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 Politica

15 Settembre, 2002
Il Pd e quell'inutile nostalgia di Berlinguer (di Mario Rodriguez da Europa)
La nostalgia non aiuta a superare le crisi. È necessario cambiare perché le formule che hanno garantito la soluzione dei problemi del passato non funzionano più

La nostalgia non aiuta a superare le crisi. È necessario cambiare perché le formule che hanno garantito la soluzione dei problemi del passato non funzionano più. E non funzionano non perché fossero sbagliate allora ma perché non sono appropriate adesso.

Il problema dell'oggi, di questa crisi, è prima di tutto un problema di definizione, di comprensione.

Comprendere cause e condizioni è il passo essenziale per procedere nella impostazione del superamento della crisi. Cercare di interpretarla ispirandosi a impostazioni di più di trent'anni fa è proprio la strada sbagliata. Accostare il concetto «sobrietà», usato dal presidente Napolitano nel suo discorso di fine anno, con quello di «austerità », utilizzato nel lontano 1977 dall'allora segretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer, è un'operazione che, soprattutto, non aiuta a mettere a fuoco la crisi che stiamo vivendo.

Per questo colpisce la lettura che l'Unità ha dato al discorso di fine anno del capo dello stato. A patto che per l'Unità puntare sulla questione morale, prima con l'intervista a Eugenio Scalfari poi con questa lettura dell'intervento del presidente, non rappresenti una scelta di posizionamento, editoriale e politico. Un posizionamento che potrà forse essere utile all'editore ma dubitiamo possa esserlo per l'affermazione del Partito democratico.

Il concetto di austerità aveva le sue giustificazioni e la sua carica propositiva in quell'Italia in crisi profonda, apriva nuovi spazi di iniziativa confermati dal successo del convegno dell'Eliseo. Successo incarnato da presenze autorevolissime come quella di Franco Modigliani, diventato in seguito Nobel dell'economia. Il Pci si rendeva disponibile a sostenere fattivamente politiche "democratiche". Era il tempo della solidarietà nazionale e della famosa intervista di Berlinguer a Pansa sul Corriere circa l'importanza della democrazia e il ruolo della Nato.

Ma l'ideologizzazione dell'austerità si legò anche all'incomprensione dei grandi cambiamenti che l'economia occidentale stava vivendo, dall'avvento della società post industriale alla rivoluzione silenziosa dei valori post materiali, e dette al "compromesso storico" più la carica valoriale dei catto-comunisti che quella economico sociale dei socialdemocratici. Nel 1974 anche le analisi di Sylos Labini sulle classi sociali in Italia avevano contribuito a confermare l'erroneità delle previsioni marxiste sull'evoluzione del capitalismo.

L'ideologizzazione dell'austerità, dopo l'assassinio di Moro e della sua scorta che davvero hanno cambiato la storia d'Italia, portò all'isolamento il Pci che si impantanò davanti ai cancelli della Fiat e rimase attonito davanti alla marcia dei quarantamila. Nel frattempo, nello stupore generale, chi aveva sperato che l'eurocomunismo diventasse socialdemocrazia esplicita – la conferenza di Madrid fu nello stesso anno del convegno dell'Eliseo – dovette ascoltare ancora l'esaltazione dell'insegnamento di Lenin nel comizio della festa dell'Unità del '79. E Berlinguer, come riconosciuto da uno dei maggiori esponenti del suo partito, divenne un ostacolo al cambiamento, all'adattamento alla nuova realtà.

Alla crisi degli anni '70 che travolgeva le politiche keynesiane in Europa e negli Stati Uniti, Berlinguer rispondeva con quella accentuazione della dimensione etica che lo predispose all'incomprensione totale del travaglio socialista e della leadership craxiana.

Intanto l'Urss invadeva l'Afghanistan e si avviava all'implosione. Per questo non convince l'accostamento della sobrietà richiamata dal presidente Napolitano al concetto di austerità di Enrico Berlinguer. Ci pare di poter dire che Giorgio Napolitano, l'uomo politico prima ancora del presidente della repubblica, guardi avanti al «rinnovamento » della nostra economia e che sia preoccupato del dominio dello sguardo di breve periodo e per questo inviti ad essere «lungimiranti».

Non vi sono nel suo discorso termini come spreco, sperpero, esaltazione dell'individualismo più sfrenato, consumismo più dissennato, per citare solo alcuni stralci della "lezione" di Berlinguer che l'Unità ha voluto riproporre.

E che fanno torto proprio a Berlinguer perché incasellano il suo pensiero e il suo operato in una dimensione troppo angusta. La crisi che stiamo vivendo infatti non può essere affrontata con queste chiavi di lettura. I problemi sono molto più complessi. Appunto ancora da mettere bene a fuoco. Tra il '68 e Gramsci c'è all'incirca lo stesso lasso di tempo che intercorre tra il nostro tempo e la fioritura politica di Enrico Berlinguer. Ma proprio alla luce di quello che è successo dopo il '68 possiamo, a maggior ragione, sostenere che come non fu sufficiente ripartire da Gramsci nel '68 così non sarà sufficiente la "lezione" di Berlinguer oggi.

 


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