15 Settembre, 2002
Misure anticrisi? Ai deboli solo le briciole di Stefano Fassina
Perché il Governo, di fronte ad una crisi sempre più grave, non realizza un vero intervento anti-ciclico?
Misure anticrisi? Ai deboli solo le briciole
di Stefano Fassina
Perché il Governo, di fronte ad una crisi
sempre più grave, non realizza un vero intervento
anti-ciclico? Come spiegare l'ostinazione
del Ministro Tremonti a negare la riduzione
delle imposte sui redditi medi e bassi da
lavoro e da pensione?
La ragione ufficiale è nota: la necessità
di evitare di essere puniti dai mercati,
via aumento dei tassi di interesse sui Titoli
di Stato, dato il nostro pesantissimo debito
pubblico. È una ragione in una certa misura
fondata. Tuttavia, la spiegazione ufficiale
non regge: in una prospettiva di prolungata
recessione, di fronte al rischio di depressione,
per rendere sostenibile il debito pubblico,
puntellare il Pil è più importante che tentare,
inutilmente, il controllo del deficit.
L'obiezione è conosciuta e condivisa dal
Ministro Tremonti. Allora, perché il Ministro
dell'Economia ha fatto approvare al Consiglio
dei Ministri in 10 minuti un Decreto Anti-crisi
che, caso unico nella storia, riduce la domanda
aggregata, invece di espanderla (ossia, ha
un effetto migliorativo dei saldi di finanza
pubblica invece di peggiorarli per sostenere
i consumi e gli investimenti)?
La risposta è semplice: il Decreto in corso
di approvazione alla Camera ha effetti molto
diversi da quelli “bollinati” dalla Ragioneria
Generale dello Stato, come erano diversi
gli effetti dei decreti di finanza pubblica
convertiti in legge prima dell'estate. È,
in realtà, anti-ciclico, in quanto riduce
in modo significativo le tasse ad una parte
dei contribuenti. Lo stimolo all'economia
il Ministro lo realizza attraverso due interventi
complementari: il primo è l'invenzione di
maggiori introiti da accertamento per i redditi
da lavoro autonomo, impresa e professioni
nel corso del 2009 per quasi 2 miliardi di
euro. Un importo assolutamente irrealistico,
come risulterà evidente a consuntivo (qualcuno
si assumerà la responsabilità dei risultati?).
Il secondo canale di stimolo dell'economia
passa per lo smantellamento delle misure
anti-evasione approvate nella scorsa legislatura,
la revisione per via amministrativa degli
studi di settore e l'introduzione di un paio
di modifiche alle norme sull'accertamento
che lasceranno alle imprese ed ai lavoratori
autonomi la massima discrezionalità nella
scelta delle imposte da pagare. Complessivamente,
tra maggiori entrate da accertamento inventate
e perdita di gettito da allargamento dell'evasione
prodotta dall’insieme degli interventi da
Giugno ad oggi, la differenza tra manovre
formali ed effettive è quasi 1 punto percentuale
di Pil, in larghissima misura a beneficio
dei lavoratori autonomi, delle imprese e
dei professionisti. In chiave populista,
i lavoratori dipendenti, i pensionati ed
i precari poveri ricevono qualche briciola
attraverso la social card, il bonus famiglie,
qualche sussidio di disoccupazione in deroga.
I redditi bassi e medi di lavoratori dipendenti
e pensionati non hanno nulla.
L'operazione di Tremonti è indubbiamente
abile sul piano politico: un intervento ufficialmente
iper-rigorista, a imperitura prova delle
capacità di statista del nostro Ministro,
coniugato con la tutela dei serbatoi elettorali
di riferimento della destra. È un'operazione
apprezzata dai diretti interessati, i quali
per riconoscenza accettano di essere fuori,
come categorie di contribuenti, dal bonus
famiglia. Il patto implicito sottostante
alle misure di Tremonti prevede, infatti,
l'esclusione dei redditi da lavoro autonomo,
di impresa e professionale dagli interventi
di sostegno ai redditi in cambio della sostanziale
legittimazione all'evasione.
Per quanto brillante in termini politici,
la scelta di Tremonti è perdente in termini
economici perché è fortemente regressiva
sul piano della redistribuzione del reddito:
certo, anche il piccolo commerciante, il
piccolo artigiano ed il giovane professionista
potranno autoridursi il conto con il fisco,
ma la stragrande maggioranza delle risorse
perse dal Bilancio dello Stato si concentrerà
nelle mani di pochi (qualche centinaia di
migliaia) medi e grandi evasori i quali non
potranno che dare un contributo marginale
alla domanda interna. In sintesi, tanti potranno
nascondere al fisco una quota maggiore di
redditi che, però, in un futuro prossimo
si contrarranno più del risparmio di imposte
autodeterminato, portando così anche per
essi ad una diminuzione di risorse disponibili.
Il patto implicitamente stretto con il lavoro
autonomo, la piccola impresa, i professionisti
è soltanto una delle articolazioni della
politica economica corporativa e populitsta
portata avanti da Tremonti e accolta da interessi
economici miopi. Le altre articolazioni fondamentali
riguardano le grandi imprese bancarie e manifatturiere,
sia private che pubbliche (con buona pace
di Robin Hood), per le quali, in cambio di
supporto politico e mediatico, si smantellano
le riforme pro-concorrenza (dalla portabilità
dei mutui alla class action, dal ridimensionamento
delle authority di regolazione dei mercati
alla protezione dalle Opa ostili, solo per
fare qualche esempio) e si rimuovono i limitati
argini posti al lavoro precario (dalla cancellazione
del dispositivo per evitare la firma di lettere
di dimissioni in bianco alla eliminazione
della responsabilità solidale del committente
e dell'appaltatore per il pagamento di contributi
sociali ed imposte).
Un patto corporativo viene offerto anche
ai sindacati confederali nella trattativa
per la riforma del modello contrattuale,
oltre che nel cosiddetto Decreto Anticrisi:
rafforzamento dei poteri e dello status delle
burocrazie sindacali nella gestione in esclusiva
di funzioni pubbliche (dalla formazione all'indennità
di disoccupazione) e aumento dei redditi
dei lavoratori più protetti, in cambio dell'abbandono
del terreno negoziale e dell'accettazione
di una generalizzata compressione dei salari.
La politica economica corporativa, tipica
della tradizione fatta propria da Tremonti
(“Dio, Patria, Famiglia”), non funzionerà:
le contraddizioni e le disuguaglianze diventeranno
rapidamente insostenibili. Certo, come la
storia insegna, dipenderà dalle forze riformiste
(politiche, sociali, culturali) se la rottura
del precario equilibrio corporativo instaurato
porterà ad un ulteriore restringimento degli
spazi di democrazia o ad una maggiore tutela
dei diritti e delle libertà e ad una ripresa
della crescita economica condivisa.
Stefano Fassina
Fonte: www.nens.it
 
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