15 Settembre, 2002
STATI GENERALI DELLE COSTRUZIONI
La crisi investe il settore delle costruzioni Ad un anno dagli Stati Generali delle Costruzioni le risposte che mancano per uscire dalla crisi
STATI GENERALI DELLE COSTRUZIONI
La crisi investe il settore delle costruzioni
Ad un anno dagli Stati Generali delle Costruzioni
le risposte che
mancano per uscire dalla crisi
STATI GENERALI DELLE COSTRUZIONI:
ANCE
CNA COSTRUZIONI
FENEAL UIL
FILCA CISL
FILLEA CGIL
ANAEPA-CONFARTIGIANATO
CLAAI
FIAE CASARTIGIANI
ANIEM CONFAPI
AGCI/PSL
ANCPL-LEGA COOPERATIVE
FEDERLAVORO SERVIZI CONFCOOPERATIVE
AGI
FEDERCOSTRUZIONI
ASSOIMMOBILIARE
I NUMERI DELLA CRISI
• Investimenti in costruzioni
-18% gli investimenti in costruzioni in 3
anni; 29 miliardi di mancata produzione -30%
la nuova edilizia abitativa -23% l'edilizia
non residenziale privata -16% i lavori pubblici
• Occupazione
137.000 posti di lavoro persi nel 2009 nelle
costruzioni
210.000 nel sistema delle costruzioni (costruzioni
e settori collegati)
• Fallimenti
Oltre 2.000 imprese di costruzioni fallite
nel 2009; 30% in più rispetto al 2008 Ulteriore
aumento del 30% nel primo trimestre 2010
• Imprese di costruzioni
9.000 imprese in meno nel 2009 e altre 7.800
nel primo trimestre 2010
• Bandi di gara per lavori pubblici
Dal 2003 al 2009 l'importo dei lavori posti
in gara è diminuito del 24% in termini reali;
il numero dei bandi si è ridotto del 55%.
Ulteriore flessione del 25% del numero e
del valore nel primo trimestre 2010
• Compravendite
Riduzione in tre anni del 30% del numero
di compravendite di abitazioni e del 25%
di immobili non residenziali
LE PRIORITA’ PER USCIRE DALLA CRISI MODIFICARE
IL PATTO DI STABILITA’ INTERNO
In una fase del ciclo economico in cui è
assolutamente necessario immettere liquidità
nel sistema, si assiste, da mesi, ad un’attività
opposta che, attraverso il sistematico ritardo
nei pagamenti, sottrae liquidità alle imprese
impegnate nella realizzazione di opere pubbliche.
Questo inaccettabile comportamento è stato
reso ancor più grave per effetto del Patto
di stabilità interno. Le regole attualmente
in vigore, infatti, costringono gli Enti
locali ad allungare i tempi di pagamento
oltre che a ridurre la parte più virtuosa
e discrezionale della spesa pubblica, gli
investimenti in conto capitale.
Il Patto di stabilità interno non può essere
cancellato. Ce lo impone non solo la logica
di Maastricht, ma anche quell’obiettivo di
equilibrio dei conti pubblici a cui gli Enti
locali concorrono.
Ma allo stesso tempo bisogna mettere gli
Enti locali nella condizione di realizzare
gli investimenti necessari allo sviluppo
e alla competitività del Paese e onorare
i propri debiti nei confronti delle imprese,
attuando in tempi rapidi una modifica strutturale
delle regole del Patto di Stabilità Interno,
ricorrendo anche a urgenti provvedimenti
temporanei. Inoltre occorre che il Governo
individui alcune opere strettamente prioritarie
per richiedere alla Commissione Europea di
considerare tali investimenti fuori dai parametri
di Maastricht.
GARANTIRE I PAGAMENTI DOVUTI ALLE IMPRESE
L’ormai cronico ritardo con cui le Amministrazioni
Pubbliche pagano le imprese di costruzioni
per i lavori eseguiti pone le stesse imprese
di fronte ad una crisi finanziaria in grado
di minacciarne la sopravvivenza.
Tale problema è stato affrontato dalla Commissione
europea che ha emanato una nuova Direttiva,
all’approvazione del Parlamento europeo,
per velocizzare i pagamenti soprattutto delle
P.A..
Nell’immediato, in attesa delle regole europee,
sarebbe opportuno coinvolgere la Cassa Depositi
e Prestiti nel pagamento delle imprese per
conto della Pubblica Amministrazione.
Sarebbe inoltre necessario consentire alle
imprese di compensare i propri crediti certi,
liquidi ed esigibili con le imposte e i contributi
dovuti.
Chiediamo reciprocità nei diritti e nei doveri
nei rapporti tra P.A. e imprese.
SBLOCCARE LE RISORSE PER INFRASTRUTTURE
Lo sblocco degli 11,2 miliardi di euro di
risorse pubbliche per infrastrutture deliberate
dal Cipe a giugno 2009 non è più rimandabile.
A distanza di quasi un anno, le ricadute
del Piano sul mercato delle nuove opere pubbliche
sono praticamente nulle (solo 20 milioni
di euro affidati). Manca almeno la metà delle
risorse di cassa necessarie per realizzare
il Piano e non si fa neanche chiarezza sull’utilizzo
delle risorse che ci sono.
Nel contesto di forte riduzione del mercato
delle opere pubbliche, non è più sopportabile
rimanere in attesa dell’avvio dei programmi
di opere medio¬piccole (piano delle opere
medio¬piccole, programmi dell’edilizia scolastica
e carceraria, della ricostruzione in Abruzzo
e delle opere urgenti di risanamento ambientale
e in particolare la messa in sicurezza del
territorio), dotati complessivamente di 3,4
miliardi di euro, che possono dare un contributo
concreto al settore delle costruzioni e migliorare
la qualità della vita dei cittadini risolvendo
problemi alla collettività.
A tal proposito occorre:
• accelerare l’effettiva realizzazione del
Piano infrastrutturale approvato dal Cipe;
• mettere a disposizione le risorse disponibili
in tempi certi;
• dare priorità agli interventi diffusi sul
territorio, che possono avere un effetto
più immediato contro la crisi creando un
volano che rimetta in moto lo sviluppo nelle
costruzioni e nell’indotto.
UTILIZZARE LA LEVA FISCALE
Tra gli strumenti necessari per accelerare
processi virtuosi di uscita dalla crisi c’è
sicuramente l’utilizzo della leva fiscale.
Riteniamo necessario il ripristino dell’IVA
per le cessioni di abitazioni poste in essere
dalle imprese di costruzioni anche dopo i
4 anni dall’ultimazione dei lavori.
La proposta risulta compatibile con il sistema
normativo comunitario. Da un’analisi comparata
in materia di fiscalità immobiliare emerge
che la Francia, che ha un sistema impositivo
similare al nostro, ha appena modificato
il regime IVA delle cessioni immobiliari,
adottando la stessa soluzione da noi auspicata
da tempo per combattere la crisi del settore.
In sostanza si riconosce la neutralità dell’IVA,
che non deve incidere sui costi di costruzione.
Stesso discorso vale per l’attuazione dei
piani urbanistici.
In un momento congiunturale come quello attuale,
è infatti essenziale reintrodurre le agevolazioni
per i trasferimenti di immobili finalizzati
all’attuazione di tutti i programmi urbanistici
(imposta di registro all’1% ed imposte ipotecarie
e catastali in misura fissa), superando le
attuali limitazioni di ambiti applicativi
e subordinando l’applicazione dei benefici
alla realizzazione degli interventi edilizi
entro i successivi 10 anni (periodo che,
tra l’altro, costituisce il termine ordinario
di attuazione dei programmi urbanistici).
IL PIANO CASA 1 PER L’HOUSING SOCIALE
Annunciato nel giugno del 2008 solo in questi
giorni, con un ritardo superiore ad un anno
sui tempi preventivati, potrebbe decollare
una fase preoperativa del Piano Casa 1. Infatti
solo in questi ultimi giorni è stato pubblicato
il decreto 8 marzo 2010 che ripartisce le
risorse tra le regioni e da allora inizieranno
a decorrere i 180 gg per la presentazione
delle proposte di intervento.
È essenziale che Regioni ed enti locali rispettino
tale scadenza definendo sollecitamente un
quadro di regole che consentano di attivare
proposte in grado di
avviare un’azione di riqualificazione urbana
che ha come centralità l’abitare sostenibile,
coinvolgendo anche l'imprenditoria privata.
Nello stesso tempo il Ministero delle infrastrutture
deve impegnarsi per definire con altrettanta
celerità le procedure per l’attivazione delle
proposte tramite gli accordi di programma
in una logica di snellimento procedurale
ed evitando inutili appesantimenti amministrativi.
PIANO CASA 2 E SNELLIMENTI PROCEDURALI
Il piano casa 2, sul quale erano state riposte
molte aspettative per la ripresa del settore,
non riesce a decollare.
E’ necessario quindi dare concretezza a quegli
snellimenti procedurali che dovevano trovare
spazio in un decreto legge, promesso dal
Governo più di un anno fa, in occasione dell'Accordo
sul Piano Casa 2, del quale si sono perse
le tracce, nonché ai programmi di riqualificazione
urbana.
GARANTIRE LA REGOLARITÀ DEL MERCATO DEL LAVORO
Occorre l’impegno di tutte le parti sociali
e degli organi istituzionali per garantire
la presenza sul mercato di imprese regolari
in materia retributiva e contributiva.
La necessità di attuare un sistema di semplificazione
amministrativa non può non tenere conto della
correttezza e della regolarità degli operatori
del sistema.
Si ritiene, pertanto, prioritario mantenere
il Durc nei lavori privati quale documento
da presentare ai comuni da parte dei committenti
prima di effettuare i lavori.
Il Durc, sia nei lavori pubblici, sia in
quelli privati, dovrà tenere anche conto
della congruità del costo del lavoro rispetto
al valore dell’opera.
Occorre, inoltre, individuare i criteri di
accesso all’attività di imprenditore edile,
nonché quelli di qualificazione, connessi
anche agli aspetti relativi alla sicurezza
dei lavoratori.
Si ritiene, infine, necessario parificare
le aliquote contributive previste per il
lavoro autonomo e subordinato, al fine di
pervenire alla omogeneità dei relativi costi.
AMPLIARE GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI IN EDILIZIA
E' fondamentale ampliare lo strumento della
Cassa integrazione guadagni ordinaria in
edilizia prevedendo l'equiparazione delle
modalità del trattamento a quello dell'industria
in senso stretto, che consente la sospensione
totale dell'attività lavorativa fino ad un
massimo di 12 mesi.
L'ampliamento si rende necessario non solo
per fronteggiare la crisi senza ricorrere
ai licenziamenti, ma anche in quanto la gestione
edilizia della Cigo presso l’Inps, secondo
gli ultimi dati in possesso delle parti sociali,
presenta un avanzo patrimoniale in ordine
di grandezza pari a circa 2.000 milioni di
euro, somme che provengono interamente dal
settore e che sono diretta conseguenza di
un’aliquota contributiva troppo alta.
Quindi, dovrebbe essere disposta anche la
riduzione dell’apposito contributo Cigo per
gli operai, dovuto dalle imprese edili in
misura maggiore sebbene le prestazioni siano
inferiori rispetto all'industria, diminuendo
l’attuale misura del 5,20% fino a quella
in atto per gli altri settori manifatturieri
(1,90% ¬2,20%).
Ciò consentirebbe, altresì, di destinare
parte del risparmio così ottenuto dalle imprese
alle attività di formazione o riqualificazione
professionale dei lavoratori che fruiscono
degli ammortizzatori sociali, utilizzando
il sistema degli enti bilaterali presenti
in edilizia.
Occorre, poi, innalzare il limite massimo
della disoccupazione speciale edile parificandolo
a quello del settore manifatturiero.
fonte : CNA Cremona
 
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