15 Settembre, 2002
Meglio essere considerati ladri e corrotti che moralisti? (di A. Gusperti)
Un popolo, composto da individui che credono nei diritti ma che non sanno praticare i doveri, non é una comunità di persone libere
Nonostante tutto quanto sta succedendo
in questi giorni in Italia resta
di grande uso una parola capace
di affossare ogni discussione sul senso
del dovere: “moralista”. Meglio
essere considerati dei ladri o dei corrotti
che dei moralisti che prendono
sul serio i doveri e si aspettano che
anche gli altri facciano altrettanto.
Ma, ormai, dovrebbe essere chiaro
che una società democratica formata
da cittadini persuasi di avere solo diritti
degenera in breve tempo nel dominio
dei prepotenti sui deboli e dei
furbi sugli onesti. Da cui si desume
facilmente che i doveri sono i più
preziosi alleati dei diritti, anzi possiamo
dire che senza doveri i diritti assumono
l’aspetto di privilegi odiosi.
Del resto la nostra Carta Fondamentale
sancisce i diritti ed i doveri
del cittadino. Purtroppo ultimamente
si tende a negare la metà scomoda
e così si sostiene che é vecchia, che
bisogna cambiarla. A pensarci bene
però il problema non sta nella Carta
ma negli italiani. Un’elite colta e dotata
del senso dei doveri civici potrebbe
governare benissimo con l’attuale
Costituzione, mentre una classe
politica ignorante e corrotta governa
male anche con il miglior sistema
di regole. La saggezza politica
consiglierebbe piuttosto di cambiare
i politici, ma purtroppo bisogna constatare
che la saggezza nella Penisola
é sempre stata una merce rara.
Un popolo, composto da individui
che credono nei diritti ma che non
sanno praticare i doveri, non é una
comunità di persone libere ma una
moltitudine dove impera la legge del
più forte, e dove i deboli, qualunque
sia la ragione della loro debolezza,
hanno soltanto il diritto di rassegnarsi
a non avere diritti. Ma bisogna
ricordarsi che in tutta la Storia
ed in tutto il mondo il disprezzo per
i diritti umani non ha mai portato né
a forme più alte di benessere, né a
maggior libertà, né a comunità più
giuste, ma ai campi di sterminio.
Anselmo Gusperti
 
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