Ora che la nostra attenzione è catturata da notizie di orrori inenarrabili
provenienti da ogni angolo della terra sconquassata dalla guerra, la
collocazione di una lapide in memoria - e in onore - del tenente Francesco
Vitali il quale il 9 settembre 1943 trovò la morte nella difesa della città
contro l’occupante esercito tedesco, rischia di non avere molta presa nell’opinione
pubblica e restare un rituale per chi è direttamente coinvolto nell’avvenimento.
Non sarebbe giusto, però.
Una città conserva la propria memoria in molti modi. Per Italo Calvino “la
città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto
negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre…” A volte gli
abitanti delle città decidono di fissare, incidere e murare - a mo’ di
promemoria perenne - tracce di storia, figure, date, luoghi. E siccome la
decisione è frutto di scelte, finiscono di raccontare ai posteri qualcosa anche
su se stessi.
Seduta della Giunta Municipale, 24 maggio 2004. Si delibera per dare nome a
nuove vie: in questo modo la città ricorda un pittore, un imprenditore, due
vescovi, un architetto, un fotografo, un insegnante… e i soldati caduti a
Nassiriya. Si delibera il nulla osta - “sempre a cura e spese dei promotori
dell'iniziativa” e previa le necessarie autorizzazioni - per la collocazione
di una targa commemorativa del soggiorno a Cremona di Pier Paolo Pasolini, di
una lapide o targa sulla casa di Danilo Montaldi, di un medaglione commemorativo
di Mons. Guido Astori, di una lapide con la seguente scritta: "In questo
immobile trovarono primo ricovero e fraterna accoglienza dal 1945 al 1947 gli
esuli istriani, fiumani e dalmati che avevano abbandonato le loro terre occupate
dallo straniero per rimanere liberi ed italiani". Già. Nelle lapidi
gli abitanti delle città fissano i propri valori.
Nella stessa seduta della Giunta fu dato il nulla osta per la collocazione di
una lapide che ricordasse il sacrificio di un ufficiale dell’esercito,
Francesco Vitali. E così al giovane tenente sarà reso onore. E giustizia sarà
resa ad un “attaccamento alla Patria” - come recita il comunicato ufficiale
- che per Patria intende una comunità di uomini e di donne, non una bandiera.
Dieci militari della Caserma Manfredini non fuggono - seguendo eccellenti esempi
- come buona parte dell’esercito. Il tenente Vitali viene colpito da una
raffica di mitra: gli altri nove, invece di mettersi al sicuro, portano al
riparo il corpo del tenente e così vengono catturati. La lapide ci farà “promemoria”
di chi è morto eroicamente. Sono affidati alla nostra capacità di ricordare
quelli che hanno vissuto - che vivono - eroicamente.
Mi torna alla memoria una lettera che avevo quasi casualmente scorto, alcuni
mesi fa, sulla pagina “Lettere al direttore” de La Provincia. Veniva
riportata solo la sigla del mittente - volendo non sarebbe stato difficile
scoprirne l’identità ma a che pro? - il quale, a proposito dei prigionieri iracheni torturati, ha evocato la storia e la figura
di suo padre. Un padre “borghese”, ufficiale dell’esercito, fedele al Re,
“disobbediente” e imprigionato dai tedeschi. Gli venivano somministrati gli
antibiotici necessari per curarlo, ma con le fiale rotte gli venivano massacrate
le braccia, sempre con lo stesso laconico commento: “Badoglio”. E mi torna
alla memoria la storia di un altro cremonese, Fiorino Soldi, partigiano non
comunista, al quale un tedesco, soldato semplice, risparmiò la vita,
disobbedendo all’ordine di fucilazione.
In questi tempi di bieco revisionismo una “revisione” - se vogliamo
chiamare così una riflessione seria e serena - dovrebbe essere ammessa: quella
del valore che attribuiamo alle “scelte politiche”, alle “scelte
ideologiche”, alle “scelte etiche”. No, non si rischia di confondere “buoni”
e “cattivi”, proprio no.
Le vittime delle guerre sono tante; tutti quelli che le hanno vissute, tutti
i morti e tutti i sopravvissuti. Le guerre sono incise - a ricordo dei figli -
nelle cicatrici dei padri.
M.T.