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15 Settembre, 2002
Via Emilia a Ferragosto di Luigi Boschi
Mi ero addormentato profondamente, favorito dal ritmare del treno. Ah! Ah! Ah! Improvvisamente alcune ripetute risate…schiamazzi allegri…non distinguevo in che lingua…

Via Emilia a Ferragosto

Mi ero addormentato profondamente, favorito dal ritmare del treno. Ah! Ah! Ah! Improvvisamente alcune ripetute risate…schiamazzi allegri…non distinguevo in che lingua… Dischiudo gli occhi cercando la provenienza, facendomi guidare dalle voci…poi le ho viste. Una aveva il viso vellutato...di nero, con un fazzoletto di carta infilato nell’orecchio che ogni tanto le cadeva...poi lei lo rimetteva, giocava…l’altra si truccava: ridevano!! Incontro lo sguardo della ragazza dalla pelle nera vellutata. I loro schiamazzi sono ora di toni ridotti…parlano soffusamente. “Parma, stazione di Parma!” annuncia l’altoparlante. Non vorrei fermarmi… Da un po’ di tempo mi sento inutile in questa città di burattini e burattinai, di cui Ferrari col suo teatro ne propone da sempre una ironica e sarcastica parodia. “Se ne vada da qui, non si fermi a Parma!..." -mi disse Ubaldo, quello della quarantasettesima-. Aveva ragione…Si paga caro esser se stessi! Hai voglia di presentar progetti! Un ristretto gruppo dirigente, teste di legno, emargina se non sei dei loro, mette al confino se non ti presti, pone le condizioni per il degrado individuale, per il privilegio, per la corruzione; un impoverimento etico collettivo mascherato dalla attuale borghesia godereccia, al colesterolo, col paraocchi, senza visione, incapace di sostenere, contraddicendo la sua identità storica, le nuove energie creative, l’impegno politico, i percorsi innovatori e riformatori, dedita invece alla speculazione, ai propri interessi, ai propri affari, che si cela la verità per il privilegio personale e si autoconvince di vivere in una città libera. Che ne è rimasto dei Bertolucci, Bertoli, Colombi Guidotti, Barilla, Gaibazzi, Mattioli, Micheli…
Loro, le ragazze, scendono…io resto seduto, proseguo. “Sì vado da Giovanni…ma sì…mi prendo una pausa in corsa”. Giovanni un amico di gioventù, che ho conosciuto a Uscio, quando accompagnavo mia madre, per i suoi periodi di dieta forzata. Ha un albergo in terra piacentina, sulla via Emilia. Mi alzo, cerco un bagno nel treno. Entro. Esco sollevato e rinfrescato. Aspetto in piedi, nel fine carrozza, appoggiato sul fianco ad una parete e guardo, mentre mi allontano, dal finestrino che avevo aperto. I seggiolini d'emergenza erano già tutti occupati. Cerco di tornare al mio posto. Percorro a fatica alcune carrozze, tutto pieno…viaggiatori, bagagli. Lo raggiungo, ma era stato preso da un signore anziano. “Alla stazione di Fidenza scenderà qualcuno? Spero!” Arriviamo. Si liberano alcuni posti a sedere. Mi metto vicino alla finestrino e guardando la campagna che scorre, faccio un calcolo di quanto tempo dovrò ancora percorrere sui mezzi pubblici: devo poi prendere anche un autobus! La via Emilia non è affatto servita la sera. Potrebbero essere molto utili visti gli incidenti… Il treno rallenta vistosamente la marcia. Leggo un articolo sul digitale e scorro la rivista che avevo trovato nel nuovo scompartimento. Il digitale tutti ne parlano, ma di fatto è impedito, in particolare dalla Pubblica Amministrazione...pensano di trasferire l’esistente in rete: parassiti al tramonto! Un attacco di dissenteria. Non so cosa potesse essere stato. L’incazzatura mista, forse, alla zuppa d'orzo e cipolla della sera precedente? Non so. Mi alzo e vado dritto in bagno. Mentre mi sciacquo le mani cerco di leggere i graffiti sulle pareti. Bisognerebbe girare il mondo, fotografarli, pubblicarli…si potrebbe scrivere un libro sulle scritte nei bagni pubblici dei treni, delle scuole, delle biblioteche...E' un'idea…forse l’han già fatta. Chissà…un editore disposto a finanziarla? Dietro quei testi c'è il mondo che puzza, di chi non immagini, quello che passa per la testa della gente, uno sfogo nascosto gettato sui muri, sulle pareti dei cessi; l’anima imprigionata delle persone che esprimono la loro rabbia, l'odio, l'amore, l'omosessualità, il razzismo, il maschilismo, il femminismo, l’ignoranza, si svuotano…tutto nei bagni. Raro un pensiero gentile, domina la volgarità…un segno dei tempi. Dai graffiti sulla pietra, ai geroglifici, alle proteste contro l’oppressore, alla civiltà degli insulti, ai cellulari porno. Una rubrica on the roads. Quasi fossero, i bagni, anche un cesso della mente, frasi indelebili allo sciacquone: se tiri l'acqua non vanno via, restano lì le scritte...una anticipazione dei blog: c’è anche chi risponde alle battute, alle provocazioni. Esco e cerco la carrozza dove avevo lasciato anche carte, giornali e…”il computer...No!! E’ ancora lì”. Mi risiedo e scorrendo i luoghi dal finestrino vedo che mi avvicino a Piacenza. La sosta forzata in bagno mi aveva fatto perdere la fermata a Fiorenzuola. Le sette di sera. Scendo dalla carrozza, forse riesco a prendere la coincidenza con l’autobus. No, già andato, due minuti prima. Devo aspettare quello dei 38. Quanto si vede che è organizzato il sistema di trasporto collettivo dei mezzi pubblici! Finché nei consigli metteranno i funzionari della partitocrazia!… Mi siedo sotto le pensiline. Appoggio a fianco il computer e sulle ginocchia i giornali e la busta piena di fogli. Non sopporto più viaggiare con cartelle, borse...Eppure si potrebbe avere tutto in rete e accedervi, ovunque, senza dover portare con se nulla. Sarebbe già possibile, ma viene impedito. Vorrebbe dire cambiare le organizzazioni esistenti…preferiscono costruir strade, è più redditizio…fin che dura l’economia della betoniera! Una società al collasso, è palese…Il nuovo si ostacola, si ignora.
Mi si avvicina una donna di colore. Sposto il computer per farle posto. Lei accende una sigaretta, il vento ovviamente mi indirizza in faccia tutto il suo fumo. Io mi alzo seccato. Tu cerchi di essere cortese e ti sputano in faccia! Manco però se ne accorgono ormai…è divenuto naturale. Non ho mai sopportato il fumo. Cammino sul marciapiede che raggruppa tre pensiline. Vado avanti e indietro. Si alzano improvvisamente folate di vento continue. Mi riparo al fianco di una fermata. Quel cambiare improvviso del tempo…mi ricorda l’Inghilterra. Oscar, il cane che rideva con cui giravo per i bed and breakfast nel Kent o a Cambridge. Si sedeva su due zampe se gli offrivi biscotti. Dormiva con me, sotto il letto. Sono i 44: puntuale il precedente, in modo da perdere la possibile coincidenza, in ritardo questo!? I 52 vedo finalmente arrivare l'autobus Fiorenzuola Vernasca. Mi metto in coda, c'è molta gente. Salgo, “buonasera” dico all'autista. Cerco un posto vicino all'uscita di mezzo. Appoggio il computer sul sedile a fianco, insieme ai giornali e ai documenti. E’ strano ripensandoci, come tratto il mio computer, un modello da museo, un vecchio Compaq 286. E' come se fosse una mia estensione cerebrale staccata, lo faccio sedere al mio fianco, ci prendiamo per mano, conserva parte di me e altro…Dovrò presto, controvoglia, metterlo a riposo. Sul pullman inizio a pensare al lavoro di trasferimento dati nel nuovo computer che stavo acquistando. Attraverso alcune località prima di raggiungere Roveleto. Alle fermate salgono persone per lo più extracomunitari di ritorno dai loro turni. Continuo a pensare al lavoro che mi avrebbe aspettato, ma in particolare su quale modello di computer comprare. Quale sarà il mio nuovo compagno di viaggio con cui condividere contenuti, crescere? Arrivo alla fermata. Vedo scendere dalla porta anteriore dell’autobus due ragazze, mentre io aspetto in piedi, che si apra, quella in mezzo. L'autista non la apre. Vado quindi verso quella anteriore, un po’ seccato. “Aspetti”. Scendo, pochi passi e sono in albergo. Mi dirigo verso il bar della hall anziché andare subito alla reception. Vedo Giovanni infatti seduto con altri, lo saluto con un cenno alzando la mano destra. Mi viene incontro. Bevo con lui al bar una birra fredda.
-Mi ospiti qualche giorno?
-Certo. Ti trovo una stanza.
Qualche battuta sui suoi chili, i perenni lavori in corso nell’hotel, le sue preoccupazioni economiche... Mi consegnano la carta d’accesso. Mentre aspetto l’ascensore, incontro Lorena, la moglie di Giovanni, che da lontano mi sorride, poi mi abbraccia:
-Cosa ci fai qui?
-Carenza di Pisarei e fasoi!
-Scusami devo andare nell’albergo che abbiamo preso a Chiaravalle. Se domani ti fermi te lo faccio visitare. E’ alloggiata da noi la squadra italiana. C’è il campionato mondiale di bicicletta su pista a Fiorenzuola. Gran bei ragazzi!
-Non sedurli. Lasciali tranquilli. A domani. Guarda che devono correre!
Salgo all’ultimo piano, nel sottotetto. Entro in camera, appoggio le carte, i giornali e il computer. Sposto la coperta, mi stendo sul letto fresco, appena fatto. Un letto solo per me; è come se non lo avessi avuto da tempo. Il piacere di stare solo, libero da ogni richiesta, da ogni relazione…Mi addormento, sogno non so cosa. Mi lascio andare…Dovrei fare, ma preferisco non fare. Basta! Il lavoro...maledetto. Ti infilano nella testa che non ne puoi fare a meno. Balle! Questa è la proliferazione di esauriti replicanti di servizio in transito…ma li vedi? Guarda le loro facce, che maschere! Tutti i giorni intasati nelle tangenziali congestionate, oppure, incubati e intubati nella metropolitana, attraversano le città nei sotterranei…si arrabattano… Un non luogo con indicato tutto quello che c'è sopra di te. Il rumore sferragliante e urlante del metrò. Quando lo sento arrivare spesso vado verso un punto del marciapiede cercando di indovinare dove si aprirà la scorrevole, è come se si giocasse alla roulette, anziché puntare un numero, qui punti una posizione. Quando la porta ti si apre davanti hai vinto…niente, come ciò che stai andando a fare. Lo sai ma non ci credi. Entri, il più delle volte non ti siedi o perché c’è sporco o perché non c’è posto. Le frenate e le partenze, ti rendono la vita difficile quando devi, in piedi, trattenere un attacco fisiologico: è atroce! Gli olezzi in estate spesso accompagnano il viaggio ondulatorio, sussultorio, ritmato...Il ballo civile…meglio quello tribale! Non vedi l’ora di scendere da quella ferraglia. In quei cunicoli, in quelle trincee, non so perché, ma quando ci entro vorrei essere subito arrivato. “Fuori! Aria!” Si cercano e si fiutano le vie d'uscita. Quasi come si fosse topi in una fogna e tra spinte, annusi, corse, passi affrettati, soste forzate, percorsi errati si esce…e si ritorna. Un dentro e fuori, un moto perpetuo, in una continua ricerca del niente. Che progetti di vita possono uscire da questi tristi tunnel! Infrastrutture memoria dell’era industriale, futuri musei della tecnica. Il mondo digitale cambierà le città, i luoghi. Il digitale libera dalla stupidità perché è ambiente intelligente. Ma l’ignoranza e il malaffare della burocrazia, controllata dalla classe dirigente, produce mostri obsoleti pronti per il museo della stupidità, funzionali a gruppi economico finanziari, all’aristocrazia manifatturiera, non alla collettività, alle potenzialità individuali. Tutto in nome della democrazia e libertà di mercato. Ma va là! Imprese assistite da risorse pubbliche, spazzate via se i centri di ricerca aprissero i loro cassetti. Spettatori e consumatoi servizievoli, zombi, questo vuole la prepotenza autocratica. Si impediscono le forme di economia delle conoscenze, perché rendono liberi. Città derubate, replicanti, sedute sul loro “segno” in decadenza, incapaci di pensiero creativo. Metropoli di schiavi infelici e predatori senza scrupoli. Civiltà, si chiama!
Un sonno continuo in albergo. Mi sveglio la mattina dopo. Un bagno in vasca. Scendo. Incontro un viso noto, televisivo, anni 70 con gli immancabili occhiali neri che gli fasciano la vista. Faccio colazione: yogurt, frutta, musli, spremuta, un budino al cioccolato e un caffè. Me ne vado a leggere i giornali sul terrazzo, ombreggiato da una pianta storica e da grandi ombrelloni bianchi. Sulla via Emilia passano i camion carichi di pomodoro: è agosto il loro mese. Mentre li vedo passare...mi sento come…trascinare da questa scia di odore e colore. Scappa il pensiero a mio cugino. Cosa è divenuta quell’azienda da quando non c’è più lui!! In mano ai parassiti! Cosa ne han fatto di quel “Pomo d’oro” disegnato da Erberto Carboni.
Scrivo e leggo tutto il giorno; mi appassiona Severino La follia dell’Angelo. Il tempo vola qui sulla via Emilia. Sono ospite, ma mi sento come un rifugiato. Sono in un luogo sicuro, per ora, da incontri indesiderati. Da tempo ormai sono scappato da una convivenza che periodicamente faceva le bizze: non ne potevo più. Eppure, lei, aveva una sua poesia, che forse, non ho saputo cogliere. Quando l’amore non è incondizionato e si perde nei rivoli della rivalsa, delle discussioni quotidiane, è finita…e quella storia la era da un po’. Meglio rompere, andare via, non lasciare che degeneri…Continuo da allora a girovagare. Alloggi temporanei. Mi lascio guidare dalla curiosità e dall’avventura: non mi interessa la fissa dimora. Resto in albergo. Compro al mercatino qualche indumento, e un paio di Superga. Passano i giorni…e io non ho voglia di andarmene. Ho scoperto, dietro l’albergo, la campagna piacentina a fianco della via Emilia. Costume e scarpette, cammino nel primo pomeriggio per le carraie…come se fossi in riva al mare sul bagnasciuga, il sole picchia…sgranocchio qualche pannocchia quasi matura, per sciacquarmi la bocca. Nei percorsi tra i campi ritorno in famiglia, mi ritrovo. Davanti, in fondo alla carraia un casolare mi propone un ambiente del primo ‘900, dietro, alle spalle, la fine del novecento: l’autostrada. Incontro alcune persone sullo sterrato arso: un saluto, un cenno con il capo e, senza fermarci, continuiamo ciascuno nel proprio soliloquio mentale e di gambe. Non ho voglia di fare nulla… Il sole batte! Camminando il pensiero si carica di idee. Non ero mai rimasto a lungo sulla via Emilia. Il piacere, la curiosità di abitare e scoprire luoghi trascurati, finora solo transitati. La sera, in veranda, ceno al tavolo con Giovanni e i suoi ospiti. Donne e soldi, in cadenza piacentina, i loro argomenti preferiti. Un tuffo nel banale? Per me, l’hotel è come un porto, convivi in un condensato di molteplicità culturali...ti riporta alla tua dimensione se l’hai perduta nella quotidianità. C’è di tutto…E come in un porto, la sera prima di Ferragosto, chi ti vedo arrivare? Due piacevoli donne che, sicure, si avvicinano con allegra camminata al nostro tavolo. Bella l'una con un vestito bianco corto, a calza, tagliato su misura per mostrare tutto l'indispensabile, anche l'intimo, una volta seduta negli accavallamenti predatori. Il vestito, velava ciò che lei, forse, non avrebbe voluto. La bocca si muoveva in una ginnastica continua. L’altra, l'amica più piccola, meno bella, ma con due tette...erano posate, come su di un vassoio…"gradisca" diceva quella...di Fellini. Eravamo sulla via Emilia! I romani chiamavano le strade al femminile...l'Aurelia, la Flaminia, l’Appia, quasi volessero invocare e ricordare durante i loro percorsi le gesta inconfondibili di simil donne. Te l'immagini la Flaminia che accoglienze al ritorno? Le conosco: una medico, l’altra insegnante di inglese. Sono simpatiche, disponibili nella parlata e al piacere dell’avventura: le movenze della gambe erano un racconto. Inizia un gioco di seduzione da entrambe le parti che ci diverte. Sapevamo tutti che saremmo potuti andare a scopare, ma l'eroticità dell’astensione forse predominava la libido del consumo. Sono le quattro del mattino e dopo i vari nostri orgasmi mentali ce ne andiamo a letto...Era già l’alba di ferragosto duemila, l’anno giubilare!
Mi alzo a mezzogiorno. Scendo, saluto Giovanni. Cerco di sapere come fare per sentire i messaggi lasciati in segreteria. Dopo l’ennesima telefonata alla centrale servizi riesco nell’intento. Ritorno in camera, leggo, ascolto un po’di notizie in italiano, inglese, spagnolo, tedesco. La televisione? Una telenovela non stop utile per distrarre l’attenzione della gente, teledirigerla, rompere le relazioni. Tutti hanno lo stesso stile. La diversità è fatta dagli spot pubblicitari: gli inglesi, come al solito, sono i migliori. Loro giocano sul consumo, lo propongono quasi come fosse una cosa ridicola, che sono costretti a fare, ma di cui, quasi, si vergognano e quindi l’ironia diviene il modo migliore per convivere col proprio stato, con la propria coscienza, con la propria stupidità. Si deve aver paura di cosa è capace l’uomo, di come riesce a trasformare una potenza in spazzatura…mondiale! Un nonsenso pagato da tutti. Una grancassa che teleconduce le coscienze, le conoscenze.
Dalla camera telefono a un amico che mi aveva invitato a passare Ferragosto da lui, in campagna. Ha la casa sulla sponda parmigiana dell’Enza.
-Ciao Ela...
-Ti aspettavamo all’una, perché non sei ancora arrivato?
-...ma, veramente…io pensavo di arrivare nel pomeriggio. Mi sono alzato da poco. Vi raggiungo comunque. Faccio un bagno, mi tolgo l’olezzo e sono da voi.
Parto. Sulla via Emilia nessuno. Io e il treno ci rincorrevamo. Mi sento libero. Giovanni mi aveva prestato il suo vecchio maggiolone cabrio che custodiva come auto storica. Era mio, glielo avevo venduto anni fa. L’aveva custodito perfettamente. Quanta strada insieme. E’ un ritorno! Cerco ogni cosa che mi sta intorno, come se dovessi richiamare gli spiriti che da tempo mi hanno abbandonato. Nella calura deserta emiliana non trovo pensieri, ascolto la musica, invece, che mi fa sognare. Guidare mi fa sentire libero, in un’evasione. Il sogno lotta col pensiero, che cerca ogni tanto, di sopraffare il destino del giorno. Mi ricordo...e dimentico la guida, col sole perpendicolare che mi protegge l’evasione. Mi ricordo...il mare, di quando bambino, i miei, mi portavano in Versilia…il gusto, i profumi, le prime passioni…il cinema all’aperto di sera…l’odore di salsedine che impregnava le scene sullo schermo...te lo portavi addosso nel ricordo…
“Bambini piangete!..Focacce, pizza, bomboloni!”
“Gelati!..Granatine, ghiaccioli…limone, arancio, menta…tamarindo! Gelati!”
“Cocco!..Coccobello, cocco! Rinfrescatevi la gola!..Cocco!”
Erano le chiamate al consumo degli strilloni di spiaggia. Vestiti di bianco: maglietta e calzoni arrotolati fin sotto le ginocchia; un fazzoletto al collo bianco o a colori rosso, verde, con piccoli disegni. Alcuni si coprivano il capo con un cappello alla marinara. Abbronzati e cordiali alla fermata, con accento viareggino, questi venditori ambulanti alimentari on the beach, erano divenuti una caratteristica delle spiagge del luogo. Chi portava i prodotti del forno, aveva un cesto ovale in legno verniciato di bianco che si apriva da entrambi i lati: salato da una parte e dolce dall’altra. Un manico rigido gli consentiva di imbracciarlo alternando i lati per la fatica; un’alzata sotto l’ovale permetteva di appoggiare il cesto tenendolo sollevato dalla spiaggia e avvicinare, all’apertura, la miglior visione dei prodotti per il cliente, ma soprattutto favoriva la ventata di profumo che emanava dal cesto e venivi colpito alle narici e allo stomaco con conseguente, irresistibile, piacevole provocazione di gola…un desiderio di golosità. Alcuni scrivevano sul lato del cesto il nome del forno…Pietro, Valè… Un cubo refrigerato invece, con tracolla in corda, per il gelataio. Sui lati le immagini dei gelati. Il più prestante però era il “Cocco” che a torso nudo, con fare atletico, teneva sulla mano appoggiata alla spalla un recipiente trasparente dal quale emergeva un enorme cubo di ghiaccio che refrigerava l’acqua, dentro cui stava il frutto tagliato a pezzi. La sosta periodica all’ombra dell’ombrellone faceva riprendere questi audaci dal bruciore ai piedi, pur protetti penso dalle callosità, che la spiaggia bollente causava. E la sosta era maggiormente gradita se chiamati per acquistare i loro prodotti: erano buoni! Si mangiavano di gusto dopo il lungo bagno, seduti al sole, con l’acqua salata in corpo, infreddoliti dentro, avvolti nell’accappatoio. Erano puntuali nel loro percorso: li sentivi arrivare da lontano…nella tarda mattinata e al pomeriggio. Giusto in tempo per soddisfare quella gola che ti assale uscito dall’acqua.
Si aggiravano poi, i venditori di biancheria. Con accento toscano descrivevano la loro merce di Prato a signore interessate: forse il cambio di lenzuola rinfrescava il desiderio sessuale e ne ispirava dei nuovi. Lenzuola fresche con nuove fantasie…un messaggio in codice delle mogli: alcune aspettavano i mariti al varco il fine settimana. Un richiamo ai doveri di letto, un invito indeclinabile, una prova per valutare la fedeltà, forse, da entrambi ricercata. Altre pensavano a rigenerare il desiderio sessuale affievolito nel coniuge e ritrovato in riva al mare. Abbronzatura, salsedine, lenzuola bianche di lino…se non canti sei morto! Un desiderio sessuale più voglioso, passionale, soprattutto non urlato, e meno scontato dell’attuale. Le passerelle in legno, che consentivano di arrivare all’ombrellone senza bruciare i piedi, erano veri itinerari di desiderio e mostra anatomica. Trasparenze uscite dall’acqua…per lo più bikini, ma iniziavano anche i primi, timidi topless e qualche tanga. Ci si poteva fare un catalogo: tette a coppa, a pera, in su, all’ingiù, piatte, cadenti, ridenti, di rifatte non vi era ancora traccia; capezzoli grandi, piccoli, bruni, chiari, turgidi, rilassati. Le gambe e la camminata erano un racconto…davano lo stile, il tono... Un percorso dall’acqua del mare alla doccia e dalla doccia all’ombrellone, che proponeva ogni donna nella sua femminilità. Nelle cabine respiravi ormoni a pieni polmoni!
Dal giovedì, i preparativi delle signore, che iniziavano una sorta di rito propiziatorio per l’arrivo del marito o dell’amato: venerdì sera le più fortunate, sabato le consolate, domenica la toccata e fuga. Tempi duri per gli amanti spiaggiaroli che si dileguavano in quei giorni o passavano senza sosta per un confronto indiretto o per un frettoloso scambio di informazioni in acqua, sotto la doccia o casualmente al bar.
Coniugi, desiderosi della vacanza pensata in inverno, partorita ad aprile, a maggio scendevano per scegliere la pensione, l’albergo o la casa, che era quasi sempre quella dell’anno prima. Tutto per i figli naturalmente, bisognosi di cambiar aria…devono crescere. Del desiderio di cambio d’aria sessuale invece, ci si scherzava su quasi per disincanto. A fine estate la coppia rigenerata, con le nuove fantasie di lenzuola, le cui gesta agostane li avrebbe accompagnati nel periodo invernale, tornava nelle città soddisfatta per aver dato ai bambini il loro fattore di crescita: lo iodio…non si vestiva più alla marinara, ma iniziava il tempo della moda…
“Frena! Dove vai?” Sono arrivato…Quasi un risveglio dai ricordi…Svolto in una laterale della via Emilia e mi dirigo verso la casa di Tino. Lo conosco da più di vent’anni, una testa di cazzo a volte! Come tutti noi, forse. L’ascolto non è il suo pezzo forte…se gli dai spazio la risata però è certa. Un ventre prominente gli assorbe il fumo delle stecche di sigarette che divora senza sosta e con lui tutta la famiglia. Commercia…farine e formaggi da sempre. L’ho visto però una volta proporre a una signora anche biancheria cinese. Le consigliava i pizzi, la taglia…Da buon commerciante vende se stesso; lui lo chiama lavoro! Ela, sua moglie dai tratti orientali, l’ho conosciuta ragazzina al mio ritorno dall’Inghilterra. Il suo viso strano mi aveva colpito subito. Sara e Dario i figli. La madre di Tino, la signora Germana, mi ricorda mia madre. E’ capace di far ridere, cose semplici…ama stare in compagnia, unisce garbate battute in cadenza reggiana con la sua cucina, ricca di quei sapori emiliani che ti violentano ogni volta che ti siedi a tavola. Sono da poco arrivato e lei la Germana, con il suo incalzare compiaciuto, avvolta nel suo copricostume a strisce larghe bianco e nero, mi sorprende ai bordi della piscina con un vassoio di fette di torta appena sfornata: la pasta frolla, ancora tiepida, ti lascia un retrogusto di buccia di limone mescolato con il dolce, leggermente brusco, proposto dallo strato di marmellata alle prugne fatta in casa. "Venga qui -mi dice- che le voglio dare un bacio!” Arrossisco…E' un vizio che non mi abbandona mai...il lasciarmi desiderato.
Ela era indaffarata nel fare le cose di casa e alimentava un ambiente piacevole in cui stare. Amici di tempi addietro, mi riconoscono, mi salutano, erano anni che non li vedevo. Offro bicchieri d'acqua e malvasia agli ospiti che sul bordo della piscina si godevano il sole ferragostano. Caldo piatto nella pianura ai confini dell’Enza. Mi trovavo bene...La malvasia rinfrescava le menti e ci rendeva tutti più amici. Un po’ di ciliegie dagli alberi, una nuotata, un po’ di sole, una battuta, risate, qualche spruzzo di economia alla spicciolata, una calata cinica d’Oltrenza, l’indimenticabile critica politica; il tuffo in stile, dai che ti fai male, del solito, non ho più l’età, che esce dall’acqua col naso sanguinante…Ed è già il tramonto…si ripropone una tavola con spiedini, gutturnio, lambrusco, verdure e bruschette. Il circo della vita…Fellini che ritorna: siamo sulla via Emilia!
Sono di fronte a Germana nella tavolata che ci riunisce. I suoi occhi improvvisamente si tingono di rosso. Non trattiene qualche lacrima. Non capisco…Cerco una battuta per farla ritornare fra noi. Tino mi fa un cenno col capo. Ela mi versa il vino e mi parla con gli occhi. Capisco che è inutile. Il dolore per la morte del marito è ancora forte…sono trascorsi solo…un paio d'anni. Non si dimentica l'anima di chi ti ha amato: è un calore che porta i brividi; senti cazzo che stai male per il bene, per l'essere stati insieme, per non poter ora più vivere insieme. Un amore incondizionato, senza riserve, complice…e non ce la fai…ce l’hai addosso come un treno quel sentimento puro…da bambino…Il sole cala, il cielo si tinge di rosso. Le luci tenui ridisegnano le figure, le ombre, che si muovono attorno al tavolo, lungo, di legno. Le piante ci contengono e ascoltano discretamente, dando, di tanto in tanto, colpi di frasche. Il leggero batter di vento segue alcuni di noi seduti sui bordi della piscina…Le nuvole divengono rosa nel cielo, che si fa cupo, e accompagnano la sera. Quella piscina mi fa ritornare ai piaceri erotici di anni prima. Mi rivedo in Sara, la figlia, col suo ragazzo che si abbracciano e si baciano sulla sedia a sdraio che avevano avvicinato alla piscina e allontanato con discrezione sul lato opposto a noi. Guardo gli altri, ognuno coi suoi pensieri maledetti del lavoro, che si ripropone in silenzio, dentro, sui volti, e spegne, gradualmente, la serenità. Ognuno coi suoi fantasmi, preso nella sua trappola che gli sconvolge la mente e lo trasforma da essere puro in stupido ominide, servo di qualcuno, di qualcosa. Domani qualcuno perderà comunque qualcosa. Un gioco a perdere senza scampo…Sì gli avvoltoi te li ritrovi dappertutto. Incredibile, se poi ti vedono felice, immediatamente gli squali sociali, i piragna della civiltà democratica, si mettono all’opera, cercando di divorare la felicità che non avranno mai, perché incapaci di amare e forse di essere amati. Procurano danni invece alla felicità altrui e di questo si saziano. Di questo si preoccupano. E’ il loro scopo di vita togliere la serenità a chi ce l’ha, il desiderio di vita a chi non è coltivato nell’aridità, nella disgrazia altrui. Tolgono all’infante il sogno, lo vogliono subito adulto per massacrarlo, divorarlo, quegli affamati di odio senza speranza. E tu ti ritrovi solo, combatti con tutte le forze, dai tutte le tue energie…e da chi ti vedi abbandonato? Dalla famiglia che non c’è più. Svanita. Non c’è tenebra più buia, più impietosa e tempestosa dell’abbandono! Tieni ancora alla tua dignità e gridi nel tuo cuore aiuto, ma nessuno ascolta…nessun affetto è disposto a comprendere…si preferisce far finta di non sapere. Qualcosa da non augurare neanche a un cane!
Riparto. Torno sulla via Emilia di notte e guido il maggiolone, lentamente, verso l’hotel, per i limiti di benzina nel serbatoio. Spero di arrivare. Sono rimasto senza soldi e non mi ricordavo che dovevo far rifornimento. Ogni tanto qualche figura femminile seminuda, ai lati della strada, alimenta il traffico d’auto...di cilindrata, non scatolette! L’aria è calda la respiro tutta, la musica mi prende, avrei voluto avere con me Mary, cercavo nell’aria il suo profumo, mi manca. E’ tornata, in Danimarca. Volevo seguirla, avrei voluto, ma sono rimasto… La camera in albergo mi aspetta immutabilmente rifatta. Apro l’abbaino sul tetto di rame e salendo su di un tavolo allungo la testa fuori; cerco di cogliere nell’aria cose che non riesco a trovare, ma che sono lì, nascoste, ora, alla mia vista. Continuo a non sapere cosa fare. Ti senti libero e nello stesso tempo preda. Là in alto c'è aria più fresca e ci si sente meno nella merda. Scendo dopo aver annusato a lungo. Stare in alto, sui tetti fa bene…Ritorno nella tana. Mi accendo la televisione italiana, spagnola, francese, americana, inglese: dopo un po’ di news notturne, trovo un film, “La piscina” che ovviamente mi concilia il sonno. Suona il cellulare, un messaggio. E’ Mary, occhi verdi, un sorriso solare, un viso dolce, un fare che diverte, una persona conosciuta, casualmente a una cena, poi…seduti sui tetti, insieme, con la luna, tra i campanili moreschi di Parma. E dimentichi cosa c’è laggiù, dimentichi…di sentirti inutile a casa tua. Sì ti fanno sentire un estraneo, se non sei dei loro…peggio di un immigrato. Questa città del conformismo, del perbenismo, del culatello, del prosciutto alla diossina, del vino al metanolo, del botulino, degli amici di Paccini Battaglia, dei suicidi, dei corruttori internazionali, dei corrotti, del golf, del bridge, dei circoli, del melodramma, dei massoni, delle confraternite, della partitocrazia, del clientelismo, dello scandalo edilizio, della Caren B, del carcere per mafiosi, dei palestrati forzati, dei senza tetto, dei celebratori, del decorativismo, dei paradisi fiscali, delle Cayman, delle truffe internazionali, dei junk bond, degli enti inutili, del dispotismo oligarchico...dei salotti delle vanità e delle maldicenze…questa è la città del benessere d'Italia… Città d’arte! Ovvio dirsi immaginiamoci le altre! Città replicanti con peggioramento esponenziale! E pensare che la gente paga per tutto questo, si prostituisce quotidianamente, ogni giorno in cerca del suo padrone...alcuni si divertono pure. Una borghesia e un proletariato orgiastico alla mercè…dei farabutti… predatori di idee altrui…Persone senza senso dell’amore per sé e per gli altri, senza senso del bene comune. Il bene, una cosa che bisogna fare subito, all’istante…Loro sono capaci di produrre il danno, per l’interesse personale o dei loro affiliati… Ma lassù, sui tetti, riesci anche a dimenticare cosa c’è là sotto...nella tragicommedia quotidiana.
Sei e trenta del mattino, scendiamo dalla sua mansarda, in opera per i lavori di trasloco, dove eravamo rimasti la notte. Eravamo felici, sapevamo di amarci. Entriamo nell’osteria, una delle poche rimaste, che fa angolo su una storica via dominata dai porticati. Non ci sono quasi più osterie, solo finti bar moderni, simil parigini, ma senza boulevard, con simil prodotti, finti pub di importazione. La parodia nostalgica, la finzione, il confezionato e il preconfezionato, la nouvelle cousin, il teletrasmesso, prevalgono sull’autentico, sul vero... Dove sono finite le nostre osterie, la cultura del caffè italiano…Il Bizzi, il bar Italia, Otello, da Lino… All’oste, che conoscevo:
-Buongiorno, come sta?
-Cosa ci fa lei qui? A quest’ora?
-Torno da una camminata notturna sui tetti. Due caffè grazie...e due fette di crostata.
Mi siedo a un tavolino, scorro il giornale locale, mentre Mary rimane al bancone e, improvvisando, scatta, rubando il tempo e l’anima, alcune foto con la sua mini digitale.
-Lei abita qui? -Chiedo.
-Si ho una mansarda…sopra i tetti! E si mise a ridere mentre ci porgeva le tazzine.
-Interessante! Ha visto che luna magica questa notte? Disse Mary all’oste. E mi sorrise mentre beveva il caffè.
Luigi Boschi
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Breve racconto
A tutti i lettori della news letter invio una lettura estiva: un mio breve racconto, 2° classificato al premio Silone 2005 sezione narrativa inedita. A presto
Luigi Boschi

 


       



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