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15 Settembre, 2002
Economia No al protezionismo Di Pierluigi Bersani, Ministro Ombra dell’Economia
Siamo nel pieno di una tempesta finanziaria che può riversare effetti rilevanti sull’economia reale. È un drammatico passaggio di fase.

Economia   No al protezionismo Di Pierluigi Bersani, Ministro Ombra dell’Economia
Siamo nel pieno di una tempesta finanziaria che può riversare effetti rilevanti sull’economia reale. È un drammatico passaggio di fase.

Siamo nel pieno di una tempesta finanziaria che può riversare effetti rilevanti sull’economia reale. È un drammatico passaggio di fase. Non cade la globalizzazione. Cade l’interpretazione finanziaria della globalizzazione. La miccia si è accesa sui mutui ipotecari, si è estesa al sistema di cartolarizzazione dei prestiti, agli abnormi meccanismi piramidali, ai rapporti   interbancari. Ovunque si invocano garanzie pubbliche o in via di riparazione o in via preventiva. Anche coloro che hanno stampato moneta falsa per mettersi in tasca quella buona e hanno infettato il mondo cercano oggi riparo presso lo Stato. I contribuenti, a cominciare dagli Stati Uniti, si convincono a pagare per evitare guai peggiori. Il rischio che si intravede non è solo il crollo del castello di carta della finanza creativa.

 

Ci saranno, in una qualche misura inevitabili effetti depressivi e recessivi sull’economia reale. Se andiamo più a fondo nell’analisi di quel che è avvenuto ci accorgiamo di essere stati sospinti a questo esito drammatico da un modello che è invalso in particolare negli Stati Uniti e che ha affidato alla finanza un compito sostitutivo della crescita dei redditi da lavoro e della funzione della redistribuzione, quasi che toccasse alla finanza esprimersi come una specie di nuovo Welfare. In questo passaggio critico può e deve prendere forma e, già dalle prossime ore, non solo una politica europea mirata all’emergenza, non solo un rafforzamento ed una integrazione continentale della regolazione e del controllo dei mercati finanziari, ma anche, finalmente, un coordinamento delle politiche di bilancio per sostenere la domanda e per stimolare le attività economiche a cominciare dai problemi dell’accesso al credito per le imprese e per le PMI in particolare; a cominciare da un piano europeo per le infrastrutture e la crescita, secondo quella che fu l’ispirazione di Delors quasi venti anni fa, ispirazione di cui la destra di oggi produce fotocopie ritoccate dopo aver bloccato l’originale.

 

Per quanto riguarda i possibili riflessi protezionisti, nazionalisti e statalisti di questa crisi, vorrei sgombrare il campo dalle troppo facili palinodie. Solo il servo encomio, incredibile e imbarazzante, verso il Governo e il Ministro del Tesoro impedisce che venga fatta in questi giorni al Ministro Tremonti una semplice domanda: chi nel 2003 voleva introdurre pari pari il sistema dei mutui ipotecari americani a fini di rilancio dei consumi e di Welfare implicito? Come ci si può dimenticare oggi di una vicenda che impegnò le prime pagine dei giornali e che fu stoppata dall’opposizione in primo luogo nostra. Come ci si dimentica dell’abnorme sviluppo che avemmo allora della finanza creativa, delle parossistiche cartolarizzazioni e del via libera dell’accesso degli Enti locali a strumenti finanziari rischiosi.

 

Tutto questo fece di noi uno dei migliori mercati per le banche d’affari del mondo. Ma noi abbiamo un’altra idea. Ribadiamo che per l’Italia propugnare protezionismi significa tagliare il ramo su cui siamo seduti. Il che non significa in nessun modo negare l’esigenza di una regolazione molto più stringente, a cominciare dalla finanza, e di ragionevoli misure difensive contro speculazioni ed effetti dumping di ogni genere. Ma siamo totalmente contrari all’idea che lo stato occupi spazi propri mentre abbandona quelli suoi. Ci vuole più stato. Siamo i primi a dirlo e lo diciamo prima di ogni altro. Ma più stato dove? Oggi lo stato deve garantire le protezioni sociali rafforzando le strutture universalistiche e non concedendo al mercato la risposta a bisogni fondamentali. Lo stato deve garantire politiche fiscali progressive e redistributive più efficaci; promuovere a livello internazionale ed allestire a livello nazionale strutture e strumenti più pertinenti ed efficaci di regolazione e controllo dei mercati; determinare standard e politiche attive che sollecitino innovazione e qualità nella produzione e nei consumi; garantire lo sviluppo e il radicamento nazionale (in attesa di quello europeo) di fondamentali reti strategiche materiali e immateriali; occuparsi di capitale umano, di infrastrutture, di ricerca, ecc...

 

Quante cose deve fare lo stato in economia, cose che non sta facendo o non sta facendo abbastanza! Il vero problema del Paese ha dei nomi chiari: prezzi, redditi, consumi, produzione. Così non va. È tempo di tornare alla realtà. L’ISTAT ci dice che 14 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro al mese; che il 15% delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese, che il 28% non può fare fronte ad una spesa imprevista, il 10% è in ritardo per il pagamento di bollette, il 4% non ha soldi per spese alimentari, il 10% per spese mediche, il 16% per l’abbigliamento. Se guardiamo al Sud queste percentuali raddoppiano. Intanto l’inflazione tendenziale ci porta sopra la media europea dopo un anno in cui eravamo andati sotto la media europea. Questa inflazione non è ascrivibile né alla domanda interna né alle retribuzioni e quindi si scarica senza riparo alcuno sui redditi medi e bassi mentre i contratti si fanno con un ritardo medio di 12 mesi, il fiscaldrag non viene recuperato, le pensioni si svalutano, la produttività non va in tasca ai lavoratori.

 

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fonte: http://www.affaritaliani.it/economia/protezionismo-bersani020109.html

 

 


       



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