Cari amici di Welfare Cremona,
recita un poemetto di Umberto Saba : "Oh ritornate a me voci di un
tempo. Chi sa che in nuovi dolcissimi accordi io non vi faccia risuonare
ancora".
Nell' agosto del 1973, a quindici anni, mentre mi trovavo in vacanza in Val
di Non coi miei cugini Giuseppe e Luciano, ogni pomeriggio andavamo a Cavareno
(TN) dove, in un campo sportivo tra i boschi, si allenava il Lanerossi Vicenza
sotto la guida di Ettore Puricelli (scuola uruguaiana) e Berto Menti (scuola
veneta).
Ricordo ancora con piacere gli scatti veloci di Damiani, ala destra di
qualità, le geometrie a centrocampo di Cinesinho, i colpi di testa dello
stopper-ariete Ferrante, l' eleganza e le bordate del centravanti Sormani. Vi
erano poi, imprevisti e sconosciuti, i funambolismi di Ezio Vendrame, mezz' ala
di attacco, un autentico
giocoliere della sfera. Il suo repertorio spaziava dalle finte ai dribbling,
e le sue magie sortivano l' effetto della "palla che ora c' è, ed ora non
c' è" e poi te la ritrovi in fondo al sacco.
Un po' per la capigliatura, un po' per la sua arte, Boniperti arrivò a
battezzarlo "il Kempes italiano".
Da allora presi a seguirlo, in TV e sui giornali, col rammarico di non
vederlo decollare tra i grandi del calcio. La recente uscita di un suo libro
"Se mi mandi in tribuna, godo" (Ed. Biblioteca dell' immagine) ha
fatto luce su quel che, sino a ieri, avevo solo intuito. L' eclettico numero 10
ha condotto "una vita in fuorigioco". Classe
1947, aitante e tenebroso, venerato dai tifosi e dalle donne, ha sviluppato,
per usare un eufemismo, le sue
attitudini di "tenerissimo Attila in amore" (come lui si è
definito) piuttosto che attenersi alle necessarie discipline di una carriera che
lo ha visto, dopo alcuni anni di serie A, retrocedere nelle serie minori.
Nel libro c' è un aneddoto che spiega un po' di cose.
"Stagione calcistica 1972/73. Il Vicenza aveva battuto in casa il Torino
per 1-0. Per tutta la gara ero stato marcato da Aldo Agroppi ed il giorno dopo,
nelle pagine del Gazzettino, Giorgio Lago mi diede il massimo dei voti : 10
(forse avevo giocato benino!)." Ironie della sorte, a carriera ormai
conclusa, Gianni Minà lo invitò alla Domenica Sportiva dove l' opinionista
Agroppi lo accolse con questo elogio: "Io con i piedi di Ezio,
lui con la mia testa : ecco il fuoriclasse assoluto !".
L' autore commenta : "Io, invece di incassare l' omaggio e ringraziarlo,
lo freddai con la mia replica : ti regalo volentieri i miei piedi, ma la mia
testa non la cambio con nessuno, tantomeno con te!". Non suoni irriguardoso
al lettore se svelo, al riguardo, il piccante episodio che sta dietro il
titolo-epitaffio "Se mi mandi in tribuna, godo".
Quando Vendrame fu trasferito dal Lanerossi Vicenza al Napoli, una domenica,
a Cagliari, l' allenatore Vinicio non lo mise in formazione né in panchina ma
lo fece accomodare in tribuna. Lì incontrò una giovane modella partenopea che
aveva seguito la squadra in trasferta e, poco dopo, i due approfondirono la
loro conoscenza nei bagni dello stadio Sant' Elia.
Forse nella bacheca di Vendrame ci sono più trofei femminili che sportivi ed
è probabile che egli abbia anteposto le esigenze del suo "lui" (come
lo chiamava Moravia) a quelle della sua piena affermazione calcistica. Ma cosa
obiettare, in fondo, a una persona che soddisfatta dichiara : "io giocavo
in Nazionale da
sempre, perchè da sempre avevo fatto quel che avevo voluto, senza mai
concedere in mano d' altri il telecomando della mia vita" ?
Appese le scarpe ai chiodi, Vendrame ha poi indossato, per diversi anni, la
tuta da allenatore dei giovani, portando avanti con coerenza il suo discorso
volto ad abbassare la febbre da risultati ed a valorizzare, invece, la
dimensione del divertimento e del rispetto delle regole di un gioco collettivo,
possibile fonte di apprendimento e di educazione alla vita.
Ci tengo, nella circostanza, ad inserire una strofa di una canzone di De
Gregori (La leva calcistica della classe '68): "Nino cammina che sembra un
uomo, con le scarpette di gomma dura, dodici anni e il cuore pieno di paura.
Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è da questi
particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall' altruismo e dalla fantasia".
Tornando al campo tra i boschi di Cavareno io - ex-portiere - ammiravo, in
particolare, la preparazione specifica di Bardin e Anzolin intanto che gli
altri, alla chetichella e firmando autografi, rientravano negli
spogliatoi. Tanti cross con uscite alte e basse, tiri da lontano e da vicino,
con uno o più palloni, bloccati o respinti, con le mani o coi piedi. Un tuffo
dietro l' altro su quella morbida segatura dove anch' io, ad allenamento finito,
cercavo di imitarli.
All' epoca il mio idolo era Bordon, portiere dell' Inter. Da adolescenti ci
si innamora più di certe movenze che di certe sostanze. Tra i pali era bravo,
nelle uscite meno, più che sicurezza trasmetteva paura alla difesa. Ma io,
ostinato, lo difendevo tra gli amici, al bar, "perchè aveva stile".
Ci vollero gli studi ed una certa maturità per farmi capire che il migliore
guardiano era Zoff, numero 1 essenziale, concreto.
E, vedi il caso, Vendrame nel suo libro gli rende omaggio avendolo conosciuto
nell' Udinese, in serie B : "Quante volte l' ho scoperto, seduto al
tavolino della sua stanza, con penna e notes, schizzare su un foglio bianco una
porta, una barriera e una sua posizione per ripassare un goal che aveva subito
la domenica e di cui non si dava pace. Nonostante avesse una difesa che
faceva acqua da tutte le parti, non l' ho mai sentito giustificarsi. Sembrava
quasi che tutti i goals che subiva fossero soltanto e sempre colpa sua. Un
giorno mi chiamò in camera sua e mi fece vedere un articolo che lo riguardava e
che teneva
accuratamente nel portafoglio. C' era un titolo grande : "Zoff come Zuff",
e quindi la cronaca di una sconfitta per 7 - 2 contro il Foggia. Con quell'
articolo sempre in tasca, la sua forza interiore e la sua grande umiltà, poi le
parate fecero il resto".
Per parte mia ho impressa nella mente una parata di Zoff all' 88° minuto di
Italia-Brasile che salvò quel 3 a 2 che spianò la strada al successo dei
Mondiali di Spagna del 1982. Quei guantoni protesi in volo ad afferrare sulla
riga di porta il pallone incornato, da pochi metri, da Leandro, sono entrati nel
novero delle immagini più belle della storia del calcio.
Seguivo quelle partite con Eros, amico d' università a Bologna. Ricordo che,
dopo la sorpresa della vittoria sull' Argentina per 2 a 1, quel successo sul
Brasile con la tripletta di Rossi accese i nostri sogni. Battere i carioca,
favoriti del torneo, voleva dire che gli azzurri del saggio Bearzot potevano
ambire al podio più
alto. Un' altra doppietta di "Pablito" regolò la pratica Polonia e
poi, in finale, le reti di Rossi, Tardelli (con corsa ed urlo) ed Altobelli
ebbero ragione per 3 a 1 della Germania.
"Campioni del mondo, campioni del mondo" scandiva dagli schermi tv
la voce di Nando Martellini mentre in tribuna il Presidente Pertini esultava con
la sua pipa. Ebbri di gioia, noi studenti scendemmo in strada in mezzo ad un
tripudio di clacson e di bandiere tricolore. Non ho mai visto un fiume così in
piena di gente festosa scorrere per le vie della città, cantare in Piazza
Maggiore e bagnarsi nella fontana di Nettuno.
E pure io che, in genere, non prediligo il chiasso, mi sono lasciato
trasportare dalle emozioni, in silenzio ma con sentita partecipazione. Grazie
Zoff!
Cordiali saluti
Massimo Negri - Casalmaggiore (CR)