15 Settembre, 2002
La Torta Rossa. di Edo Villa
Quella mattina mia madre doveva accompagnare la mia sorellina all'ospedale. .....
La Torta Rossa.
1960: Elvina
Quella mattina mia madre doveva accompagnare
la mia sorellina all'ospedale. Mio padre
era via per lavoro. Quindi per qualche giorno,
era estate, sarei rimasto con Elvina, la
vicina di casa amica della Gina, mia madre.
Elvina, senza figli e marito, era più giovane
della nonna Barbara e più anziana della Gina.
Una donna alta, forte, quasi grassa e dalla
voce rauca di chi fuma senza filtro. Elvina
era contentissima, io pure. Era molto gentile
e premurosa. Ci faceva molti regali. Mi ricordo
il triciclo per Santa Lucia, il meccano l'anno
dopo. Avevo nove anni ed ero un ragazzino
magrolino, con i capelli riccioli, biondi
ed un po' lunghi. Noi abitavamo al piano
terra, Elvina al primo piano in una casa
più grande e più bella della nostra: era
la padrona di casa.
Elvina spesso mi ricordava di quando, ancora
piccolo, per aiutare la Gina a lavare u-n'anguilla
che aveva acquistato mio padre al mercato,
nel cambiarle l'acqua in una bacinella, la
presi nelle mani e, viscida com'era, scivolando
si infilò nel buco del lavandino. Peccato
che fosse l'unico alimento di quel giorno.
Provvide Elvina precipitandosi al mercato
ad acquistar-ne un'altra.
Quel mezzogiorno mangiai bene: c'era anche
il dolce. Il pomeriggio giocai in cortile
con gli altri bambini. La sera ero sporchissimo.
A quei tempi si usava buttare i bambini nudi
in una tinozza d'acqua sistemata in cortile
a scaldarsi al sole.
Elvina aveva la vasca da bagno e quindi mi
spinse in casa. Mi portò in bagno, mi spo-gliò
nudo, fece scorrere l'acqua nella vasca e
mi buttò dentro insaponandomi con un profu-matissimo
bagno schiuma. La Gina usava un ottimo sapone
di marsiglia. In quella vasca grande stavo
bene: nuotavo, mi buttavo sotto.
Improvvisamente Elvina, lì a guardarmi, si
spoglia lentamente nuda ed entra nella va-sca.
L'acqua si alza ed io rischio di andare sotto.
Mi prende a sé e mi schiaccia contro il suo
seno. Un seno grande, morbido e profumato.
Mi lava ancora, mi strofina, si lava lei
strinan-dosi con forza. Dopo qualche minuto
si solleva e mi mette fuori dalla vasca.
Esce anche lei. In piedi, nuda, la guardo.
I miei occhi cadono su un cespuglio rosso
appena sotto l'ombelico. Le chiedo che cos'è
quella cosa... rossa. Lei ride, mi prende
con le mani la testa e mi avvici-na a quella
cosa rossa. Il mio naso e le mie labbra sono
schiacciate su quella cosa tutta pro-fumata
e calda. Mi tiene così per qualche minuto.
Poi mi allontana, mi mette un asciugamano
addosso ed inizia ad asciugarmi. Mi strofina
forte. Mi mette il borotalco. Lei, sempre
nuda ma in ginocchio, io che continuo a guardare
quella cosa rossa. Ad un certo momento, dopo
al-cuni minuti di silenzio, risponde alla
mia domanda dicendomi che quella cosa rossa
e profu-mata era la torta più ambita dagli
uomini che facevano pazzie per vederla, annusarla,
leccar-la e poi mangiarla… "Per te non
va bene, sei ancora un bambino."
La sera ascoltammo la radio. Prima di dormire,
nello stesso letto, mi disse di non dire
niente alla mamma della torta rossa. Aveva
troppi pensieri e non avrebbe capito. Mi
strinse a sé e dormii come se fossi stato
con la mamma quando ero piccolo.
Per tutti gli altri giorni ero io a chiedere
ad Elvina quando si sarebbe fatto il bagno.
Non si spogliò mai più.
Elvina non c'è più. Col tempo, dalla Gina,
ho avuto il racconto della sua vita. Era
una prostituta che fece la vita prima con
i fascisti, poi con i tedeschi occupanti.
I partigiani le ra-parono i capelli a zero
e la fecero sfilare per la città con il cartello
"puttana collaborazionista". Negli
anni della mia infanzia era l'amante del
sindaco: un signore distinto, avvocato ma
co-munista.
È morta all'ospizio dimenticata da tutti.
Al suo funerale eravamo in pochi. Io, la
Gina, mia nonna e pochi altri. Avevo allora
trent'anni ma di quella torta rossa e profumata
mi era rimasta la voglia.
Edo Villa
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