15 Settembre, 2002
Gli affari della Fondazione sono affari di tutti ( di Antonino Rizzo)
La pigra e calda estate dei cremonesi è stata, quest'anno, scossa dalle polemiche sulle scelte della Fondazione “Città di Cremona”.
Gli affari della Fondazione sono affari di
tutti ( di Antonino Rizzo)
La pigra e calda estate dei cremonesi è stata,
quest'anno, scossa dalle polemiche sulle
scelte della Fondazione “Città di Cremona”.
Non è mio intendimento parlare dei rapporti
fra Fondazione e Comune (è argomento politico
in cui non voglio entrare e che non mi interessa)
e neppure trattare nel merito dell'investimento
che la Fondazione si ripromette di fare con
l'acquisto dello storico Palazzo Fodri e
degli edifici circostanti (si tratta di argomento
prettamente economico-finanziario, per approfondire
il quale non ho alcuna particolare competenza).
Mi limiterò, quindi, ad alcune considerazioni
di carattere giuridico, che pure hanno una
loro rilevanza.
La Fondazione “Città di Cremona” è sì una
persona giuridica di diritto privato, ma
non è certo una fondazione qualsiasi. In
essa è confluito il patrimonio degli antichissimi
“luoghi pii”, che, alla fine dell'ottocento,
con la laicizzazione della beneficenza furono
trasformati dalla legge “Crispi” (Legge 17
luglio 1890, n. 6972) nelle “istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza”, più
note come II.PP.A.B.
La legge “Crispi” affidò alle II.PP.A.B.
l'amministrazione dei lasciti che, nel corso
dei secoli, il buon cuore di tanti benefattori
aveva devoluto ai poveri, ponendo due fondamentali
vincoli: in primo luogo tutti i patrimoni
ed i redditi delle II.PP.A.B. erano vincolati
ai poveri, così come voluto dai benefattori;
secondariamente veniva fatto divieto di utilizzare
l'alienazione del patrimonio per coprire
le spese di gestione.
In questo modo, il colossale patrimonio della
II.PP.A.B. (valutato nel 2000 in oltre 100.000
miliardi di lire) è stato salvaguardato per
oltre un secolo.
La Legge 8 novembre 2000 n. 328 (legge quadro
sui servizi sociali) ed il successivo D.
Lgs. 4 maggio 2001 n. 207 hanno profondamente
innovato il sistema. Le istituzioni che svolgevano
direttamente attività di erogazione di servizi
assistenziali erano tenute a trasformarsi
in “aziende pubbliche di servizi alla persona”
(articolo 5 del decreto legislativo).
Di contro, secondo l'articolo 16, le istituzioni
per le quali non sussistevano le condizioni
per la trasformazione in aziende pubbliche,
dovevano trasformarsi in persone giuridiche
di diritto privato, associazioni o fondazioni,
nel rispetto delle originarie finalità statutarie.
Nell'ambito della Regione Lombardia, tali
modalità di trasformazione sono state disciplinate
dalla L.R. 13 febbraio 2003, n. 1.
La Fondazione “Città di Cremona” fu, quindi,
istituita il 23 dicembre 2003 a seguito della
trasformazione e fusione di quattro istituzioni
cremonesi (fra cui l'Istituto elemosiniere
ed il Centro geriatrico cremonese).
Secondo l'articolo 16 del codice civile,
la Fondazione ha un proprio Statuto (liberamente
consultabile sul sito internet della Fondazione
stessa).
La Fondazione è titolare di un ingente patrimonio,
la cui gestione è vincolata al perseguimento
dei fini (che rimangono di natura socio-assistenziale)
della Fondazione stessa.
La dismissione di uno o più beni costituenti
il patrimonio della fondazione
obbliga l'ente al reinvestimento dei proventi
nell'acquisto di altri beni “più funzionali
al raggiungimento delle medesime finalità”.
E' noto come la Fondazione abbia recentemente
alienato un fondo rustico
di ingente valore. Ha, quindi, l'obbligo
statutario di reinvestire i proventi di tale
dismissione.
Il prospettato acquisto di Palazzo Fodri
non è quindi determinato da una scelta speculativa,
come, da parte di taluni, incautamente, è
stato detto, ma costituirebbe un modo
per adempiere a tale obbligo statutario.
Secondo l'articolo 5 del proprio Statuto,
la Fondazione “Città di Cremona” può costituire
società di capitali o partecipare alle stesse,
a condizione “che svolgano in via strumentale
attività diretta al perseguimento degli scopi
statutari”.
Ciò è conforme all'orientamento giurisprudenziale
per cui solo lo Statuto
può porre limiti alla costituzione di società
da parte di una fondazione:
“In assenza di specifici divieti dell'atto
costitutivo o dello statuto, è legittima
la costituzione da parte di una fondazione
di una società a responsabilità limitata”
(Tribunale Napoli, 14 gennaio
1994).
Ciononostante, l'orientamento della Fondazione
di costituire una società a responsabilità
limitata allo scopo di acquisire e poi gestire
il complesso di Palazzo Fodri, suscita perplessità.
Mentre, infatti, in caso di insolvenza, la
società a responsabilità limitata sarebbe
comunque destinata al fallimento, in quanto
imprenditore commerciale, non altrettanto
potrebbe
dirsi di una fondazione che sarebbe soggetta
al fallimento solo se esercitasse “professionalmente
un'attività economica organizzata che, per
le modalità con cui viene svolta, le dimensioni
che raggiunge e i risultati cui perviene,
non appare più strumentale
al perseguimento dei fini dell'ente, divenendo
assorbente e predominante rispetto agli stessi”
(Tribunale Milano, 16 luglio 1998).
Il che non sarebbe certamente il caso della
Fondazione “Città di Cremona”, in cui resterebbe
prevalente l'attività di tipo socio-assistenziale.
Non si coglie, quindi, il senso dell'interposizione,
fra la Fondazione “Città di Cremona” e la
proprietà dell'immobile (e di altri eventuali
immobili da acquistare in futuro) di una
società a responsabilità limitata.
A meno che non si voglia, con un siffatto
artificio, evitare che il Pubblico Ministero
possa esercitare l'azione di annullamento
delle deliberazioni della Fondazione, ai
sensi
dell'articolo 23 del codice civile (mentre
in una società a responsabilità limitata
le deliberazioni sarebbero impugnabili solo
dai soci, dagli amministratori e dal Collegio
sindacale).
L'effetto maggiormente distorsivo, tuttavia,
si avrebbe nell'ipotesi di una eventuale,
futura alienazione del patrimonio immobiliare
della società. La Fondazione, infatti, ha
l'obbligo di inviare gli atti relativi alla
dismissione alla Regione, che può a sua volta
segnalare al Pubblico Ministero l'opportunità
di esercitare l'azione di cui all'articolo
23 del codice
civile (articolo 18 del D. Lgs. 4 maggio
2001, n. 207).Tale obbligo, invece, non farebbe
capo alla società a responsabilità limitata,
partecipata dalla Fondazione, che diverrebbe
proprietaria degli immobili.
Ma vi è di più: l'obbligo, per la Fondazione,
di notiziare la Regione in ordine alle alienazioni
immobiliari non riguarderebbe l'alienazione
delle quote della società. La Fondazione
potrebbe quindi, attraverso lo strumento
dell'alienazione delle quote della società,
alienare gli immobili,
precedentemente conferiti alla società, eludendo
qualsiasi controllo da parte della Regione.
Lungi da me il pensare che questo sia l'intendimento
degli attuali amministratori della Fondazione.
Ma, come l'esperienza insegna, la prudenza
non è mai troppa quando si crea un assetto
istituzionale destinato a durare nel tempo.
Non è certo, questa, questione dipoco conto,
dato che la Fondazione, ur se soggetto giuridico
di diritto
privato, è titolare di un patrimonio i origine
pubblicistica che, nell'interessedi tutti,
deve essere preservatoed incrementato.
Antonino Rizzo
www.welfarecremona.it ringrazia l’Avvocato
Antonino Rizzo per averci concesso
la ripresa del suo articolo già pubblicato
sul giornale “ La Cronaca il 6 settembre
2010”
 
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