15 Settembre, 2002
Auschwitz-Birkenau, 27 gennaio 1945 di Giorgino Carnevali
Son morto con altri cento, son morto ch’ero un bambino, passato per il camino…e adesso sono nel vento. Ad Auschwitz c’era la neve
Auschwitz-Birkenau, 27 gennaio 1945 di Giorgino
Carnevali
Son morto con altri cento, son morto ch’ero
un bambino, passato per il camino…e adesso
sono nel vento. Ad Auschwitz c’era la neve
AUSCHWITZ: IL BAMBINO NEL VENTO, LE DONNE
“VIOLATE”. LA SHOAH!
(…poi il fango del campo, la nudità dei corpi
ancora più nudi dopo la rasatura, luridi
letti a castello come gabbie per conigli).
Impossibile dimenticare....la memoria.
Auschwitz-Birkenau, 27 gennaio 1945. Quel
giorno vennero abbattuti i cancelli di quello
che diverrà in seguito il più orrendo campo
di concentramento della storia, luogo di
deportazione, di prigionia e di sterminio
di un intero popolo, simbolo di una folle
strage e della Shoah.
Cremona, 27 gennaio 2010. Come in tantissime
altre città d’Italia anche da noi verranno
abbattuti i “luoghi comuni” mentre invece
si accenderanno potenti i riflettori sul
“Giorno della Memoria”.
“Son morto con altri cento, son morto ch’ero
un bambino, passato per il camino…e adesso
sono nel vento. Ad Auschwitz c’era la neve,
il fumo saliva lento nel freddo giorno d’inverno…e
adesso sono nel vento. Tante persone ma un
solo grande silenzio: è strano, non riesco
ancora a sorridere qui nel vento. Io chiedo
come può un uomo uccidere un suo fratello,
eppure siamo a milioni in polvere qui nel
vento. Ancora tuona il cannone, ancora non
è contento di sangue la belva umana e ancora
ci porta il vento. Io chiedo: quando sarà
che l’uomo potrà imparare a vivere senza
ammazzare e il vento si poserà?” (Canzone
di Guccini - i Nomadi).
La deportazione femminile ha avuto una storia
a sé, solo in parte paragonabile a quella
maschile, a cominciare dall’impossibilità
di mantenere quel pudore per il proprio corpo
che in quel periodo era ancora così diffuso,
al dover affrontare in certi casi la maternità
in quelle condizioni subumane, al dover assistere
impotenti all’uccisione dei propri figli,
magari appena nati, dei propri mariti. Orrendo,
immane, atroce sacrificio di vite umane!
Testimonianze di donne deportate nei campi
nazisti.
“….eravamo accatastate in baracche piene
di escrementi, che si perdono per strada
o dentro «stracci luridi e puzzolenti» che
chiamano coperte. Alcune non sopportano e
si gettano sul filo spinato elettrificato
che circonda il campo. Scoppia una epidemia
di tifo, molti medici muoiono e Sima viene
chiamata al Revier (tipo di infermeria).
Qui tutto è nero e sporco, di sangue, di
pus. Odore di escrementi, odore di corpi
in putrefazione, divorati da scabbia, foruncoli,
pidocchi che si annidano persino sotto le
fasciature. I casi di follia si moltiplicano.
E le morti pure. E chi non ce l’ha fa da
sola, diventa buona per la selezione. Vedo
arrivare vagoni stipati di uomini, donne,
vecchi e bambini. Di lì a poco….verranno
a morire nelle camere a gas. Ma loro non
lo sanno. Meglio se non lo sanno. Entrano
nelle docce ed escono cadaveri per i forni
crematori”.
“….Maria, invece, è entrata nel campo incinta.
Ha nascosto a lungo, sotto le fasce strette
sul ventre, la gravidanza, decisa a portarla
a termine, assolutamente. Denunciata da una
anziana prigioniera che la morte della figlia
ha reso ostile di qualsiasi altra giovane
che sia ancora in vita, morirà dissanguata
assieme al bimbo, venuto alla luce in una
notte infernale, nel lurido di una baracca
gremita di donne vocianti, senza né acqua
né luce, aiutata dalla vecchia cui la miracolosa
nascita ha restituito d’un colpo la sua umanità”.
“….Bruna ha perduto il figlio. Le è stato
strappato all’entrata nel Lager e ora svuota
i grossi bidoni di immondizie e si indebolisce
sempre di più. Qualcuna lo vede e avverte
la madre che si premura di raccattare quel
poco di cibo, privandosene ella stessa, che
lo tenga in vita. Anche le compagne metteranno
da parte un boccone di pane per Pinin, «tanto
la fame sarebbe stata sempre la stessa».
Ma Pinin viene messo nel blocco della quarantena
e Bruna presa dall’ansia di non poterlo vedere
e sfamare smania sempre di più fino a che
quel crescendo di angoscia e tormento si
stempera d’un tratto sul reticolato ad alta
tensione dove le dita di madre e figlio si
intrecciano per l’ultima volta nell’ultimo
istante di vita”.
“…. Zina, la russa, si intestardisce a voler
aiutare nella fuga Ivan, che tanto assomiglia
al marito ucciso. Morirà di botte, che tanto
senza di lui la vita non ha senso”.
“….la scelta di sopravvivere, prostituendosi,
costa a Lotti la perdita affettiva della
sorella che pur giacendo sfinita nel Rivier
non accetta i suoi doni”.
“…tante donne, una moltitudine di donne ubbidiscono
all’appello nel buio e poi su, di nuovo su
un treno, a fatica, perché è già stipato.
L’ingresso nel campo vede la separazione
dai padri e gli sforzi per assicurare cibo
ai figli e ai mariti, che vedono di nascosto
e che moriranno in tanti, poco dopo. Vedono
i bambini chiusi dentro l’obitorio, dove
i cadaveri giacciono gli uni sopra gli altri.
Vedono parenti senza un lenzuolo che li avvolga
e della cui mancanza accusano altri parenti,
quasi che coperto…il morto fosse meno morto”.
Primo Levi, da “Se questo è un uomo”, un
classico della letteratura mondiale.
“Se comprendere è impossibile, conoscere
è necessario. Perché ciò che è accaduto può
ritornare; le coscienze possono nuovamente
essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.
Sintesi di riflessione…se ancora ci riesco,
dopo tutto!
Inutili, sul finire, i miei commenti al riguardo,
direttore; inutili i vostri, inutili quelli
della gente comune. Solo se riusciremo a
tenere in vita i nostri ideali anche il “Giorno
della Memoria” uscirà dai confini della celebrazione
per entrare quotidianamente nel nostro patrimonio
di vita vissuta con dolore, con speranza
e con emozione.
giorgino carnevali
 
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