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 Storia Cremonese

15 Settembre, 2002
Breve biografia di San Omobono ( ric. n. 58)
Omobono, santo, il diarista Gigli ricorda alla data 17 novembre 1613 la processione della Compagnia dei Sartori che portarono la reliquia

13 novembre Festa del Patrono di Cremona.
 SAN OMOBONO confessore
 
Omobono, santo, il diarista Gigli ricorda alla data 17 novembre 1613 la processione della Compagnia dei Sartori che portarono la reliquia di un suo braccio alla chiesa a lui intitolata. Il resto, traslato in Roma, venne solennemente portato da S. Giovanni Battista dei Fiorentini a S. Omobono. La reliquia, oggi non più posseduta, si esponeva all’altare del santo nel giorno della sua festa. Posta in una preziosa teca di cristallo era formata da un osso lungo circa trenta centimetri e due dita della mano stringevano, forse in ricordo delle elemosine da lui operate, tre monete d’argento. Canonizzato nel 1199, il corpo del santo, si venera nella cripta della cattedrale di Cremona.

13 novembre - A Cremona, in Lombardia, sant’Omobono Confessore, il quale, illustre per miracoli, dal Papa Innocenzo terzo fu ascritto nel numero dei santi.
[ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]
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Cremona, prima metà secolo XII - 13 novembre 1197
 
Oltre a essere patrono di Cremona, Omobono Tucenghi è protettore di mercanti, lavoratori tessili e sarti. Egli stesso, infatti, fu commerciante di stoffe stimatissimo in città. Era abile negli affari e ricco. Oltretutto viveva solo con la moglie, senza figli. Ma il denaro - nella sua concezione della ricchezza, vista non fine a se stessa - era per i poveri. La sua azione lo portò ad essere un testimone autorevole in tempi di conflitto tra Comuni e Impero (Cremona era con l'imperatore). Quando morì d'improvviso, il 13 novembre del 1197, durante la Messa, subito si diffuse la fama di santità. Innocenzo III lo elevò agli altari già due anni dopo. Riposa nel duomo di Cremona. (Avvenire)
Patronato:Cremona, Mercanti, Lavoratori tessili, Sarti
All’alba di un giorno d’autunno, in una chiesa cremonese accade un fatto impressionante. Un cittadino molto popolare e amato, Omobono Tucenghi, è come sempre al suo posto per partecipare alla Messa. Ma a un tratto lo si vede impallidire, afflosciarsi, e chi per primo cerca di soccorrerlo s’accorge che è già morto. D’improvviso, senza un lamento, senza soffrire. La morte serena che ognuno si augura. "E che mastro Omobono si meritava", devono aver aggiunto molti intorno a lui, nella chiesa intitolata a sant’Egidio (qui sotto, la scena rappresentata in un Codice). Omobono Tucenghi, infatti, è un uomo che, senza privilegi di nascita o prestigio di funzioni, ha saputo diventare nella sua città una “forza” solo per le doti personali e l’esempio della sua vita. E’ un mercante di panni e negli affari è abilissimo. Ormai lo circonda un rispetto universale, anche con qualche cenno di compatimento: lui e sua moglie, infatti, non hanno avuto figli. Sono soli. Con tutti quei soldi che il commercio ha portato loro, in quest’epoca di vitalità straordinaria e turbolenta in tante città italiane ormai passate all’autogoverno.
Ma nel pensiero di questi coniugi, e soprattutto nel loro comportamento, c’è come un profumo di Chiesa primitiva: possiamo dire che anch’essi continuamente "depongono ai piedi degli apostoli" denaro guadagnato col commercio, come avveniva nella piccola comunità di Gerusalemme. Non negli scritti e nemmeno in discorsi che nessuno ci ha tramandato, ma con questi gesti precisi e continui Omobono rivela la sua chiara concezione circa il denaro che guadagna: su di esso hanno precisi diritti i poveri. Le monete sono mezzi d’intervento per il soccorso alla miseria.
In tempi di rissa continua nelle città e fra le città (Cremona, nel conflitto tra Comuni e Impero, è schierata dalla parte imperiale) si ricorre alla sua autorità per arginare la violenza. E Omobono è pronto al servizio fraterno anche così: con la parola contribuisce a rendere più vivibile la città, con la parola inerme ma autorevole, perché è lo specchio di una vita grande.
Ecco perché la sua morte, avvenuta nel momento in cui dall’altare s’intonava il Gloria, ha scosso tutta la città. Non solo. Si sparge una voce insistente: mastro Omobono fa miracoli! Cominciano i pellegrinaggi alla sua tomba, il vescovo Sicardo e una rappresentanza cittadina si rivolgono a papa Innocenzo III. E questi canonizza Omobono già il 13 gennaio 1199, a meno di due anni dalla morte. Un santo laico, un santo imprenditore, un commerciante del ramo tessile posto sugli altari già ottocento anni fa. Proclamato patrono cittadino dal Consiglio generale di Cremona nel 1643, sant’Omobono è venerato anche come protettore dei mercanti e dei sarti. Il suo corpo si conserva in una cripta della cattedrale di Cremona.
Autore: Domenico Agasso
 
Fonte:   famiglia cristiana
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MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
A S.E. MONS. GIULIO NICOLINI, VESCOVO DI CREMONA
NELL'VIII CENTENARIO DELLA MORTE DI SANT'OMOBONO
 
Al Venerato Fratello
GIULIO NICOLINI
Vescovo di Cremona
 
1. Il 13 novembre 1197 Omobono Tucenghi, commerciante di stoffe in Cremona, chiudeva la sua esistenza terrena contemplando il Crocifisso, mentre partecipava, come era solito fare
ogni giorno, alla Santa Messa nella chiesa della sua parrocchia cittadina di sant'Egidio.
Poco più di un anno dopo, il 12 gennaio 1199, il mio Predecessore Innocenzo III lo iscriveva nel catalogo dei Santi, aderendo alla petizione che il Vescovo Sicardo gli aveva rivolto, recandosi pellegrino a Roma con il parroco Osberto e un gruppo di cittadini, dopo aver valutato le numerose testimonianze anche scritte dei prodigi attribuiti all'intercessione di Omobono.
Ad otto secoli di distanza, la figura di sant'Omobono continua ad essere costantemente viva nella memoria e nel cuore della Chiesa e della città di Cremona, che lo venerano quale loro Patrono. Egli è il primo ed unico fedele laico, non appartenente alla nobiltà o a famiglie reali o principesche, canonizzato nel Medioevo (cfr A. Vauchez, I laici nel Medioevo, Milano 1989, p. 84; La santità nel Medioevo, Bologna 1989, p.340). "Padre dei poveri", "consolatore degli afflitti", "assiduo nelle continue preghiere", "uomo di pace e pacificatore", "uomo buono di nome e di fatto", questo Santo, secondo l'espressione usata dal Papa Innocenzo III nella bolla di canonizzazione Quia pietas, è tuttora albero piantato lungo corsi d'acqua che dà frutto nel nostro tempo.

2. Perciò ho appreso con vivo compiacimento che Ella, venerato Fratello, ha stabilito di dedicare alla sua memoria il percorso di tempo che va dal 13 novembre 1997 al 12 gennaio 1999, denominandolo «Anno di sant'Omobono», da celebrarsi con peculiari iniziative spirituali, pastorali e culturali, articolate nel cammino di preparazione al Grande Giubileo dell'Anno Duemila e nello spirito di comunione creato dal Sinodo che la Diocesi ha recentemente celebrato. 
Pur così lontano nel tempo, Omobono ci appare, infatti, un Santo per la Chiesa e la società del nostro tempo. Non soltanto perché la santità è una sola, ma per le caratteristiche della vita e delle opere con cui questo fedele laico ha vissuto la perfezione evangelica. Esse trovano singolari riscontri con le esigenze del presente, e conferiscono alla ricorrenza giubilare un senso profondo di "contemporaneità".

3. Unanimi le testimonianze dell'epoca definiscono Omobono "pater pauperum", padre dei poveri. E' la definizione che, rimasta nella storia di Cremona, riassume in un certo modo le dimensioni dell'alta spiritualità e della straordinaria avventura del mercante. Dal momento della sua conversione alla radicalità del Vangelo, Omobono diventa artefice e apostolo di carità. Trasforma la sua casa in casa di accoglienza. Si dedica alla sepoltura dei defunti abbandonati. Apre il cuore e la borsa ad ogni categoria di bisognosi. Si impegna fortemente nel dirimere controversie, che nella città lacerano fazioni e famiglie. Esercita a piene mani le opere di misericordia spirituale e corporale e, nello stesso tempo, protegge l'integrità della fede cattolica in presenza di infiltrazioni eretiche, con il medesimo fervore con cui partecipa quotidianamente all'Eucaristia e si dedica alla preghiera.

Percorrendo la strada delle Beatitudini evangeliche, nell'epoca comunale in cui denaro e mercato tendono a costituire il centro della vita cittadina, Omobono coniuga giustizia e carità e fa dell'elemosina il segno di condivisione, con la spontaneità con cui dalla assidua contemplazione del Crocifisso impara a testimoniare il valore della vita come dono.

4. Fedele a queste scelte evangeliche, egli affronta e supera ostacoli che gli provengono sia dall'ambiente familiare, poiché la moglie non condivide le sue scelte, sia da quello parrocchiale, che considera con un certo sospetto la sua austerità, e dal settore stesso del lavoro, per la concorrenza e la mala fede di alcuni, che cercano di ingannare l'onesto mercante.Emerge così l'immagine di Omobono lavoratore, che vende e compra stoffe e, mentre vive le dinamiche di un mercato che prende la via di città italiane e europee, conferisce dignità spirituale al suo lavoro: quella spiritualità che è l'impronta di tutta la sua operosità.
 
Nella sua esperienza non v'è soluzione di continuità tra le varie dimensioni. In ognuna egli trova il "luogo" in cui esplicare la tensione alla santità: nel nucleo familiare, come sposo e padre esemplare; nella comunità parrocchiale, come fedele che vive la liturgia ed è assiduo alla catechesi, profondamente legato al ministero del sacerdote; nel contesto della città, in cui effonde il fascino della bontà e della pace.
 
5. Una vita tanto ricca di meriti non poteva che lasciare un solco profondo nella memoria. E', infatti, ammirevole la perseveranza d'affetto e di culto che Cremona ha conservato nei confronti di questo suo singolare esponente, scaturito proprio dal ceto popolare.
 
E' significativo che, nel 1592, la chiesa Cattedrale sia stata dedicata a lui insieme a Santa Maria Assunta. E non è meno significativo che a sceglierlo patrono della città, nel 1643, siano stati i membri del Consiglio della Città stessa, tra l'esultanza, "l'immensa allegrezza", le "lagrime di devozione" del popolo. Un Santo laico, eletto come patrono dai laici stessi.

Né è motivo di meraviglia che il culto di sant'Omobono si sia diffuso in molte diocesi italiane ed oltre i confini nazionali. E' Omobono un Santo che parla ai cuori. Ed è bello constatare che i cuori ne sentono l'amabile attrattiva. Lo dimostra l'incessante accorrere alle sue spoglie mortali, soprattutto, ma non solo, nel giorno della sua festa liturgica, e l'intensa devozione che gli riserva la popolazione, memore delle grazie ricevute e fiduciosa nell'intercessione dell'amato "trafficante celeste".

6. Nell'anno giubilare la sua voce, per taluni aspetti essenziali, parla con gli accenti, come osservavo all'inizio, della "contemporaneità".

I tempi non sono più quelli di ottocento anni fa. Alla canonizzazione di Omobono, maturata nel clima e nelle procedure medioevali, non possiamo attribuire il carattere di una "promozione del laicato", nel senso che noi diamo oggi a questo concetto.

E' vero, tuttavia, che proprio in questa luce leggiamo l'avventura spirituale che ha solcato la secolare storia cremonese. Ed in questa luce riscopriamo il messaggio, tuttora originale, dell'insigne Patrono. Egli è pur sempre il fedele laico che, da laico, si è guadagnato il dono della santità.

La sua vicenda assume un valore esemplare come chiamata alla conversione senza restrizioni di alcun genere e, quindi, alla santificazione non riservata ad alcuni, ma proposta a tutti indistintamente.

Il Concilio Vaticano II fa della santità un elemento costitutivo dell'appartenenza alla Chiesa, quando afferma che "tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" (Lumen gentium, 40); e rileva che "da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano" (ibid.). Proprio di questo abbiamo bisogno nella situazione di inarrestabile transizione che stiamo vivendo: ne abbiamo bisogno per sviluppare le premesse positive presenti e rispondere alle gravi sfide derivanti dalla profonda crisi di civiltà e di cultura, che investe l'ethos collettivo.

7. La chiamata alla santità comporta e valorizza l'essere e l'operare del laicato, come pure insegna il Concilio ed io stesso ho ribadito nell'Esortazione Apostolica postsinodale Christifideles Laici.

Sulla filigrana di quest'ultimo documento vedo avvicinarsi a noi e, in particolare, all'oggi della Chiesa e della società cremonese, la vicenda esistenziale di sant'Omobono. Per intraprendere una nuova evangelizzazione, infatti, "urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse Comunità ecclesiali" (Christifideles Laici, n. 34).

I fedeli laici devono sentirsi pienamente coinvolti in questo compito, con i peculiari carismi della "laicità". Le situazioni nuove, sia ecclesiali che sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano con una forza del tutto particolare la loro specifica partecipazione (ibid, n. 3).

8. E' una felice coincidenza che la celebrazione giubilare di questo "Santo della carità" venga ad inserirsi nella conclusione dell'ultimo decennio del nostro secolo, che la Comunità ecclesiale in Italia ha consacrato al programma "Evangelizzazione e testimonianza della carità".

Come scrivevo ancora nella Christifideles Laici, la carità nelle sue varie forme, dall'elemosina alle opere di misericordia, "anima e sostiene un'operosa solidarietà attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano" (n. 41). Essa è e sarà sempre necessaria, da parte dei singoli e delle Comunità. E "si fa più necessaria quanto più le istituzioni, diventando complesse nell'organizzazione e, pretendendo di gestire ogni spazio disponibile, finiscono per essere rovinate dal funzionalismo imperante, dall'esagerata burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal disimpegno facile e generalizzato" (ibid.).

La sensibilità di Omobono stimola esemplarmente ad aprirsi all'intero orizzonte della carità nella varietà delle sue espressioni, oltre quelle materiali: carità della cultura, carità politica, carità sociale, in ordine al bene comune. Un esempio tanto eloquente può efficacemente contribuire a rasserenare l'attuale clima politico e sociale, favorendo uno stile di concordia, di reciproca fiducia, di impegno partecipativo.

9. Sono particolarmente lieto che la celebrazione dell'«Anno di sant'Omobono» si estenda a tutto il 1998, secondo anno della fase preparatoria al Grande Giubileo, dedicato specialmente allo Spirito Santo.

La cara figura dell'antico mercante accompagni dal cielo il provvidenziale evento. Invocato con la profonda e tradizionale devozione e con una fede sempre più consapevole, egli ottenga a tutti i battezzati la fedeltà ai doni dello Spirito, ricevuti soprattutto nel sacramento della Confermazione. Ai fedeli laici ottenga una più matura consapevolezza che la loro partecipazione alla vita della Chiesa "è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei Pastori non può per lo più raggiungere la sua piena efficacia" (Apostolicam actuositatem, 10). A tutti i componenti della Chiesa cremonese ottenga dal Signore l'ardore richiesto ai nuovi evangelizzatori, chiamati nella stagione post-sinodale ad essere veri testimoni di fede, speranza e carità.

Con questi fervidi auspici, memore della mia Visita pastorale a Cremona, nel giugno 1992, e del successivo incontro con quanti sono venuti a Roma in pellegrinaggio, nel novembre dell'anno scorso, a suggello del Sinodo diocesano, imparto di cuore a Lei, venerato Fratello, ai presbiteri, ai diaconi, ai consacrati e alle consacrate, ai fedeli laici, a ogni famiglia, a ogni parrocchia e alla Città tutta un'affettuosa Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 24 Giugno 1997

IOANNES PAULUS II

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Sàan Mubòon pàader d'ì puarèt
di Agostino Melega

Per parlare di sant'Omobono, nel suo giorno onomastico, ci avvarremo dei contributi di due donne, Uliana Signorini Romanenghi e Giovanna Gregori Maris, due scrittrici conosciute e stimate dalla città, che hanno dedicato negli ultimi anni pagine molto interessanti alla figura del patrono di Cremona. Uliana Signorini Romanenghi ha consegnato, infatti, ai lettori amanti della cremonesità, quale omaggio alla vicenda umana di Omobono Tucenghi, un accattivante testo, intitolato: "San Mubòon, el sàant de'l Turàs, mercàant e pàader d'i puarèt" (Sant'Omobono, il santo del Torrazzo, mercante e padre dei poveri). Le pagine di questo scritto, stilato con sensibilità ed amore, corrono nella cornice linguistica di un moderno vernacolo urbano che si alterna con l'invenzione linguistica dell'ipotetico patois parlato da Omobono Tucenghi fra le gente del suo tempo. L'abilità della scrittrice ha portato al centro dell'attenzione la specificità popolare di Omobono, di un uomo semplice, di una sorta di inaspettato "vicino della porta accanto finito sugli altari". Di un laico divenuto santo attraverso un modello di vita coerente, proposto al lettore nel contesto del suo normale rapporto di coppia, rapporto similare - con tutte le varianti del caso - anche a tante coppie del giorno d'oggi. Un uomo comunque santo che, intinto e avvolto nella lingua locale, ha saputo comunicare al mondo intero un modello di comprensione dei "problemi dell'altro" di spessore straordinario. Ha saputo parlare in dialetto un linguaggio universale: anche i santi, senza volerlo, sono Poeti. Un uomo comune insomma che, giorno dopo giorno, in punta di piedi, nel silenzio di minute azioni concrete, è diventato un gigante nella storia della carità. Ed è con l'orgoglio di sentire il comune legame di cittadinanza, attraverso il piacere di poter dire "è uno dei nostri", che Sant'Omobono viene proposto dalla maestra Uliana a guisa di naturale simbolo della città; quale parametro di riferimento del popolo fra le due sponde della Cremonella del tempo che fu. Per confermarlo anche nel tempo corrente come il referente massimo d'identificazione comunitaria e quale testimone perenne di un anelito di superiore saggezza: l'anelito alla pace quale obiettivo ultimo di qualsiasi dialettica politica e sociale. "Se sa mìia quàan san Mubòon 'l è nasìit - inizia così il testo dell'autrice - ma se sa quàan l'è mòort: el 13 de nuèember 1197". Ancora bambino, impara a voler bene al Signore, a riflettere sul Vangelo, a pregare il Crocifisso e la santissima Vergine. "Sèemper de bòon cumàant cun i soo de càaza, manimàan che'l crès el laurà cun lùur in de la "mercatura" che l'éera a chéi tèemp cunsideràat en mestéer de valùur". Si pensa che cucissero gli abiti con le stoffe che vendevano (fustagno) ed anche per questo sant'Omobono sarà il santo dei sarti. "El se fa 'n bèl e bòon giuinòt, de bùne manéere cun toti e'l fa gràn carità a i pusèe puarèt. In de ste butéega purò gh'è buzugn de gèent fidàada e so pàader en dé 'l la ciàma".
Tornando al valore culturale dei segni di un antico capodanno agrario, va ricordato l'intreccio col ciclo calendariale della vite. Il vino di san Martino "A san Martéen l'ua la divèenta véen". A san Martino si concludeva un processo formato da una serie di atti quasi rituali, per non dire sacrali, che avevano accompagnato la vita della piantagione della vite e la vendemmia, dove la tradizione di una millenaria fatica portava a compimento annualmente il magico dono del vino, segno da sempre dell'amicizia fra gli uomini, e del legame fra gli uomini e gli dei, così come dei cristiani con Dio. Una simbologia ed un rimando che pagine memorabili della cultura greca e del Vecchio e del Nuovo Testamento ci attestano. A san Martino, insomma, "se spinàava el vèen nof". Lo si inaugurava, con amici e parenti, col rito della "prìma tastàada". E non è difficile immaginare che in quel momento tutti concordassero col parere di Francois Rabelais, vale a dire che il bere vino non è ingurgitare un liquido per saziare semplicemente la sete. "Il vino - diceva infatti il grande scrittore francese - ha il potere di riempire l'anima di ogni verità, di ogni sapere, di tutta la filosofia". Non a caso il vino eccellente viene definito in cremonese "véen che foma l'ànima". Così come viene definito una sorta d'ambrosia il liquido che lega la vita dell'uomo in tarda età strettamente alla vigna, come se questa fosse una seconda madre dispensatrice d'energia. Infatti il detto afferma categoricamente: "el véen 'l è el tetéen d'i véc" (il vino è il latte dei vecchi). L’estate di san Martino Attorno all'undici di novembre, sul piano meteorologico, è sempre previsto una sorta di sospensione dell'andamento stagionale, con l'autunno che pare fermarsi per ricordare il tempo appena passato, come per dare più valore agli atti degli uomini e delle donne desiderosi di arrestare la luce che piano piano si sta spegnendo nelle giornate sempre più corte. Ecco allora un altro dono, consistente nell'ultimo tepore dell'anno, con la previsione marcata dal proverbio: "L'estàat de san Martéen la duura trìi dé e 'n tucheléen". Ed è pure evidente il senso del convincimento del regalo della "piccola estate" nel proverbio che ci assicura che "San Martìin sèca toti i strasulìin", ricordatoci dal critico Sergio Torresani in uno dei suoi preziosi lavori nel vernacolo di Casalbuttano. Le disdette nelle cascine Nemmeno va dimenticata la traccia di un antico capodanno rurale, spogliato però e denudato dei segni della festa, che si può individuare nell'espressione "fàa sanmartéen"; espressione caduta e depositatasi nel comune significato che indica oggi il trasloco da una casa all'altra, senza più alcun riferimento però alla data del calendario e della ricorrenza di san Martino. "Fare san Martino" significa semplicemente fare trasloco né più né meno. Ma quando il modo di dire era strettamente connesso alle "dizdéte de san Martéen", ossia legato ai licenziamenti dei contadini e dei salariati dell'agricoltura, allora l'espressione era accompagnata dalla crudezza di un quadro di lacerante squilibrio sociale e da uno scenario che oggi potremmo avvicinare a quello dei regni della povertà diffusi al di là dell'Occidente. Le campagne della Valpadana si popolavano in quel giorno, per san Martino, alla conclusione del ciclo agrario e alla scadenza dei contratti, di lunghe teorie di carri pieni del silenzio della gente della terra; di gente semplice e buona che con le proprie scarse masserizie si portava verso il sole di un nuovo lavoro, di un nuovo incarico, di un nuovo ciclo annuale, con la speranza di fermare prima o poi quella vita itinerante, mai ferma, segmentata nei rapporti, nei legami, negli affetti. Alla fine degli anni Cinquanta, migliaia di famiglie contadine cremonesi furono protagoniste di un ultimo e risolutivo san Martino e fu la stagione della lacerazione delle radici con la cascina, nell'amaro miraggio che il sole della speranza e della stabilità albergasse nel mondo delle fabbriche a Milano, a Lecco, a Varese, Torino. Ed oggi, da anziani, molti di questi migranti ritornano nei paesi della giovinezza, a pronunciare le ultime loro parole nel dialetto dei ricordi più sentiti e provati; ritornano a parlare nella lingua dell'anima e del sangue e par che dicano, con le parole del poeta Gino Olzi: "Tegnùmel de càt el nòst' parlàa:/ l'è 'na ròba amò che sèent de bòon;/ l'è cùme 'na surtìa de àaqua ciàara".

** materiale raccolto ed organizzato da Gian Carlo Storti, Cremona 25 novembre 2006

 


       



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