15 Settembre, 2002
Il futuro della Tamoil dipende da nuove politiche industriali ( di Marco Pezzoni)
La Tamoil è una questione nazionale ed è indispensabile, dunque, un tavolo nazionale
Il futuro della Tamoil dipende da nuove politiche
industriali ( di Marco Pezzoni)
La Tamoil è una questione nazionale ed è
indispensabile, dunque, un tavolo nazionale
come ha opportunamente proposto l’unità di
crisi riunitasi nei giorni scorsi.
Qualcuno punta ad un atto di benevolenza
dei libici, si appella all’amicizia tra Berlusconi
e Gheddafi. Ma questo porterebbe solo a soluzioni
temporanee, poco trasparenti e illusorie.
Ma l’intuizione di inserire la crisi Tamoil
e soprattutto il futuro occupazionale di
centinaia di lavoratori dentro il quadro
dei rapporti bilaterali tra Italia e Libia
non solo è corretta ma è la via più efficace
per reperire quelle notevoli risorse finanziarie
per il risanamento dell’area e per un progetto
innovativo di green industry.
Toccherà alle responsabilità imprenditoriali
chiamate in causa e ai sindacati definire
meglio un progetto che non sia l’agonia dell’esistente.
Ma questa volta se si guarda al contesto
geopolitico più vasto, ai rapporti Italia
e Libia non solo in materia energetica, devo
dire che la politica italiana ha tutte le
carte per proporre una soluzione avanzata
alla crisi Tamoil, senza genuflettersi di
fronte a Gheddafi, ma anzi indicando nella
riconversione del progetto industriale a
economia verde la soluzione più onorevole
per entrambi i Paesi, come modello di future
collaborazione.
Cominciamo col dire che al tavolo nazionale
deve essere invitato a partecipare il livello
di potere più alto che guida l’intero gruppo
Tamoil, che è il vero decisore del futuro
dell’azienda. Se al tavolo siede solo la
dirigenza manageriale e amministrativa le
prospettive verranno discusse sul terreno
delle convenienze economico-finanaziarie
in senso stretto, isolando la questione raffineria
dal contesto e, magari, riuscendo a dimostrare
che non è più indispensabile nelle trasformazioni
di mercato in atto. La qualità del tavolo
nazionale deve essere poi rafforzata dal
peso che possono assumere nel contribuire
a costruire una soluzione nuova, direttamente
o indirettamente, ENI ed ENEL.
ENI, partecipata al 31% dallo Stato italiano,
è ormai un colosso mondiale. Prima impresa
in Italia davanti alla Fiat, quinta tra le
grandi imprese petrolifere mondiali, 38°
nel mondo. E soprattutto prima estrattrice
di petrolio in Libia e proprietaria del più
lungo gasdotto sottomarino del Mediterraneo:
il greenstream di 520 chilometri che collega
Mellitah a Gela, in Sicilia.
In forza del Trattato di amicizia firmato
due anni fa a Bengasi tra Italia e Libia
per le nostre responsabilità passate di invasori
e colonizzatori, l’Italia si è impegnata
a versare in 25 anni 5 miliardi di euro,
mentre l’ENI ha ottenuto la proroga di sfruttamento
dei giacimenti già aperti e il diritto di
cercarne di nuovi. Ma il dato più rilevante
è un altro: l’ ENI ha deciso di investire
in Libia l’enorme cifra di 20 miliardi di
dollari nei prossimi 10 anni, quasi 30.000
miliardi di vecchie lire. Una scelta strategicamente
vincente per l’approvvigionamento di nuove
fonti di petrolio e gas, che sottolinea però
la fortissima interdipendenza tra l’economia
libica e quella italiana.
Ho detto intreccio economico e non solo energetico,
perché la Libia è da tempo presente in Italia
con quote crescenti in imprese e Banche importanti.
Solo in Fiat i libici sono passati dal 15%
di azioni del 1977 al 2%. Ma sono entrati
in Capitalia al punto che Cesare Geronzi
li ha definiti “ gli azionisti migliori che
abbia mai avuto” e lo hanno poi seguito ad
Unicredit, dove hanno raggiunto la quota
del 7%, causa non ultima del siluramento
di Profumo.
La Lafico, la Compagnia di investimenti all’estero
della Libia, ha azioni della Juventus e il
21% del gruppo tessile Olcese. Ha anche con
Lafitrade quote nella società “ quinta Communication”
del finanziere tunisino Tarek ben Ammar:
nella stessa società c’è una quota di Trefinance
della Finivest.
Dal 2009 la Libia ha siglato accordi con
Finmeccanica nel settore areospaziale, energia,trasporti.
L’ambasciatore libico in Italia Hafed Gaddur
ha annunciato l’interesse della Libia di
passare dal 1,5% di azioni in Eni al 10%
e una nota di Palazzo Chigi ha confermato
questa possibilità, (anche se l’attuale Statuto
dell’ENI vieterebbe ai singoli azionisti
di superare la quota del 3%, tranne che per
lo Stato italiano, ovviamente).
Ma la cosa più sintomatica dell’enorme liquidità
libica disponibile sul mercato ( gli analisti
finanziari internazionali la valutano in
150 miliardi di dollari in valuta estera)
sono le dichiarazioni rilasciate dagli esponenti
incaricati da Gheddafi di trattare con i
vertici di Mediobanca: si sono dichiarati
disponibili a versare 500 milioni di dollari
a imprese italiane in difficoltà!!
Ma veniamo alla proprietà Tamoil che da due
anni è passata alla famiglia Gheddafi, dopo
un “mancato” tentativo di venderla a imprenditori
statunitensi. Episodio poco noto, ma vero,
che forse dimostra come la dirigenza libica
abbia cercato un “ponte” diplomatico con
gli Stati Uniti dopo gli anni dell’embargo
o, forse, più realisticamente come siano
in corso passaggi di potere che nascondono/rivelano
le trattative interne al regime libico per
la successione di Gheddafi.
Fatto sta che il vero dominus della Tamoil
in Europa è Saif Al- Islam Gheddafi, il figlio
erede del leader, quello più aperto all’Occidente
e meno insensibile ai diritti umani. Sia
che riesca a diventare davvero il successore
del padre ( non fanno parte infatti del gruppo
etnico maggioritario), sia che venga estromesso
e gratificato con l’enorme ricchezza accumulata
all’estero, Saif ricerca e ha bisogno comunque
di un legame sempre più stretto con l’Italia.
Il padre ha nella banche italiane azioni
intestate a suo nome per un valore di 1.900
milioni di euro.
La holding italiana Tamoil fa parte del gruppo
Oilinvest, con sede in Olanda, ma 2.200 stazioni
di vendita del carburante sul totale di circa
3.000 sono in Italia. I porti di arrivo delle
navi cisterne libiche sono in Italia, Genova
prima di tutto. Gli oleodotti e i depositi
intermedi utilizzati ( come quello di Ferrera)
sono di proprietà dell’ENI. Il greggio viene
miscelato e circola secondo i criteri della
Legge italiana ed europea e secondo il sistema
ENI.
Con oltre 6 miliardi di euro di fatturato,
la Tamoil risente certo della congiuntura
sfavorevole ma ha le risorse interne e le
alleanze economiche e quelle finanziarie
per riprogettare complessivamente il suo
futuro, a partire dalla Tamoil di Cremona.
Altra cosa è se le si permette di smantellare
pezzo per pezzo la sua presenza industriale
e, anzi, la si incentiva a passare ad altre
operazioni di tipo finanziario e speculativo.
Qui ha un ruolo la politica, il primato di
una reindustrializzazione manifatturiera
con tecnologie innovative e compatibili con
l’ambiente.
Non è corretto né giusto nasconderci dietro
la libertà del mercato, perché le grandi
scelte sono orientate dalla politica.
E’ per scelta politica del Governo italiano
che l’ENI ha rivenduto a Gazprom il 20% delle
azioni Gazprom Neft su richiesta di Putin.
E’ per scelta politica che l’ENI ha rinunciato
a importanti pozzi petroliferi in Iran. E’
per scelta politica che nella riunione ristretta
Gheddafi-Confindustria a Roma sono state
invitate Maire Tecnimont, Saipem, Impregilo
la quale, con Ponzellini già della Banca
Popolare di Milano, ha in vista la costruzione
della più lunga autostrada in Libia ( investimento
di 2,3 miliardi di euro) .
E’ per scelta politica che l’amministratore
delegato di ENEL Fulvio Conti è volato a
Tripoli per incontrare il Ministro della
Pianificazione Abduhafid Zlitni, capo della
Libyan Investment Authority, per concordare
investimenti libici nel capitale Enel e in
Enel green power: a quest’ultimo sono interessati
anche i cinesi.
Senza scordare che nelle cene estive con
Gheddafi l’ex Ministro Scajola aveva cercato
finanziamenti libici per la nuova avventura
delle centrali nucleari da costruire in Italia
con consorzi pilotati dall’ENEL.
Di fronte a questo quadro geopolitico, economico
e finanaziario emerge che il Tavolo nazionale
per la Tamoil ha tutti i margini per una
seria operazione di riqualificazione ambientale
e industriale. Green industry significa non
soltanto energie rinnovabili, ma riqualificazione
dell’area urbana e invenzione di un polo
di sviluppo innovativo. Il progetto spetta
agli attori economici e ai sindacati. Quello
che bisogna trovare è la volontà politica
di questo o del nuovo Governo. Non servono
favori ma il coraggio di una politica economica
e industriale che costruisca il futuro per
l’Italia, per rilanciarsi, per non cadere
pezzo dopo pezzo.
ENI , ENEL non possono investire solo all’estero
ed è bene che vengano coinvolti e responsabilizzati
in progetti di ricerca e sviluppo anche in
Italia, in sinergia con Tamoil. .
Questo governo o, meglio, il prossimo ha
sicuramente in mano le carte per incidere
e decidere . Basta allagare lo sguardo e
spingere la vista più in avanti, per non
tradire di nuovo le speranze dei lavoratori
della raffineria di Cremona.
Marco Pezzoni
 
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