli a basso costo e Internet, per chi come me viene da Roma, lavorare a Londra o Palermo è circa la stessa cosa. Si parte, sapendo tuttavia che l’opzione del ritorno non esiste. Sapendo che il patrimonio di cultura che abbiamo ereditato dalla società che ci ha fatto crescere, gli anni di scuola e di licei dall’eccellenza inimmaginabile in altri Paesi, saranno ora a disposizione di un’altra società. Tutto sarebbe diverso se fossimo capaci anche di attrarre studiosi, oltre che di lasciar partire i nostri: saremmo solo parte di un mondo più largo. Invece non viene nessuno in Italia, e la crisi dell’università diventa fatalmente una delle cause più profonde e importanti della ormai lunga e pronunciata crisi economica, sociale, culturale, del nostro Paese.

Un meritorio libro che Roberto Perotti ha scritto per Einaudi, «L’università truccata», racconta tutti i dettagli di questa storia. La sostanza è che gli accademici italiani hanno governato l’università con le regole del peggior feudalesimo meridionale. Esistono eccezioni, naturalmente, esistono isole felici. Ma chi oggi in Italia continua a fare ricerca, con uno stipendio bassissimo, in condizioni di forzato asservimento culturale nei confronti del proprio barone, un atteggiamento nei confronti della ricerca che rappresenta il più esteso accordo bipartisan della storia d’Italia, è da considerarsi un eroe.

Gli studenti, strumentalizzati in questi giorni da baroni di ogni colore politico, saranno ancora una volta coloro che pagheranno il prezzo più alto dei tagli del governo, come accade sistematicamente in Italia da ormai quasi vent’anni: meno risorse e minori opportunità per i più giovani. Ma bisogna anche aver presente, superando l’ignavia bipartisan della classe politica, che questa scure non arriva a colpire un’organizzazione sana, per quanto migliorabile, ma una struttura impermeabile ad ogni riforma profonda, un luogo che ha perso il rispetto e la stima non tanto dei colleghi di altri Paesi, ma dei cittadini che all’università non vanno, che fanno fatica a capire a cosa serva alla società mantenere in cattedra persone con zero pubblicazioni, che non scrivono nulla di significativo, che gestiscono l’università come fosse cosa loro e non un patrimonio di tutti.

Roberto Perotti ha ricordato che Frati è il terzo rettore di seguito ad avere figli nello stesso ateneo. Mentre era preside della facoltà di Medicina, un incarico che ha conservato per 17 anni come se ne fosse, appunto, il padrone, suo figlio è stato chiamato in cattedra nella stessa istituzione. Anche sua moglie, già professoressa di lettere al liceo, ha una cattedra da ordinaria di storia della medicina nella stessa facoltà. Che cosa insegna questa università, il suo corpo docente, ai suoi studenti? Il governo di centrodestra con ogni sua politica punta ad allargare le spaccature della società italiana perchè su queste spaccature costruisce il suo consenso, come dimostrano i sondaggi e gli ultimi dieci anni di politica italiana. Non possiamo certo aspettarci un sostegno alla formazione pubblica, che per sua natura ricuce le spaccature, e rende una società più coesa. Bisogna ricordare tuttavia, e magari su questa consapevolezza costruire una politica di cambiamento, che l’università è stata già umiliata ripetutamente proprio da coloro che avevano il dovere di proteggerne e tutelarne la reputazione, la autorevolezza e la dignità.

 


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