15 Settembre, 2002
Convegno “Attualità della costituzione e diritti”Cremona – Sala Maffei giovedì 20 maggio 2004
Intervento di Franco Squerti, segretario provinciale dello Spi-Cgil di Cremona
Convegno “Attualità della costituzione e
diritti”
Cremona – Sala Maffei giovedì 20 maggio 2004
Intervento di Franco Squerti, segretario
provinciale dello Spi-Cgil di Cremona
La sussidiarietà orizzontale dal punto di
vista dei fondamenti costituzionali: cosa
confermare e cosa innovare nella visione
del sindacato
Il tema che, come Spi, ci sembra opportuno
mettere a fuoco è quello della sussidiarietà
orizzontale, secondo il dettato del nuovo
art. 118 della Costituzione, voluto dalla
maggioranza dell’Ulivo nel 2001: “Stato,
Regioni, Città metropolitane, Province e
Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa
dei cittadini, singoli e associati, per lo
svolgimento di attività di interesse generale,
sulla base del principio di sussidiarietà”.
Prima di entrare nel merito dell’argomento,
sono opportune alcune precisazioni.
In primo luogo, abbiamo fatto ricorso, com’è
ovvio, a contributi teorici di sicuro valore,
che abbiamo cercato di utilizzare nel modo
più serio e corretto a noi possibile.
In secondo luogo, abbiamo affrontato la problematica,
e i suoi aspetti innovativi, collegandola
ai capisaldi fondamentali della Costituzione,
cioè a quei valori fondativi che in ultima
analisi danno senso o che comunque dovrebbero
darlo visto le attuali modifiche costituzionali
proposte dall’attuale maggioranza, anche
all’introduzione di elementi nuovi.
Infine, abbiamo cercato di affrontare la
materia soprattutto secondo il punto di vista
delle funzioni sociali e delle strategie
del sindacato, cercando anche di portare
qualche motivo di riflessione e, certo, di
autocritica, sul nostro tipo di approccio
a queste grandi tematiche. A questo proposito,
occorre ammettere che nel sindacato – e in
molti ambiti della sinistra – permangono
diffidenze sul principio della sussidiarietà
orizzontale. Diffidenze alimentate dalla
versione del neoliberismo della forze di
governo, per cui lo Stato dovrebbe intervenire
per i bisogni dei cittadini solo quando questi
non possono provvedere autonomamente o trovare
sul mercato quanto necessario. Ma, non essendo
l’idea di Stato minimo ammessa dalla nostra
Costituzione, pare difficile invocare il
principio di sussidiarietà per esaltare l’individualismo
di mercato e relegare il Welfare dentro una
dimensione residuale e compassionevole.
Ma le diffidenze dipendono anche dalla nostra
difficoltà, magari inconscia, ad accettare
che l’interesse generale non sia solo quello
determinato e agito dallo Stato e che quindi
si possa configurare una funzione pubblica
anche nell’agire dei cittadini, singoli o
associati.
Il principio di sussidiarietà, collocato
nella Costituzione e, su basi costituzionali,
in un processo di decentramento o, se si
preferisce, di regionalizzazione delle competenze
dello Stato, propone l’idea di una duplice
natura dell’assetto organizzativo dei poteri
pubblici: quello locale (fondato sulla rappresentatività
espressa attraverso i meccanismi della democrazia
elettorale) e quello sociale, fondato sulla
rappresentatività naturale dei cittadini
singoli e associati, quindi delle formazioni
sociali che strutturano e articolano la società.
La sussidiarietà orizzonte, in altri termini,
fonda una diversa forma di Stato che non
è più solo la risultante dell’insieme dei
diversi livelli di governo territoriali ma
l’insieme dei rapporti Stato-cittadini, singoli
e associati.
Che il cittadino – la persona – abbia in
linea di principio generale il primato sullo
Stato e i diritti dei cittadini sugli apparati
amministrativi, non è un principio nuovo,
dato che ispira profondamente i fondamenti
costituzionali. Lo Stato, che per sua natura
è chiamato a perseguire l’interesse generale,
nelle sue rappresentanze politiche democraticamente
elette e nelle sue strutture amministrative,
è in ultima analisi al servizio del cittadino.
La novità contenuta nell’art. 118 riguarda
non il fatto che dei cittadini privati, singoli
o associati, possono attivarsi nell’interesse
generale, ma che possono farlo autonomamente,
di propria iniziativa, senza aspettare che
la pubblica amministrazione li autorizzi
o gli chieda di farlo; e l’altra novità è
che se i cittadini si attivano in tal modo
le pubbliche amministrazioni devono sostenerli.
In altre parole, non sta all’autorità politico-amministrativa
giudicare, né autorizzare, tanto meno vietare:
essa, appunto, deve favorire.
Su questa materia, senza dubbio, molteplici
sono i problemi interpretativi e le valutazioni
critiche. Possiamo condensarli in due grandi
quesiti.
Come potranno gruppi di cittadini o addirittura
singole persone dimostrare che stanno agendo
nell’interesse generale? Come si valuta questo,
e chi lo valuta? Scollegato dal fondamento
maggioritario, che costituisce la legittimazione
delle rappresentanze politiche (gli eletti)
a operare in tal senso, l’ammissione di questo
potere della cittadinanza attiva rende necessario
riconoscere che minoranze, e perfino figure
isolate, possono individuare e integrare
l’interesse generale?
I pericoli, ci sono. Ad esempio, alcune componenti
cattoliche hanno cercato di superare il divieto
di oneri pubblici per le scuole private in
nome del principio di sussidiarietà. Ma l’ancoraggio
costituzionale del principio allo svolgimento
di attività di interesse generale esclude
che ne ricorrano i termini nel caso di percorsi
formativi strettamente confessionali (di
parte). Pertanto, chi chiede il sostegno
deve ragionevolmente condividere e dare garanzia
almeno rispetto ad alcuni principi di formazione
di base, ove sia ben chiaro il valore della
laicità e del pluralismo per la democrazia.
Con la medesima ottica, si sgombera il campo
dal “mercato”. Se l’amministrazione vuole
aprirsi al mercato, e in certi casi può essere
cosa opportuna, non attua l’articolo 118,
comma 4. Semplicemente fa un’altra cosa.
La differenza è che il 118 ultimo comma è
costituzionalmente doveroso, l’apertura al
mercato no. Dove c’è mercato c’è il privato-privato,
non la sussidiarietà orizzontale. C’è un
fenomeno forse diverso, ugualmente meritevole
d’attenzione, ma un fenomeno diverso.
C’è poi un’altra sostanziale chiave di lettura
e parametro regolatore: il principio per
cui i fini sono da ritenersi generali in
quanto già così qualificati da norme di legge…
Meglio ancora, da norme costituzionali, perché
anche le leggi sono passibili di revisione
costituzionale. Non è quindi accettabile
l’ipotesi che l’interesse generale possa
di volta in volta essere individuato da cittadini
che si attivano per realizzare il principio
di sussidiarietà orizzontale, perché le conseguenze
sarebbero gravi (potrebbero addirittura ledere
diritti di libertà e di democrazia). Le determinazioni
dei cittadini potrebbero infatti porsi, anche
nei confronti delle amministrazioni, su un
piano superiore rispetto alle leggi e perfino
alla stessa Costituzione.
In ultima analisi, la corrispondenza al bene
generale dovrà essere provata, e davanti
al giudice, se è il caso. E i magistrati
non potranno fare altro che riferirsi alla
Costituzione, alle convenzioni internazionali,
alle definizioni dei diritti fondamentali:
insomma, a quei beni e valori comuni, a quei
principi e a quelle garanzie che già sono
stati accolti dall’ordinamento
Non si presenta tuttavia il rischio di un
pericoloso ritrarsi dello Stato (inteso in
generale e nelle sue varie istituzioni di
livello territoriale)? Indebolendo le funzioni
dello Stato, anche quando sono sostituite
dall’azione magari generosa e positiva ma
sempre di per sé limitata e particolaristica
dei soggetti della società civile, non si
compromette la difesa dei diritti universali?
Non si mette a rischio l’esplicazione di
una delle finalità universali costituzionali,
la solidarietà, che deve il costituire il
legame basilare fra tutti i cittadini? Non
si giustifica inoltre un confuso moltiplicarsi,
disarticolarsi, sovrapporsi, contrapporsi
di poteri, di compiti, di responsabilità?
Il problema, tanto più se pensiamo alle modifiche
proposte dalla maggioranza governativa sul
tema della cosiddetta “devoluzione”, esiste,
e può anche assumere configurazioni molto
gravi.
Ma il nuovo articolo, se giustamente inteso
e applicato, non riduce i compiti pubblici,
anzi li estende, perché impegna le istituzioni
di ogni livello territoriale a favorire –
cioè a svolgere politiche di accoglienza
e di sostegno verso… – “la autonoma iniziativa
dei cittadini, singoli o associati, per lo
svolgimento di attività di interesse generale”.
La repubblica ha il compito primario di difendere
i diritti universali e farsi carico della
piena realizzazione di ciascuna persona umana,
e questo va nella direzione del bene comune
e lo presuppone. Finora si poteva ritenere
che solo i poteri pubblici potessero provvedere
in tale senso, direttamente o attraverso
l’azione di privati agenti nell’ambito di
un rapporto di strumentalità nei confronti
delle pubbliche amministrazioni; ora invece
i cittadini, singoli e associati, possono
assumere autonomamente l’onere di contribuire
al difficile compito di creare le condizioni
per la piena realizzazione di ciascuno e
del bene comune.
La sussidiarietà orizzontale è pertanto collocata
nel contesto del ripensamento dell’amministrazione
pubblica e cioè di un apparato che ha tra
le sue missioni essenziali l’effettività
dei diritti costituzionalmente garantiti.
Le applicazioni della sussidiarietà orizzontale
non possono che risolversi strutturalmente
e organizzativamente in formule di integrazione
dell’azione amministrativa degli enti pubblici
territoriali. La sussidiarietà orizzontale
non costituisce una fuga dall’amministrazione:
è proprio dall’interno e all’interno del
sistema che, invece, può esplicare i suoi
effetti più produttivi e agire come criterio
interno di ripensamento di fini e modalità
dell’azione e organizzazione amministrativa.
La sussidiarietà costituisce il punto di
equilibrio tra due obblighi fondamentali:
tra l‘obbligo statale di intervenire a garantire
l’uguaglianza sostanziale e i diritti dei
cittadini, e l’obbligo statale di rispettare
la libertà singola e associata di contribuire
al progresso civile e sociale.
La sussidiarietà così intesa, in sostanza,
non delimita il campo privato rispetto a
quello pubblico (tanto meno nella logica
di mercato), ma indica la dinamica di un
processo interiore.
Non è un rapporto tra soggetti in competizione,
per cui l’intervento dell’uno esclude quello
dell’altro (in particolare, l’intervento
del privato rende superfluo l’intervento
del pubblico). Se ci si lascia guidare dal
criterio dell’adeguatezza all’esercizio di
funzioni, si sdrammatizza la carica ideologica
e potenzialmente distruttiva della sussidiarietà
orizzontale Il principio di sussidiarietà
è un principio eminentemente relazionale,
in quanto disciplina i rapporti fra soggetti
tutti dotati di autonomia: i cittadini, singoli
o associati; le pubbliche amministrazioni;
i vertici politici delle amministrazioni.
Pur essendo un sistema reticolare, non ammette
confusione di ruolo, in quanto ognuno dei
soggetti coinvolti mantiene la sua autonomia
e identità (senza la diversità, non ci sarebbe
vera rete).
Forse non è azzardato considerare la revisione
del Titolo V della Costituzione come una
“costituzionalizzazione” delle linee guida
della L. 328 di riforma dei servizi e degli
interventi sociali e assistenziali. In entrambi
i casi. viene configurata una sistemazione
ripartita delle competenze di stato. regioni
e enti minori, confermando in pieno la responsabilità
statale per predisporre una cornice generale
di principi, regole, integrazione standard
di intervento, così come la responsabilità
statale per assicurare l’effettività di livelli
di prestazione. Allo Stato, e senza possibilità
di dubbio, è affidata la sfera dei poteri
– irrinunciabili e non eludibili - di integrazione
a sistema delle decisioni e delle politiche
che riguardano garanzia eguale dei diritti
sociali e l’eguale tutela del lavoro. Al
di là di come questo compito viene assolto
da chi governa, dobbiamo giudicare questo
percorso storico come un avanzamento della
piena esigibilità dei diritti civili e sociali.
L’interesse generale è il ponte che unisce
gli attori pubblici e privati: in un caso
tale interesse è perseguito direttamente
dai pubblici poteri, in un altro dai cittadini
ma sostenuti dai soggetti pubblici, in un
senso “sussidiario” nel senso più letterale
del termine, in quanto è un rapporto di reciproca
collaborazione e aiuto per il raggiungimento
di un obiettivo comune.
I nuovi assestamenti non sono certamente
facili. In tale nuovo sistema, la politica
agita direttamente dai cittadini e la politica
delegata a governanti eletti devono evidentemente
trovare equilibri per ora impensati. Occorre
che si realizzi una necessaria integrazione
delle iniziative di ogni tipo, un loro reciproco
aiutarsi. E’ veramente l’idea di una relazione
pubblico-privato virtuosa che si fa strada,
che evoca partecipazioni larghe al potere
e alla costruzione progettuale e operativa
delle risposte alle necessità sociali.
Il nuovo paradigma costituzionale potrà e
dovrà avere una grande forza propulsiva nel
ridefinire lo stesso potere pubblico, politico
e amministrativo.
Tale paradigma vincola l’arbitrio politico
più che in passato.
Come per i cittadini, anche per i pubblici
poteri la corrispondenza all’interesse comune
non potrà essere solo presunta. Ciò non potrà
non avere una ricaduta sulle decisioni delle
rappresentanze, che dovranno essere ancor
più di prima correlate alla legalità costituzionale.
Infatti, se all’autorità politico-amministrativa
non basterà più enunciare la propria interpretazione
dell’interesse generale, e non potrà essa
più pretendere che il comune cittadino immediatamente
si conformi a quell’interpretazione, vuol
dire che la politica tutta e l’agire amministrativo
dovranno, come mai finora, esibire i propri
titoli di legittimità costituzionale sostanziale.
Non si tratta più di asserire la sufficienza
della detenzione del potere di maggioranza
politica, per pretendere rispetto e obbedienza.
Si tratta di verificare se certe determinazioni
- anzi, tutte le determinazioni – della maggioranza
governativa sono, non in via presuntiva,
ma in concreto, legittime costituzionalmente
(è bene ricordare che a forma della legge
ordinaria, di per sé, non assicura questo:
e infatti le leggi sono passibili di illegittimità
costituzionale).
Ora che il sistema maggioritario – e l’interpretazione
rozza e talvolta eversiva che ne fa la coalizione
di centro-destra – mostra in modo ostentato
il rischio di corrispondenza delle leggi
soltanto a interessi di parte, il nuovo paradigma
del costituzionalismo, in armonia con la
fondamentale ispirazione della Costituzione,
offre una trincea più avanzata, da cui lottare
per la democrazia. Tutti, anche le leggi
di maggioranza, devono dimostrare di corrispondere
a interessi generali. La dottrina politica
della Casa della Libertà, che una vittoria
elettorale consente ai vincitori di prendere
qualunque decisione (e che le opposizioni
debbano stare impotenti a guardare), può
e deve essere sconfitta, a partire, anche
se non solo, da questi avanzamenti costituzionali.
Si può dire che siamo a uno sviluppo fecondo
del dettame costituzionale: dalla presunzione
di corrispondenza a interessi generali, posta
a tutela della politica delegata, siamo passati
a un regime della verifica possibile e anzi
necessaria di tale corrispondenza.
Se rettamente percorsa, è questa la strada
per un più forte, diffuso controllo di legittimità
costituzionale delle decisioni e le norme
della sfera pubblica. Si è messa in moto
nei fatti una spinta a realizzare un più
avanzato paradigma: il bene comune, cioè
i diritti e le garanzie fondamentali dei
cittadini, deve fare da guida sia alla decisionalità
politica e sociale, sia alla direzione di
marcia degli stessi sviluppi costituzionali.
N.B. – Paradigma = schema fisso
 
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