15 Settembre, 2002
Via Emilia a Ferragosto di Luigi Boschi
Mi ero addormentato profondamente, favorito dal ritmare del treno. Ah! Ah! Ah! Improvvisamente alcune ripetute risate…schiamazzi allegri…non distinguevo in che lingua…
Via Emilia a Ferragosto
Mi ero addormentato profondamente, favorito
dal ritmare del treno. Ah! Ah! Ah! Improvvisamente
alcune ripetute risate…schiamazzi allegri…non
distinguevo in che lingua… Dischiudo gli
occhi cercando la provenienza, facendomi
guidare dalle voci…poi le ho viste. Una aveva
il viso vellutato...di nero, con un fazzoletto
di carta infilato nell’orecchio che ogni
tanto le cadeva...poi lei lo rimetteva, giocava…l’altra
si truccava: ridevano!! Incontro lo sguardo
della ragazza dalla pelle nera vellutata.
I loro schiamazzi sono ora di toni ridotti…parlano
soffusamente. “Parma, stazione di Parma!”
annuncia l’altoparlante. Non vorrei fermarmi…
Da un po’ di tempo mi sento inutile in questa
città di burattini e burattinai, di cui Ferrari
col suo teatro ne propone da sempre una ironica
e sarcastica parodia. “Se ne vada da qui,
non si fermi a Parma!..." -mi disse
Ubaldo, quello della quarantasettesima-.
Aveva ragione…Si paga caro esser se stessi!
Hai voglia di presentar progetti! Un ristretto
gruppo dirigente, teste di legno, emargina
se non sei dei loro, mette al confino se
non ti presti, pone le condizioni per il
degrado individuale, per il privilegio, per
la corruzione; un impoverimento etico collettivo
mascherato dalla attuale borghesia godereccia,
al colesterolo, col paraocchi, senza visione,
incapace di sostenere, contraddicendo la
sua identità storica, le nuove energie creative,
l’impegno politico, i percorsi innovatori
e riformatori, dedita invece alla speculazione,
ai propri interessi, ai propri affari, che
si cela la verità per il privilegio personale
e si autoconvince di vivere in una città
libera. Che ne è rimasto dei Bertolucci,
Bertoli, Colombi Guidotti, Barilla, Gaibazzi,
Mattioli, Micheli…
Loro, le ragazze, scendono…io resto seduto,
proseguo. “Sì vado da Giovanni…ma sì…mi prendo
una pausa in corsa”. Giovanni un amico di
gioventù, che ho conosciuto a Uscio, quando
accompagnavo mia madre, per i suoi periodi
di dieta forzata. Ha un albergo in terra
piacentina, sulla via Emilia. Mi alzo, cerco
un bagno nel treno. Entro. Esco sollevato
e rinfrescato. Aspetto in piedi, nel fine
carrozza, appoggiato sul fianco ad una parete
e guardo, mentre mi allontano, dal finestrino
che avevo aperto. I seggiolini d'emergenza
erano già tutti occupati. Cerco di tornare
al mio posto. Percorro a fatica alcune carrozze,
tutto pieno…viaggiatori, bagagli. Lo raggiungo,
ma era stato preso da un signore anziano.
“Alla stazione di Fidenza scenderà qualcuno?
Spero!” Arriviamo. Si liberano alcuni posti
a sedere. Mi metto vicino alla finestrino
e guardando la campagna che scorre, faccio
un calcolo di quanto tempo dovrò ancora percorrere
sui mezzi pubblici: devo poi prendere anche
un autobus! La via Emilia non è affatto servita
la sera. Potrebbero essere molto utili visti
gli incidenti… Il treno rallenta vistosamente
la marcia. Leggo un articolo sul digitale
e scorro la rivista che avevo trovato nel
nuovo scompartimento. Il digitale tutti ne
parlano, ma di fatto è impedito, in particolare
dalla Pubblica Amministrazione...pensano
di trasferire l’esistente in rete: parassiti
al tramonto! Un attacco di dissenteria. Non
so cosa potesse essere stato. L’incazzatura
mista, forse, alla zuppa d'orzo e cipolla
della sera precedente? Non so. Mi alzo e
vado dritto in bagno. Mentre mi sciacquo
le mani cerco di leggere i graffiti sulle
pareti. Bisognerebbe girare il mondo, fotografarli,
pubblicarli…si potrebbe scrivere un libro
sulle scritte nei bagni pubblici dei treni,
delle scuole, delle biblioteche...E' un'idea…forse
l’han già fatta. Chissà…un editore disposto
a finanziarla? Dietro quei testi c'è il mondo
che puzza, di chi non immagini, quello che
passa per la testa della gente, uno sfogo
nascosto gettato sui muri, sulle pareti dei
cessi; l’anima imprigionata delle persone
che esprimono la loro rabbia, l'odio, l'amore,
l'omosessualità, il razzismo, il maschilismo,
il femminismo, l’ignoranza, si svuotano…tutto
nei bagni. Raro un pensiero gentile, domina
la volgarità…un segno dei tempi. Dai graffiti
sulla pietra, ai geroglifici, alle proteste
contro l’oppressore, alla civiltà degli insulti,
ai cellulari porno. Una rubrica on the roads.
Quasi fossero, i bagni, anche un cesso della
mente, frasi indelebili allo sciacquone:
se tiri l'acqua non vanno via, restano lì
le scritte...una anticipazione dei blog:
c’è anche chi risponde alle battute, alle
provocazioni. Esco e cerco la carrozza dove
avevo lasciato anche carte, giornali e…”il
computer...No!! E’ ancora lì”. Mi risiedo
e scorrendo i luoghi dal finestrino vedo
che mi avvicino a Piacenza. La sosta forzata
in bagno mi aveva fatto perdere la fermata
a Fiorenzuola. Le sette di sera. Scendo dalla
carrozza, forse riesco a prendere la coincidenza
con l’autobus. No, già andato, due minuti
prima. Devo aspettare quello dei 38. Quanto
si vede che è organizzato il sistema di trasporto
collettivo dei mezzi pubblici! Finché nei
consigli metteranno i funzionari della partitocrazia!…
Mi siedo sotto le pensiline. Appoggio a fianco
il computer e sulle ginocchia i giornali
e la busta piena di fogli. Non sopporto più
viaggiare con cartelle, borse...Eppure si
potrebbe avere tutto in rete e accedervi,
ovunque, senza dover portare con se nulla.
Sarebbe già possibile, ma viene impedito.
Vorrebbe dire cambiare le organizzazioni
esistenti…preferiscono costruir strade, è
più redditizio…fin che dura l’economia della
betoniera! Una società al collasso, è palese…Il
nuovo si ostacola, si ignora.
Mi si avvicina una donna di colore. Sposto
il computer per farle posto. Lei accende
una sigaretta, il vento ovviamente mi indirizza
in faccia tutto il suo fumo. Io mi alzo seccato.
Tu cerchi di essere cortese e ti sputano
in faccia! Manco però se ne accorgono ormai…è
divenuto naturale. Non ho mai sopportato
il fumo. Cammino sul marciapiede che raggruppa
tre pensiline. Vado avanti e indietro. Si
alzano improvvisamente folate di vento continue.
Mi riparo al fianco di una fermata. Quel
cambiare improvviso del tempo…mi ricorda
l’Inghilterra. Oscar, il cane che rideva
con cui giravo per i bed and breakfast nel
Kent o a Cambridge. Si sedeva su due zampe
se gli offrivi biscotti. Dormiva con me,
sotto il letto. Sono i 44: puntuale il precedente,
in modo da perdere la possibile coincidenza,
in ritardo questo!? I 52 vedo finalmente
arrivare l'autobus Fiorenzuola Vernasca.
Mi metto in coda, c'è molta gente. Salgo,
“buonasera” dico all'autista. Cerco un posto
vicino all'uscita di mezzo. Appoggio il computer
sul sedile a fianco, insieme ai giornali
e ai documenti. E’ strano ripensandoci, come
tratto il mio computer, un modello da museo,
un vecchio Compaq 286. E' come se fosse una
mia estensione cerebrale staccata, lo faccio
sedere al mio fianco, ci prendiamo per mano,
conserva parte di me e altro…Dovrò presto,
controvoglia, metterlo a riposo. Sul pullman
inizio a pensare al lavoro di trasferimento
dati nel nuovo computer che stavo acquistando.
Attraverso alcune località prima di raggiungere
Roveleto. Alle fermate salgono persone per
lo più extracomunitari di ritorno dai loro
turni. Continuo a pensare al lavoro che mi
avrebbe aspettato, ma in particolare su quale
modello di computer comprare. Quale sarà
il mio nuovo compagno di viaggio con cui
condividere contenuti, crescere? Arrivo alla
fermata. Vedo scendere dalla porta anteriore
dell’autobus due ragazze, mentre io aspetto
in piedi, che si apra, quella in mezzo. L'autista
non la apre. Vado quindi verso quella anteriore,
un po’ seccato. “Aspetti”. Scendo, pochi
passi e sono in albergo. Mi dirigo verso
il bar della hall anziché andare subito alla
reception. Vedo Giovanni infatti seduto con
altri, lo saluto con un cenno alzando la
mano destra. Mi viene incontro. Bevo con
lui al bar una birra fredda.
-Mi ospiti qualche giorno?
-Certo. Ti trovo una stanza.
Qualche battuta sui suoi chili, i perenni
lavori in corso nell’hotel, le sue preoccupazioni
economiche... Mi consegnano la carta d’accesso.
Mentre aspetto l’ascensore, incontro Lorena,
la moglie di Giovanni, che da lontano mi
sorride, poi mi abbraccia:
-Cosa ci fai qui?
-Carenza di Pisarei e fasoi!
-Scusami devo andare nell’albergo che abbiamo
preso a Chiaravalle. Se domani ti fermi te
lo faccio visitare. E’ alloggiata da noi
la squadra italiana. C’è il campionato mondiale
di bicicletta su pista a Fiorenzuola. Gran
bei ragazzi!
-Non sedurli. Lasciali tranquilli. A domani.
Guarda che devono correre!
Salgo all’ultimo piano, nel sottotetto. Entro
in camera, appoggio le carte, i giornali
e il computer. Sposto la coperta, mi stendo
sul letto fresco, appena fatto. Un letto
solo per me; è come se non lo avessi avuto
da tempo. Il piacere di stare solo, libero
da ogni richiesta, da ogni relazione…Mi addormento,
sogno non so cosa. Mi lascio andare…Dovrei
fare, ma preferisco non fare. Basta! Il lavoro...maledetto.
Ti infilano nella testa che non ne puoi fare
a meno. Balle! Questa è la proliferazione
di esauriti replicanti di servizio in transito…ma
li vedi? Guarda le loro facce, che maschere!
Tutti i giorni intasati nelle tangenziali
congestionate, oppure, incubati e intubati
nella metropolitana, attraversano le città
nei sotterranei…si arrabattano… Un non luogo
con indicato tutto quello che c'è sopra di
te. Il rumore sferragliante e urlante del
metrò. Quando lo sento arrivare spesso vado
verso un punto del marciapiede cercando di
indovinare dove si aprirà la scorrevole,
è come se si giocasse alla roulette, anziché
puntare un numero, qui punti una posizione.
Quando la porta ti si apre davanti hai vinto…niente,
come ciò che stai andando a fare. Lo sai
ma non ci credi. Entri, il più delle volte
non ti siedi o perché c’è sporco o perché
non c’è posto. Le frenate e le partenze,
ti rendono la vita difficile quando devi,
in piedi, trattenere un attacco fisiologico:
è atroce! Gli olezzi in estate spesso accompagnano
il viaggio ondulatorio, sussultorio, ritmato...Il
ballo civile…meglio quello tribale! Non vedi
l’ora di scendere da quella ferraglia. In
quei cunicoli, in quelle trincee, non so
perché, ma quando ci entro vorrei essere
subito arrivato. “Fuori! Aria!” Si cercano
e si fiutano le vie d'uscita. Quasi come
si fosse topi in una fogna e tra spinte,
annusi, corse, passi affrettati, soste forzate,
percorsi errati si esce…e si ritorna. Un
dentro e fuori, un moto perpetuo, in una
continua ricerca del niente. Che progetti
di vita possono uscire da questi tristi tunnel!
Infrastrutture memoria dell’era industriale,
futuri musei della tecnica. Il mondo digitale
cambierà le città, i luoghi. Il digitale
libera dalla stupidità perché è ambiente
intelligente. Ma l’ignoranza e il malaffare
della burocrazia, controllata dalla classe
dirigente, produce mostri obsoleti pronti
per il museo della stupidità, funzionali
a gruppi economico finanziari, all’aristocrazia
manifatturiera, non alla collettività, alle
potenzialità individuali. Tutto in nome della
democrazia e libertà di mercato. Ma va là!
Imprese assistite da risorse pubbliche, spazzate
via se i centri di ricerca aprissero i loro
cassetti. Spettatori e consumatoi servizievoli,
zombi, questo vuole la prepotenza autocratica.
Si impediscono le forme di economia delle
conoscenze, perché rendono liberi. Città
derubate, replicanti, sedute sul loro “segno”
in decadenza, incapaci di pensiero creativo.
Metropoli di schiavi infelici e predatori
senza scrupoli. Civiltà, si chiama!
Un sonno continuo in albergo. Mi sveglio
la mattina dopo. Un bagno in vasca. Scendo.
Incontro un viso noto, televisivo, anni 70
con gli immancabili occhiali neri che gli
fasciano la vista. Faccio colazione: yogurt,
frutta, musli, spremuta, un budino al cioccolato
e un caffè. Me ne vado a leggere i giornali
sul terrazzo, ombreggiato da una pianta storica
e da grandi ombrelloni bianchi. Sulla via
Emilia passano i camion carichi di pomodoro:
è agosto il loro mese. Mentre li vedo passare...mi
sento come…trascinare da questa scia di odore
e colore. Scappa il pensiero a mio cugino.
Cosa è divenuta quell’azienda da quando non
c’è più lui!! In mano ai parassiti! Cosa
ne han fatto di quel “Pomo d’oro” disegnato
da Erberto Carboni.
Scrivo e leggo tutto il giorno; mi appassiona
Severino La follia dell’Angelo. Il tempo
vola qui sulla via Emilia. Sono ospite, ma
mi sento come un rifugiato. Sono in un luogo
sicuro, per ora, da incontri indesiderati.
Da tempo ormai sono scappato da una convivenza
che periodicamente faceva le bizze: non ne
potevo più. Eppure, lei, aveva una sua poesia,
che forse, non ho saputo cogliere. Quando
l’amore non è incondizionato e si perde nei
rivoli della rivalsa, delle discussioni quotidiane,
è finita…e quella storia la era da un po’.
Meglio rompere, andare via, non lasciare
che degeneri…Continuo da allora a girovagare.
Alloggi temporanei. Mi lascio guidare dalla
curiosità e dall’avventura: non mi interessa
la fissa dimora. Resto in albergo. Compro
al mercatino qualche indumento, e un paio
di Superga. Passano i giorni…e io non ho
voglia di andarmene. Ho scoperto, dietro
l’albergo, la campagna piacentina a fianco
della via Emilia. Costume e scarpette, cammino
nel primo pomeriggio per le carraie…come
se fossi in riva al mare sul bagnasciuga,
il sole picchia…sgranocchio qualche pannocchia
quasi matura, per sciacquarmi la bocca. Nei
percorsi tra i campi ritorno in famiglia,
mi ritrovo. Davanti, in fondo alla carraia
un casolare mi propone un ambiente del primo
‘900, dietro, alle spalle, la fine del novecento:
l’autostrada. Incontro alcune persone sullo
sterrato arso: un saluto, un cenno con il
capo e, senza fermarci, continuiamo ciascuno
nel proprio soliloquio mentale e di gambe.
Non ho voglia di fare nulla… Il sole batte!
Camminando il pensiero si carica di idee.
Non ero mai rimasto a lungo sulla via Emilia.
Il piacere, la curiosità di abitare e scoprire
luoghi trascurati, finora solo transitati.
La sera, in veranda, ceno al tavolo con Giovanni
e i suoi ospiti. Donne e soldi, in cadenza
piacentina, i loro argomenti preferiti. Un
tuffo nel banale? Per me, l’hotel è come
un porto, convivi in un condensato di molteplicità
culturali...ti riporta alla tua dimensione
se l’hai perduta nella quotidianità. C’è
di tutto…E come in un porto, la sera prima
di Ferragosto, chi ti vedo arrivare? Due
piacevoli donne che, sicure, si avvicinano
con allegra camminata al nostro tavolo. Bella
l'una con un vestito bianco corto, a calza,
tagliato su misura per mostrare tutto l'indispensabile,
anche l'intimo, una volta seduta negli accavallamenti
predatori. Il vestito, velava ciò che lei,
forse, non avrebbe voluto. La bocca si muoveva
in una ginnastica continua. L’altra, l'amica
più piccola, meno bella, ma con due tette...erano
posate, come su di un vassoio…"gradisca"
diceva quella...di Fellini. Eravamo sulla
via Emilia! I romani chiamavano le strade
al femminile...l'Aurelia, la Flaminia, l’Appia,
quasi volessero invocare e ricordare durante
i loro percorsi le gesta inconfondibili di
simil donne. Te l'immagini la Flaminia che
accoglienze al ritorno? Le conosco: una medico,
l’altra insegnante di inglese. Sono simpatiche,
disponibili nella parlata e al piacere dell’avventura:
le movenze della gambe erano un racconto.
Inizia un gioco di seduzione da entrambe
le parti che ci diverte. Sapevamo tutti che
saremmo potuti andare a scopare, ma l'eroticità
dell’astensione forse predominava la libido
del consumo. Sono le quattro del mattino
e dopo i vari nostri orgasmi mentali ce ne
andiamo a letto...Era già l’alba di ferragosto
duemila, l’anno giubilare!
Mi alzo a mezzogiorno. Scendo, saluto Giovanni.
Cerco di sapere come fare per sentire i messaggi
lasciati in segreteria. Dopo l’ennesima telefonata
alla centrale servizi riesco nell’intento.
Ritorno in camera, leggo, ascolto un po’di
notizie in italiano, inglese, spagnolo, tedesco.
La televisione? Una telenovela non stop utile
per distrarre l’attenzione della gente, teledirigerla,
rompere le relazioni. Tutti hanno lo stesso
stile. La diversità è fatta dagli spot pubblicitari:
gli inglesi, come al solito, sono i migliori.
Loro giocano sul consumo, lo propongono quasi
come fosse una cosa ridicola, che sono costretti
a fare, ma di cui, quasi, si vergognano e
quindi l’ironia diviene il modo migliore
per convivere col proprio stato, con la propria
coscienza, con la propria stupidità. Si deve
aver paura di cosa è capace l’uomo, di come
riesce a trasformare una potenza in spazzatura…mondiale!
Un nonsenso pagato da tutti. Una grancassa
che teleconduce le coscienze, le conoscenze.
Dalla camera telefono a un amico che mi aveva
invitato a passare Ferragosto da lui, in
campagna. Ha la casa sulla sponda parmigiana
dell’Enza.
-Ciao Ela...
-Ti aspettavamo all’una, perché non sei ancora
arrivato?
-...ma, veramente…io pensavo di arrivare
nel pomeriggio. Mi sono alzato da poco. Vi
raggiungo comunque. Faccio un bagno, mi tolgo
l’olezzo e sono da voi.
Parto. Sulla via Emilia nessuno. Io e il
treno ci rincorrevamo. Mi sento libero. Giovanni
mi aveva prestato il suo vecchio maggiolone
cabrio che custodiva come auto storica. Era
mio, glielo avevo venduto anni fa. L’aveva
custodito perfettamente. Quanta strada insieme.
E’ un ritorno! Cerco ogni cosa che mi sta
intorno, come se dovessi richiamare gli spiriti
che da tempo mi hanno abbandonato. Nella
calura deserta emiliana non trovo pensieri,
ascolto la musica, invece, che mi fa sognare.
Guidare mi fa sentire libero, in un’evasione.
Il sogno lotta col pensiero, che cerca ogni
tanto, di sopraffare il destino del giorno.
Mi ricordo...e dimentico la guida, col sole
perpendicolare che mi protegge l’evasione.
Mi ricordo...il mare, di quando bambino,
i miei, mi portavano in Versilia…il gusto,
i profumi, le prime passioni…il cinema all’aperto
di sera…l’odore di salsedine che impregnava
le scene sullo schermo...te lo portavi addosso
nel ricordo…
“Bambini piangete!..Focacce, pizza, bomboloni!”
“Gelati!..Granatine, ghiaccioli…limone, arancio,
menta…tamarindo! Gelati!”
“Cocco!..Coccobello, cocco! Rinfrescatevi
la gola!..Cocco!”
Erano le chiamate al consumo degli strilloni
di spiaggia. Vestiti di bianco: maglietta
e calzoni arrotolati fin sotto le ginocchia;
un fazzoletto al collo bianco o a colori
rosso, verde, con piccoli disegni. Alcuni
si coprivano il capo con un cappello alla
marinara. Abbronzati e cordiali alla fermata,
con accento viareggino, questi venditori
ambulanti alimentari on the beach, erano
divenuti una caratteristica delle spiagge
del luogo. Chi portava i prodotti del forno,
aveva un cesto ovale in legno verniciato
di bianco che si apriva da entrambi i lati:
salato da una parte e dolce dall’altra. Un
manico rigido gli consentiva di imbracciarlo
alternando i lati per la fatica; un’alzata
sotto l’ovale permetteva di appoggiare il
cesto tenendolo sollevato dalla spiaggia
e avvicinare, all’apertura, la miglior visione
dei prodotti per il cliente, ma soprattutto
favoriva la ventata di profumo che emanava
dal cesto e venivi colpito alle narici e
allo stomaco con conseguente, irresistibile,
piacevole provocazione di gola…un desiderio
di golosità. Alcuni scrivevano sul lato del
cesto il nome del forno…Pietro, Valè… Un
cubo refrigerato invece, con tracolla in
corda, per il gelataio. Sui lati le immagini
dei gelati. Il più prestante però era il
“Cocco” che a torso nudo, con fare atletico,
teneva sulla mano appoggiata alla spalla
un recipiente trasparente dal quale emergeva
un enorme cubo di ghiaccio che refrigerava
l’acqua, dentro cui stava il frutto tagliato
a pezzi. La sosta periodica all’ombra dell’ombrellone
faceva riprendere questi audaci dal bruciore
ai piedi, pur protetti penso dalle callosità,
che la spiaggia bollente causava. E la sosta
era maggiormente gradita se chiamati per
acquistare i loro prodotti: erano buoni!
Si mangiavano di gusto dopo il lungo bagno,
seduti al sole, con l’acqua salata in corpo,
infreddoliti dentro, avvolti nell’accappatoio.
Erano puntuali nel loro percorso: li sentivi
arrivare da lontano…nella tarda mattinata
e al pomeriggio. Giusto in tempo per soddisfare
quella gola che ti assale uscito dall’acqua.
Si aggiravano poi, i venditori di biancheria.
Con accento toscano descrivevano la loro
merce di Prato a signore interessate: forse
il cambio di lenzuola rinfrescava il desiderio
sessuale e ne ispirava dei nuovi. Lenzuola
fresche con nuove fantasie…un messaggio in
codice delle mogli: alcune aspettavano i
mariti al varco il fine settimana. Un richiamo
ai doveri di letto, un invito indeclinabile,
una prova per valutare la fedeltà, forse,
da entrambi ricercata. Altre pensavano a
rigenerare il desiderio sessuale affievolito
nel coniuge e ritrovato in riva al mare.
Abbronzatura, salsedine, lenzuola bianche
di lino…se non canti sei morto! Un desiderio
sessuale più voglioso, passionale, soprattutto
non urlato, e meno scontato dell’attuale.
Le passerelle in legno, che consentivano
di arrivare all’ombrellone senza bruciare
i piedi, erano veri itinerari di desiderio
e mostra anatomica. Trasparenze uscite dall’acqua…per
lo più bikini, ma iniziavano anche i primi,
timidi topless e qualche tanga. Ci si poteva
fare un catalogo: tette a coppa, a pera,
in su, all’ingiù, piatte, cadenti, ridenti,
di rifatte non vi era ancora traccia; capezzoli
grandi, piccoli, bruni, chiari, turgidi,
rilassati. Le gambe e la camminata erano
un racconto…davano lo stile, il tono... Un
percorso dall’acqua del mare alla doccia
e dalla doccia all’ombrellone, che proponeva
ogni donna nella sua femminilità. Nelle cabine
respiravi ormoni a pieni polmoni!
Dal giovedì, i preparativi delle signore,
che iniziavano una sorta di rito propiziatorio
per l’arrivo del marito o dell’amato: venerdì
sera le più fortunate, sabato le consolate,
domenica la toccata e fuga. Tempi duri per
gli amanti spiaggiaroli che si dileguavano
in quei giorni o passavano senza sosta per
un confronto indiretto o per un frettoloso
scambio di informazioni in acqua, sotto la
doccia o casualmente al bar.
Coniugi, desiderosi della vacanza pensata
in inverno, partorita ad aprile, a maggio
scendevano per scegliere la pensione, l’albergo
o la casa, che era quasi sempre quella dell’anno
prima. Tutto per i figli naturalmente, bisognosi
di cambiar aria…devono crescere. Del desiderio
di cambio d’aria sessuale invece, ci si scherzava
su quasi per disincanto. A fine estate la
coppia rigenerata, con le nuove fantasie
di lenzuola, le cui gesta agostane li avrebbe
accompagnati nel periodo invernale, tornava
nelle città soddisfatta per aver dato ai
bambini il loro fattore di crescita: lo iodio…non
si vestiva più alla marinara, ma iniziava
il tempo della moda…
“Frena! Dove vai?” Sono arrivato…Quasi un
risveglio dai ricordi…Svolto in una laterale
della via Emilia e mi dirigo verso la casa
di Tino. Lo conosco da più di vent’anni,
una testa di cazzo a volte! Come tutti noi,
forse. L’ascolto non è il suo pezzo forte…se
gli dai spazio la risata però è certa. Un
ventre prominente gli assorbe il fumo delle
stecche di sigarette che divora senza sosta
e con lui tutta la famiglia. Commercia…farine
e formaggi da sempre. L’ho visto però una
volta proporre a una signora anche biancheria
cinese. Le consigliava i pizzi, la taglia…Da
buon commerciante vende se stesso; lui lo
chiama lavoro! Ela, sua moglie dai tratti
orientali, l’ho conosciuta ragazzina al mio
ritorno dall’Inghilterra. Il suo viso strano
mi aveva colpito subito. Sara e Dario i figli.
La madre di Tino, la signora Germana, mi
ricorda mia madre. E’ capace di far ridere,
cose semplici…ama stare in compagnia, unisce
garbate battute in cadenza reggiana con la
sua cucina, ricca di quei sapori emiliani
che ti violentano ogni volta che ti siedi
a tavola. Sono da poco arrivato e lei la
Germana, con il suo incalzare compiaciuto,
avvolta nel suo copricostume a strisce larghe
bianco e nero, mi sorprende ai bordi della
piscina con un vassoio di fette di torta
appena sfornata: la pasta frolla, ancora
tiepida, ti lascia un retrogusto di buccia
di limone mescolato con il dolce, leggermente
brusco, proposto dallo strato di marmellata
alle prugne fatta in casa. "Venga qui
-mi dice- che le voglio dare un bacio!” Arrossisco…E'
un vizio che non mi abbandona mai...il lasciarmi
desiderato.
Ela era indaffarata nel fare le cose di casa
e alimentava un ambiente piacevole in cui
stare. Amici di tempi addietro, mi riconoscono,
mi salutano, erano anni che non li vedevo.
Offro bicchieri d'acqua e malvasia agli ospiti
che sul bordo della piscina si godevano il
sole ferragostano. Caldo piatto nella pianura
ai confini dell’Enza. Mi trovavo bene...La
malvasia rinfrescava le menti e ci rendeva
tutti più amici. Un po’ di ciliegie dagli
alberi, una nuotata, un po’ di sole, una
battuta, risate, qualche spruzzo di economia
alla spicciolata, una calata cinica d’Oltrenza,
l’indimenticabile critica politica; il tuffo
in stile, dai che ti fai male, del solito,
non ho più l’età, che esce dall’acqua col
naso sanguinante…Ed è già il tramonto…si
ripropone una tavola con spiedini, gutturnio,
lambrusco, verdure e bruschette. Il circo
della vita…Fellini che ritorna: siamo sulla
via Emilia!
Sono di fronte a Germana nella tavolata che
ci riunisce. I suoi occhi improvvisamente
si tingono di rosso. Non trattiene qualche
lacrima. Non capisco…Cerco una battuta per
farla ritornare fra noi. Tino mi fa un cenno
col capo. Ela mi versa il vino e mi parla
con gli occhi. Capisco che è inutile. Il
dolore per la morte del marito è ancora forte…sono
trascorsi solo…un paio d'anni. Non si dimentica
l'anima di chi ti ha amato: è un calore che
porta i brividi; senti cazzo che stai male
per il bene, per l'essere stati insieme,
per non poter ora più vivere insieme. Un
amore incondizionato, senza riserve, complice…e
non ce la fai…ce l’hai addosso come un treno
quel sentimento puro…da bambino…Il sole cala,
il cielo si tinge di rosso. Le luci tenui
ridisegnano le figure, le ombre, che si muovono
attorno al tavolo, lungo, di legno. Le piante
ci contengono e ascoltano discretamente,
dando, di tanto in tanto, colpi di frasche.
Il leggero batter di vento segue alcuni di
noi seduti sui bordi della piscina…Le nuvole
divengono rosa nel cielo, che si fa cupo,
e accompagnano la sera. Quella piscina mi
fa ritornare ai piaceri erotici di anni prima.
Mi rivedo in Sara, la figlia, col suo ragazzo
che si abbracciano e si baciano sulla sedia
a sdraio che avevano avvicinato alla piscina
e allontanato con discrezione sul lato opposto
a noi. Guardo gli altri, ognuno coi suoi
pensieri maledetti del lavoro, che si ripropone
in silenzio, dentro, sui volti, e spegne,
gradualmente, la serenità. Ognuno coi suoi
fantasmi, preso nella sua trappola che gli
sconvolge la mente e lo trasforma da essere
puro in stupido ominide, servo di qualcuno,
di qualcosa. Domani qualcuno perderà comunque
qualcosa. Un gioco a perdere senza scampo…Sì
gli avvoltoi te li ritrovi dappertutto. Incredibile,
se poi ti vedono felice, immediatamente gli
squali sociali, i piragna della civiltà democratica,
si mettono all’opera, cercando di divorare
la felicità che non avranno mai, perché incapaci
di amare e forse di essere amati. Procurano
danni invece alla felicità altrui e di questo
si saziano. Di questo si preoccupano. E’
il loro scopo di vita togliere la serenità
a chi ce l’ha, il desiderio di vita a chi
non è coltivato nell’aridità, nella disgrazia
altrui. Tolgono all’infante il sogno, lo
vogliono subito adulto per massacrarlo, divorarlo,
quegli affamati di odio senza speranza. E
tu ti ritrovi solo, combatti con tutte le
forze, dai tutte le tue energie…e da chi
ti vedi abbandonato? Dalla famiglia che non
c’è più. Svanita. Non c’è tenebra più buia,
più impietosa e tempestosa dell’abbandono!
Tieni ancora alla tua dignità e gridi nel
tuo cuore aiuto, ma nessuno ascolta…nessun
affetto è disposto a comprendere…si preferisce
far finta di non sapere. Qualcosa da non
augurare neanche a un cane!
Riparto. Torno sulla via Emilia di notte
e guido il maggiolone, lentamente, verso
l’hotel, per i limiti di benzina nel serbatoio.
Spero di arrivare. Sono rimasto senza soldi
e non mi ricordavo che dovevo far rifornimento.
Ogni tanto qualche figura femminile seminuda,
ai lati della strada, alimenta il traffico
d’auto...di cilindrata, non scatolette! L’aria
è calda la respiro tutta, la musica mi prende,
avrei voluto avere con me Mary, cercavo nell’aria
il suo profumo, mi manca. E’ tornata, in
Danimarca. Volevo seguirla, avrei voluto,
ma sono rimasto… La camera in albergo mi
aspetta immutabilmente rifatta. Apro l’abbaino
sul tetto di rame e salendo su di un tavolo
allungo la testa fuori; cerco di cogliere
nell’aria cose che non riesco a trovare,
ma che sono lì, nascoste, ora, alla mia vista.
Continuo a non sapere cosa fare. Ti senti
libero e nello stesso tempo preda. Là in
alto c'è aria più fresca e ci si sente meno
nella merda. Scendo dopo aver annusato a
lungo. Stare in alto, sui tetti fa bene…Ritorno
nella tana. Mi accendo la televisione italiana,
spagnola, francese, americana, inglese: dopo
un po’ di news notturne, trovo un film, “La
piscina” che ovviamente mi concilia il sonno.
Suona il cellulare, un messaggio. E’ Mary,
occhi verdi, un sorriso solare, un viso dolce,
un fare che diverte, una persona conosciuta,
casualmente a una cena, poi…seduti sui tetti,
insieme, con la luna, tra i campanili moreschi
di Parma. E dimentichi cosa c’è laggiù, dimentichi…di
sentirti inutile a casa tua. Sì ti fanno
sentire un estraneo, se non sei dei loro…peggio
di un immigrato. Questa città del conformismo,
del perbenismo, del culatello, del prosciutto
alla diossina, del vino al metanolo, del
botulino, degli amici di Paccini Battaglia,
dei suicidi, dei corruttori internazionali,
dei corrotti, del golf, del bridge, dei circoli,
del melodramma, dei massoni, delle confraternite,
della partitocrazia, del clientelismo, dello
scandalo edilizio, della Caren B, del carcere
per mafiosi, dei palestrati forzati, dei
senza tetto, dei celebratori, del decorativismo,
dei paradisi fiscali, delle Cayman, delle
truffe internazionali, dei junk bond, degli
enti inutili, del dispotismo oligarchico...dei
salotti delle vanità e delle maldicenze…questa
è la città del benessere d'Italia… Città
d’arte! Ovvio dirsi immaginiamoci le altre!
Città replicanti con peggioramento esponenziale!
E pensare che la gente paga per tutto questo,
si prostituisce quotidianamente, ogni giorno
in cerca del suo padrone...alcuni si divertono
pure. Una borghesia e un proletariato orgiastico
alla mercè…dei farabutti… predatori di idee
altrui…Persone senza senso dell’amore per
sé e per gli altri, senza senso del bene
comune. Il bene, una cosa che bisogna fare
subito, all’istante…Loro sono capaci di produrre
il danno, per l’interesse personale o dei
loro affiliati… Ma lassù, sui tetti, riesci
anche a dimenticare cosa c’è là sotto...nella
tragicommedia quotidiana.
Sei e trenta del mattino, scendiamo dalla
sua mansarda, in opera per i lavori di trasloco,
dove eravamo rimasti la notte. Eravamo felici,
sapevamo di amarci. Entriamo nell’osteria,
una delle poche rimaste, che fa angolo su
una storica via dominata dai porticati. Non
ci sono quasi più osterie, solo finti bar
moderni, simil parigini, ma senza boulevard,
con simil prodotti, finti pub di importazione.
La parodia nostalgica, la finzione, il confezionato
e il preconfezionato, la nouvelle cousin,
il teletrasmesso, prevalgono sull’autentico,
sul vero... Dove sono finite le nostre osterie,
la cultura del caffè italiano…Il Bizzi, il
bar Italia, Otello, da Lino… All’oste, che
conoscevo:
-Buongiorno, come sta?
-Cosa ci fa lei qui? A quest’ora?
-Torno da una camminata notturna sui tetti.
Due caffè grazie...e due fette di crostata.
Mi siedo a un tavolino, scorro il giornale
locale, mentre Mary rimane al bancone e,
improvvisando, scatta, rubando il tempo e
l’anima, alcune foto con la sua mini digitale.
-Lei abita qui? -Chiedo.
-Si ho una mansarda…sopra i tetti! E si mise
a ridere mentre ci porgeva le tazzine.
-Interessante! Ha visto che luna magica questa
notte? Disse Mary all’oste. E mi sorrise
mentre beveva il caffè.
Luigi Boschi
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Breve racconto
A tutti i lettori della news letter invio
una lettura estiva: un mio breve racconto,
2° classificato al premio Silone 2005 sezione
narrativa inedita. A presto
Luigi Boschi
 
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