15 Settembre, 2002
LA SFIDA DI GOOGLE ALLA CINA
PER AMNESTY INTERNATIONAL ORA PECHINO DEVE PORRE FINE ALLA CENSURA
LA SFIDA DI GOOGLE ALLA CINA: PER AMNESTY
INTERNATIONAL ORA PECHINO DEVE
PORRE FINE ALLA CENSURA
All’indomani della decisione di Google di
reindirizzare tutto il proprio
traffico sui server di Hong Kong, cessando
in questo modo di filtrare i
risultati delle ricerche, Amnesty International
ha dichiarato che la Cina
dovrebbe rimuovere ogni restrizione su Internet.
‘Riconoscendo che la sua politica aziendale
era incompatibile con
l’autocensura richiesta per operare all’interno
della Cina, Google ha
sfidato le autorita’ di Pechino a rispettare
il principio della liberta’
d’espressione sancito dalla Costituzione
cinese’ – ha dichiarato Roseann
Rife, vicedirettrice del Programma Asia di
Amnesty International.
Google ha dichiarato ieri che le autorita’
cinesi potrebbero ora decidere
di bloccare l’accesso al motore di ricerca
google.com.hk.
Gli utenti che criticano la decisione di
Google sostengono che questo
motore di ricerca fosse uno dei meno sottoposti
a restrizioni.
‘Gli utenti che avevano sperato che Google
non lasciasse la Cina e che
criticano questa decisione, dovrebbero in
realta’ chiedere al loro governo
come e perche’ Internet e’ censurato nel
loro paese’ – ha commentato Rife.
Anche il sito di Amnesty International, www.amnesty.org,
e’ bloccato.
L’unico periodo in cui e’ stato accessibile
e’ stato il secondo semestre
del 2008.
Reagendo alla decisione di Google, le autorita’
cinesi hanno accusato
l’azienda di ‘aver politicizzato questioni
commerciali’.
‘Sono le autorita’ di Pechino ad aver politicizzato
Internet, bloccando
determinati motori’ – ha precisato Rife.
‘Quando un governo limita la
pubblica discussione e diffusione di idee
su Internet, come fa
regolarmente quello cinese, e’ quel governo
a imporre la sua agenda
politica e a stabilire i limiti del dibattito’.
Amnesty International ha documentato molti
casi, tra cui quelli di Liu
Xiaobo e Tan Zuoren, in cui le autorita’
hanno ridotto al silenzio
difensori dei diritti umani, imprigionandoli
per aver diffuso informazioni
e testi attraverso Internet.
In precedenza, Amnesty International aveva
sollecitato aziende quali
Yahoo!, Microsoft e la stessa Google affinche’
s’impegnassero a onorare le
disposizioni della Costituzione cinese sulla
liberta’ d’espressione.
Amnesty International aveva chiesto a queste
aziende anche di essere
trasparenti circa i sistemi di filtro usati
in Cina e sugli accordi
intrapresi col governo di Pechino che avevano
implicazioni sulla censura e
sulla repressione del dissenso.
Per ulteriori informazioni, approfondimenti
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