15 Settembre, 2002
Don Lorenzo Milani La coscienza prima delle Patrie ( di Marco Pezzoni)
Il 26 giugno 1967 moriva a Firenze don Lorenzo Milani, il creatore della scuola di Barbiana.
Don Lorenzo Milani La coscienza prima delle
Patrie ( di Marco Pezzoni)
Il 26 giugno 1967 moriva a Firenze don Lorenzo
Milani, il creatore della scuola di Barbiana.
Aveva 44 anni. Le aperture del Concilio Vaticano
II e il movimento del 68’ fecero diventare
immediatamente “grande” il suo nome.
Secondo alcune indagini, tra i giovani del
movimento studentesco don Milani e Marcuse
erano i più citati, i più conosciuti, forse
i più letti. Nel laicato cattolico le speranze
di “fare nuove tutte le cose” avevano bisogno
di un pensiero radicalmente altro, di “figure
profetiche” incarnate nelle durezze e nelle
ingiustizie della storia.
La testimonianza di don Milani, con il suo
tentativo pedagogico di riscattare quei ragazzi
destinati altrimenti alla subalternità sociale
e culturale, incarnava bene quel grumo di
attese e di utopie, anche se molti allora
non si resero del tutto conto che quel “compagno
di strada” era già andato oltre gli obiettivi
politici del tempo.
Don Milani era completamente dentro i problemi
del suo tempo, se ne faceva carico con una
radicalità evangelica e una testardaggine
che lo cacciavano spesso nei guai, come ha
sostenuto il suo vecchio confessore spirituale,
ma con uno sguardo talmente lungo, limpido
e profondo che rende il suo pensiero più
vivo e attuale che mai.
Andrebbero rilette non solo le straordinarie
pagine di “Lettera a una professoressa” ma
i testi contenuti ne “ L’obbedienza non è
più una virtù” con le lucide motivazioni
del suo schierarsi per una patria europea
e universale, per la convivenza di popoli,
culture e religioni diverse, per il pacifismo,
per l’obiezione di coscienza; con la sua
critica alla storia scritta dai vincitori,
al militarismo e all’assolutizzazione delle
Patrie: prese di posizioni pubbliche che
lo portarono nel 1965 sotto processo dopo
una denuncia per apologia di reato.
Oggi che l’Italia è ferita, come scrive nel
suo recente libro un grande giornalista e
intellettuale cremonese, Corrado Stajano;
oggi che l’Italia è senz’anima come scrive
dell’intera politica e dell’intera società
italiana Massimo Fini; oggi che ci apprestiamo
a celebrare stancamente il 150° anniversario
dell’Unità d’Italia dentro un “quadrilatero
di pensiero” modesto e deprimente, avremmo
tutti bisogno di andare alla scuola del priore
di Barbiana.
Come è possibile parlare seriamente di Padania
o di Patria italiana, lasciando la questione
nelle mani di Umberto Bossi e di Gianfranco
Fini ? Come è possibile che il federalismo
in Italia sia solo quello “fiscale”, mentre
si schiacciano le autonomie locali e si scarica
la crisi economica sulle Regioni e sui cittadini
più deboli ? Come è possibile che negli altri
due lati del quadrilatero ci sia un Presidente
del Consiglio che attenta quotidianamente
alla Costituzione e un Presidente della Repubblica
permanentemente costretto sulla difensiva
?
Responsabilità della attuale classe politica,
certo, ma anche dell’intera società civile
italiana ripiegata su egoismi, conformismi,
in una preoccupante “fuga dalla libertà”
come scriveva Erich Fromm, per me già allora
molto più importante di Marcuse.
Don Lorenzo Milani diceva che ai suoi studenti
faceva “vivere le parole come persone che
hanno una nascita, uno sviluppo, un trasformarsi,
un deformarsi “.
Ecco che parole importanti come Costituzione,
democrazia, federalismo sono oggi nel nostra
Paese trasformate e deformate addirittura
nel loro contrario: il federalismo come anticamera
della secessione o giustificazione del separatismo,
la democrazia come populismo che annulla
lo Stato di diritto, la Costituzione come
camicia di forza delle libertà del mercato
e come illegittimo impedimento all’ ”unità
mistica” tra capo e popolo sovrano.
In questa crescente disunione e disarticolazione
del nostro Paese, non basta il patriottismo
democratico di Giorgio Napolitano, il patriottismo
repubblicano di Carlo Azeglio Ciampi né il
patriottismo costituzionale di Oscar Luigi
Scalfaro : pilastri fondamentali e indispensabili
sia chiaro, ma non sufficienti per affrontare
il degrado attuale e riorientare il destino
dell’Italia.
Sul giornale della Lega Nord appaiono spesso
articoli che mirano a costruire un consenso
attorno alle Piccole Patrie sia perché sarebbero
uno scudo protettivo ( in realtà illusorio)
contro immigrazione e globalizzazione, sia
perché avrebbero radici storiche antiche.
E’ il caso del lombardo-veneto che apparteneva
all’impero austro-ungarico e che, scrive
il giornale La Padania, ha dato la maggioranza
relativa delle Divisioni che si batterono
contro le truppe piemontesi durante le battaglie
più cruente del Risorgimento. Quei soldati
e quei morti lombardi e veneti – questa è
la tesi sostenuta-apparterrebbero alla memoria
del popolo leghista molto più che i Piemontesi
invasori. Critica simile, ma vista dal Sud
dell’Italia, è quella di Pino Aprile nel
suo libro dal titolo provocatorio “Terroni”
dove la conquista dell’Italia meridionale
da parte dei Piemontesi è paragonata ai massacri
compiuti dalle SS tedesche nella seconda
Guerra Mondiale.
Fatti veri, per carità, che meritano una
revisione storica ancora più seria e approfondita.
Ma l’obiettivo non può essere quello di riaprire
ferite, alimentare rancori, tifoserie localistiche,
rivendicazioni del passato per inventarsi
identità improbabili, contrapponendo parti
del Paese. Non può essere quello di imprigionarci
in Piccole Patrie, visto che quella vera
ci delude.
Quella vera va amata, riformata, resa più
giusta e aperta, insomma relativizzata ed
europeizzata.
Don Lorenzo Milani nella “Lettera ai cappellani
militari “denuncia con forza l’arruolamento
di giovani contadini e analfabeti in eserciti
e al servizio di Patrie che li hanno usati
come carne da macello, in guerre di aggressione
o in inutili stragi.
Scrive: ” 1860. Un esercito di napoletani,
imbottiti dell’idea di Patria, tentò di buttare
a mare un pugno di briganti che assaliva
la sua Patria. Fra quei briganti c’erano
diversi ufficiali napoletani disertori della
loro Patria. Per l’appunto furono i briganti
a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche
piazza d’Italia un monumento come eroe della
Patria”.
E ancora “ Battisti era un Patriota o un
disertore ?”
Con eccessivo ottimismo don Milani continua
“ I nostri figli rideranno del vostro concetto
di Patria, così come tutti ridiamo della
Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno
dell’Europa. Le divise dei soldati e dei
cappellani militari le vedranno solo nei
musei.”
Il fatto è che i soldati “ l’obiezione in
questi 100 anni l’han conosciuta troppo poco.
L’obbedienza, per disgrazia loro e del mondo,
l’han conosciuta anche troppo.”
“ Era nel ’22 che bisognava difendere la
Patria aggredita. Ma l’esercito non la difese.
Stette ad aspettare gli ordini che non vennero.
Se i suoi preti l’avessero educato a guidarsi
con la Coscienza invece che con l’Obbedienza
“ cieca, pronta, assoluta” quanti mali sarebbero
stati evitati alla Patria e al mondo: 50
milioni di morti. Così la Patria andò in
mano a un pugno di criminali che violò ogni
legge umana e divina e riempiendosi la bocca
della parola Patria, condusse la Patria allo
sfacelo”.
“Quando si battono bianchi e neri, siete
coi bianchi? Non vi basta di imporci la Patria
Italia? Volete anche imporci la Patria Razza
Bianca?”
“ Se voi però avete diritto di dividere il
mondo in italiani e stranieri allora vi dirò
che, nel vostro senso, io non ho Patria e
reclamo il diritto di dividere il mondo in
oppressi e diseredati da un lato, privilegiati
e oppressori dall’altro. Gli uni sono la
mia Patria, gli altri i miei stranieri. E
se voi avete il diritto, senza essere richiamati
dalla Curia, di insegnare che italiani e
stranieri possono lecitamente, anzi eroicamente
squartarsi a vicenda, allora io reclamo il
diritto di dire che anche i poveri possono
e debbono combattere i ricchi. E almeno nella
scelta dei mezzi sono migliore di voi: le
armi che voi approvate sono orribili macchine
per uccidere, mutilare, distruggere, far
orfani e vedove. Le uniche armi che approvo
io sono nobili e incruente: lo sciopero e
il voto.”
Nonviolenza, giustizia sociale, pacifismo,
democrazia, federalismo, diritti umani e
cosmopolitismo sono tuttora sfide aperte
che richiedono il primato della coscienza
sulle appartenenze e la centralità della
persona umana sulle convenienze. La nuova
Italia, il futuro dell’Italia si può costruire
solo ripartendo da quest’ etica della responsabilità
e della solidarietà.
Diceva don Milani : “ Il problema degli altri
è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica,
sortirne da soli è l’avarizia.”
Marco Pezzoni, Movimento Federalista Europeo
 
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