15 Settembre, 2002
Ricerca Iref-Acli: Italiani e fisco
«Peggiorano i rapporti. Famiglie tartassate. Sì al quoziente familiare»
Insufficienti controlli e sanzioni contro l’evasione fiscale. Giudizi
negativi sulla riforma introdotta dal Centro-destra, poche illusioni sulle
ipotesi di intervento del Centro-sinistra. La richiesta di uno Stato vigile e
presente; ma dopo la “protesta” degli anni ’90, si affaccia il rischio
della “rinuncia”
Roma, 12 maggio 2005 – L’eccessiva tassazione delle famiglie è il
problema più grave del fisco italiano (31%), seguito dall’annosa questione
dell’evasione fiscale (22%). Così l’opinione degli italiani, secondo i
quali il rapporto tra cittadini e fisco è andato peggiorando negli ultimi anni
(40%) o comunque non è migliorato: tutto è rimasto come prima (37%). Anche la
recente riforma fiscale introdotta dal Governo Berlusconi non trova consenso tra
gli italiani, perché “dà i soldi ai ricchi e le briciole ai poveri” (35%)
e “fa aumentare in realtà altre tasse” (33%). Né cambierebbe nulla con il
Centro-Sinistra (49%) anche se forse garantirebbe maggiormente le famiglie
bisognose (30%) magari aumentando il prelievo fiscale (8%).
L’Iref, l’Istituto di ricerche educative e formative delle Acli, è
tornato dopo sei anni ad indagare “le opinioni e le aspettative dei cittadini
nei confronti del sistema fiscale” ed ha presentato i risultati a Roma, questa
mattina, presso la sede nazionale delle Associazioni cristiane dei lavoratori
italiani. Il secondo rapporto “Il Fisco degli Italiani” è frutto di una
ricerca su un campione di mille persone rappresentativo della popolazione
italiana in età adulta.
Non c’è stata dunque, secondo gli italiani, una svolta significativa negli
ultimi anni in ambito fiscale. Tutt’altro: la condizione rimane penalizzante
per i contribuenti, soprattutto per le famiglie. Se infatti nel 1999 solo il 21%
dei cittadini considerava eccessiva la tassazione sul nucleo familiare, questo
dato registra oggi un clamoroso +10%. In particolare, sono le famiglie che
vivono condizioni più o meno stringenti di difficoltà economica ad avvertire
maggiormente l’eccessiva imposizione fiscale (il dato, infatti, in queste
famiglie sale dal 31% del campione fino al 48%). Non stupisce, allora, la
domanda di maggiori agevolazioni per le spese mediche (30%), per l’istruzione
e la formazione professionale dei figli (15%) e per la cura delle persone
anziane (15%). Così come la richiesta di ampliare e migliorare i servizi di
sostegno (22%) e di aumentare gli assegni familiari (18%). Non stupisce neanche
che il 72% del campione si dichiari favorevole all’introduzione del “quoziente
familiare” – cavallo di battaglia delle Acli – in base al principio per
cui le tasse devono essere pagate considerando non solo il reddito della
famiglia ma anche il numero dei suoi componenti.
Altre considerazioni interessanti riguardano la questione dell’evasione
fiscale. Gli italiani sembrano aver cambiato parere nel corso degli anni
rispetto alle cause di questo fenomeno: tra il 1999 ed il 2005, infatti,
decrescono in modo significativo, tra le motivazioni, “l’eccessiva pressione
fiscale” (-6%) e la sfiducia nelle istituzioni (-9%); mentre aumenta di oltre
quindici punti percentuali “l’insufficienza dei controlli e delle sanzioni”
(+17%).
Quel che emerge da questi dati, così da quelli sulla famiglia e i suoi
bisogni, è la sensazione di un mutamento sostanziale nel modo di pensare dell’opinione
pubblica italiana rispetto al fisco. Se nel 1999 i cittadini invocavano a gran
voce uno Stato più leggero, oggi sembrano invece domandare uno Stato più
vigile e presente. Non che siano superate, a questo proposito, incertezze e
ambiguità: il campione, ad esempio, si spacca praticamente a metà sull’alternativa
“meno tasse e meno servizi” (51%) / “più tasse più servizi” (49%). Ma
a leggere bene dentro questo dato si trova conferma che le forme di protesta
fiscale in voga negli anni ’90 sono ormai ben distanti: allora, infatti,
emergeva la mobilitazione “chiassosa” dei liberi professionisti e degli
imprenditori radicati nelle aree propulsive del Paese; oggi sono i cittadini “periferici”
a ripiegare nel privato, manifestando così una sorta di rinuncia al welfare
pubblico nel silenzio di una condizione esistenziale fragile. Il paradosso,
dunque, è che a schierarsi sul fronte del contenimento dei costi statali sono
le famiglie più a basso reddito (67%), quelle che hanno avuto problemi ad
arrivare alla fine del mese (63%); sono i giovani adulti impegnati a metter su
famiglia e a trovare un lavoro stabile (65%); sono i cittadini residenti nel Sud
e nelle Isole (58%), lì proprio dove le carenze del welfare si acutizzano.
In breve, l’intreccio fra insicurezza economica e incertezza esistenziale
sembra produrre un atteggiamento di disillusione verso l’intervento pubblico,
che si manifesta nel desiderio di avere più risorse a disposizione per
tentare di affrontare, o almeno tamponare, le molte falle di un sistema di
servizi pubblici verso cui si nutrono sentimenti di evidente sfiducia. Sono i
segnali inquietanti di un passaggio, nei confronti dello Stato, dalla protesta
al rischio della rinuncia, da parte di quegli italiani che pensano di potersi
disancorare da una rete di protezione sociale, non avendo le tasche abbastanza
piene per finanziarla. La risposta non può che stare in un altro passaggio, “dallo
Stato pesante allo Stato presente”, lavorando però con molto coraggio e
immaginazione per dar corpo a questa “presenza” in modo da poter contrastare
le ansie e gli affanni di famiglie sull’orlo della marginalità economica e,
più in generale, esistenziale.
 
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